L’umanità sta vivendo tempi eccezionali, non solo per la difficile situazione sanitaria che dobbiamo affrontare come società globale, ma anche per i bruschi cambiamenti del nostro stile di vita – più moderno per alcuni, meno per la maggior parte – che questa emergenza sanitaria ha portato. Nonostante tutti gli avvertimenti che annunciavano l’arrivo di una situazione difficile come quella che stiamo vivendo in questo secolo, non li abbiamo mai presi sul serio. Forse perché l’industria culturale americana ci ha invaso con film catastrofici e serie apocalittiche tanto poco plausibili quanto comodi, gli avvertimenti plausibili sulla catastrofe sanitaria che affrontiamo oggi erano diventate storie romanzesche. Ci siamo abituati alle catastrofi immaginarie di Hollywood, in cui l’America, nella posizione di stato mondiale, salvava sempre l’umanità dall’asteroide, dall’invasione aliena, dalla cospirazione russo-cinese, dal terrorismo islamico, dai trafficanti di droga latinoamericani, ecc. Così ci hanno fatto credere di essere al sicuro da qualsiasi catastrofe grazie al “coraggio” e alla “generosità” degli Stati Uniti e dei loro alleati.
La verità è che la catastrofe è arrivata, non a causa dell’asteroide o degli alieni e nemmeno a causa delle cospirazioni dei nemici dell’Occidente, che alla fine giocano sulla stessa scacchiera capitalista. E’ venuta da un piccolo organismo biologico, che sia stato prodotto artificialmente o generato dal suo stesso sviluppo biologico e dalla sua mutazione. Un giorno avremo la risposta, ma per ora non è così importante. Tuttavia quel piccolo organismo non è responsabile di questa tremenda crisi umana. L’emergenza e il collasso della sanità che stiamo affrontando ha a che fare con il modo in cui il capitalismo ha diretto la modernità globalizzata, cioè con le dinamiche di governo economico, sociale, culturale, ideologico e tecnologico che ha imposto al pianeta come forma di vita umana.
La portata di questa catastrofe va oltre la pandemia che ha colpito gli esseri umani. Questo deplorevole virus svela altre malattie che il capitalismo coloniale e patriarcale ha creato e viralizzato in tutto il pianeta e che, a loro volta, spiegano la virulenza di questo organismo. I peggiori virus capitalistici sono: 1) La distruzione dell’ambiente e l’estinzione di centinaia di specie animali che vivono con noi sul pianeta. Uno sterminio perpetrato dalle forze produttive-distruttive capitaliste che, ovviamente, genera uno squilibrio biologico che mette a rischio anche la vita umana. 2) La distruzione sistematica di territori e comunità di vita diverse e alternative al capitalismo, come i popoli originari e i contadini che per migliaia di anni si sono presi cura della natura che ci accoglie; questo disastro ha causato uno squilibrio sociale e ambientale che mette a rischio milioni di esseri umani costretti a trasferirsi in centri capitalistici locali o globali, generando una pericolosa concentrazione urbana che oggi ci presenta il conto. 3) La distruzione selvaggia della dimensione femminile della società, che contempla fondamentalmente questa capacità umana di prendersi cura della natura, di altre specie animali e vegetali e di noi stessi come umanità. Questo grave attacco al femminile diventa visibile nella violazione della natura, della comunità e della società nei suoi spazi di cura, che sono fondamentalmente la salute, il cibo, l’istruzione, l’arte, l’abitazione e la cultura. Spazi di cura che sono stati brutalmente smantellati in nome della crescita economica e del libero mercato. Ora, quando il “virus nemico colpisce”, ci rendiamo conto che senza cure non c’è vita.
Ci ritroviamo chiusi nelle nostre celle urbane, a osservare con terrore come il piccolo organismo “minaccia la nostra vita”. Una vita perfetta per i pochi responsabili e vincitori della catastrofe, una vita comoda per i ceti medi sempre più ridotti e una vita imposta, precaria e in molti casi miserabile per la maggioranza che la vive come una tragedia, costretta dall’esercito a stare in una casa che molti non hanno. Ci troviamo in una frattura storica, che blocca la narrazione dominante del progresso capitalistico, la sua oscena produzione e il suo consumo perverso. Ci troviamo chiusi nelle nostre gabbie di cemento, a osservare dalle finestre e dai balconi o attraverso dispositivi tecnologici gli animaletti che escono dalla prigionia a cui li condanniamo finché verrà il momento della loro estinzione. Forse ora saranno loro a osservare da fuori il momento della nostra estinzione. Stiamo osservando la natura respirare e curare i suoi polmoni mentre i nostri sono a rischio. Ci troviamo a osservare con sorpresa che o ci salviamo tutti, soprattutto quelli di noi che guardano sempre giù dalle finestre e dai balconi, o non si salva nessuno.
In questa frattura storica causata dal piccolo organismo – un luogo che non è né sopra né sotto, né a destra né a sinistra, né al centro né alla periferia, né a nord né a sud – assistiamo all’ultimo appuntamento con la nostra finitudine. Questo è il momento di accettare la nostra miseria umana, di essere umili e grati per la vita e il rifugio naturale che ci è stato offerto. Un’umiltà con sufficiente dignità da permetterci di affrontare il vero nemico – il capitalismo patriarcale e coloniale – e non permettere a questa catastrofe di alimentarlo e rafforzarlo. Abbiamo l’eccezionale opportunità di invertire la rotta della storia e di aprire strade verso altre forme di vita umana che non distruggono la natura; che non si appropriano dei territori di altre specie animali; che non espropriano, accumulano e concentrano in poche mani umane ciò che corrisponde all’intera specie per avere una vita piena e rispettosa con ciò che non è umano; che si prendono cura del femminile che si prende cura di noi. Se non saremo capaci di farlo, forse non meritiamo questa grazia cosmica.
Di Natalia Sierra, sociologa ecuadoriana e analista politica.
Traduzione dallo spagnolo di Thomas Schmid