Alessia: ho visto questo nome in quell’omogeneizzatore universale che è Facebook, la prima volta l’ho letto distrattamente, poi ho cominciato a seguire le “mollichine di pane” e ho trovato la sua storia.
La sua storia è in questo sguardo, lo sguardo che vedete nella foto.
Alessia ci ha lasciato, la sua è una storia che ho già incontrato nel mio girovagare tra le esistenze, una storia di dolore, di emarginazione, di vita negata e riconquistata, di spazi negati e riconquistati, centimetro per centimetro.
Rabbia, commiserazione, tristezza, non c’è nulla di tutto questo nel suo sguardo che sembra dire: “Io sono favolosa”.
Non a caso ho usato la parola “favolosa”, Alessia era una Trans, la sua storia così cruda e dolorosa a tratti ricorda la storia di tante persone che hanno intrapreso, con un coraggio quasi inimmaginabile, la transizione negli anni ’80.
Quella generazione di Trans, che decise finalmente di uscire allo scoperto, visse difficoltà di ogni tipo.
Si dice che le difficoltà forgino, ma nello sguardo di Alessia non c’è la durezza dell’acciaio, c’è lo scintillio del diamante.
A Perugia fortunatamente ha trovato persone che le hanno voluto bene e che, orgogliose di lei, hanno deciso di raccontare la sua storia:
“La storia di AlessiA
Non si muore da soli solo perché hai il Coronavirus, si moriva soli anche perché avevi l’Aids.
La paura di un contagio… l’ignoranza sulle modalità di trasmissione di un virus… comprensibile
Ma è veramente difficile comprendere che si muore soli anche per pregiudizio… quando sei transgender e sei malata in un letto i tuoi familiari si vergognano comunque di te… non corrispondi al loro target tuo malgrado, sei nata maschio e vuoi diventare femmina non puoi reprimerti e correggerti come vorrebbero loro e ti scacciano e ti rifiutano anche quando la malattia rende i tuoi connotati uguali a quelli di chiunque arriva alla terminalità.
E’ il caso di Alessia, transgender arrivata dalla Campania, assistita dalla nostra Associazione perché priva di risorse economiche, familiari ed affettive, ammalatasi gravemente a 28 anni e deceduta il giorno di Pasqua a 30 anni compiuti da poco.
Una lunga sequenza di chemioterapie che lei ha affrontato senza mollare mai, sui suoi super tacchi, fiduciosa di guarire e concludere presto la sua metamorfosi.
In questi due anni di stretta vicinanza tra lei ed i volontari tantissimi sono stati i momenti nei quali siamo stati testimoni del bisogno che lei aveva della vicinanza dei suoi genitori… telefonate rifiutate, messaggi mai contraccambiati tanto da chiederci lei stessa di scrivere a sua madre nel Novembre 2018… abbiamo scritto, abbiamo supplicato anche noi.
La sua Dottoressa di riferimento, che molto l’ha amata, ha chiamato molte volte spiegando la gravità ed il bisogno umano. Niente… UN MURO DI INDIFFERENZA … UNA PORTA CHIUSA alla quale lei ha ancora bussato l’ultima volta il 19 Marzo scorso inviando gli auguri della festa del papà… ancora nulla.
In molti diranno “assolutamente niente di nuovo” tantissime persone al mondo rifiutano e abbandonano i propri figli naturali perché portatori di diversità, ci vorrà tempo ed impegno perché la cultura della non discriminazione permei profondamente la società.
In questa storia c’è però un particolare non trascurabile Alessia era un bambino adottato.
I suoi genitori l’hanno adottata in un orfanotrofio russo all’età di 8 anni.
Se sul fato di dove nascerai non si può intervenire, si può intervenire sulle famiglie che adottano.
Se in nome di una discutibile tutela i bambini non vengono dati in affidamento o adozione alle coppie non tradizionali è allora necessario che i genitori considerati “normali” nelle procedure di adozione esprimano chiaramente il loro pensiero in merito all’ipotesi dell’evento che l’orientamento sessuale dei bambini che adottano dovesse cambiare.
Accendiamo un faro sulle famiglie che adottano.
Chi ha riserve mentali sul diverso orientamento sessuale (e identità di genere, n.d.r.) non può adottare.
Chi discrimina non può adottare.
Facciamo sì che il dolore di Alessia non si ripeta più.
Noi dell’Associazione Spazio Bianco chiediamo che tutti facciano propria questa battaglia perché è una battaglia di civiltà.
La caratteristica della nostra Associazione è la discrezione assoluta, non abbiamo mai pubblicato niente delle tante storie di abbandono che abbiamo testimoniato… nelle ultime volontà di Alessia c’era il desiderio del necrologio al femminile… purtroppo nonostante le rassicurazioni non è stato fatto in terra Campana.
Ancora inconsapevoli della futura promessa disattesa abbiamo fatto noi un necrologio per ricordarla… è stato fotografato e divulgato sui social.
Grazie a chi lo ha reso virale e L’ha degnamente commemorata.