Sento l’obbligo morale di ricordare un testo che è stato fondamentale per me in funzione del coinvolgimento personale con l’educazione scolastica indigena. Mi riferisco al libro di Daniel Matenho Cabixi, indigeno pareci, il cui titolo è A questão indígena (La questione indigena). Pubblicato a Cuiabá nel 1984 dal CDTI – Centro di Documentazione Terra e Indio, il testo riporta la riflessione del pensatore pareci specialmente in relazione al passaggio da “educazione per l’indio”, fino a quel momento imposta da Stato e Chiesa, all’ “educazione indigena”, pensata e gestita dagli stessi indigeni. Detto saggio ha molto influenzato indigenisti e leggi dell’epoca, contribuendo grandemente affinché la trasformazione divenisse realtà. Daniel Matenho Cabixi è stato uno degli intellettuali e pensatori che hanno preceduto il movimento degli scrittori indigeni brasiliani contemporanei.
Fino alla Costituzione del 1988 le scuole per gli indios dovevano servire per “acculturarli”; gli indigeni, cioè, dovevano cessare di appartenere a popoli specifici per trasformarsi in individui marginalizzati e sfruttati all’interno della società nazionale, senza più nessun diritto sulle loro terre ancestrali. In queste scuole era persino proibito l’uso delle lingue materne. Le rivendicazioni dei leader e la loro partecipazione attiva e creativa all’elaborazione della Costituzione determinarono che l’educazione per l’indio si trasformasse in educazione scolastica indigena, pensata e gestita da loro stessi a partire da contenuti oriundi dalle loro culture differenziate. Negli anni ottanta i maestri indigeni, coadiuvati dalle loro comunità, cominciarono a produrre abbecedari e libri di lettura nelle lingue materne e con illustrazioni proprie e artistiche. Attraverso la scuola l’uomo bianco voleva distruggere le etnie brasiliane, le quali, invece, hanno conquistato la scrittura; anche attraverso la letteratura oggigiorno esse affermano identità e rivendicano diritti, lasciando ben chiaro che scrivere è resistere.
Nel febbraio del 2013 mi sono iscritta a facebook. Subito mi sono imbattuta nell’intervista che era stata fatta nel mese di gennaio a Daniel Munduruku da Fernanda Faustino per la casa editrice Global. La notizia che Daniel fosse scrittore indigeno di etnia munduruku richiamò la mia attenzione. Trovai profonde e originali le sue parole; esse si accomodarono dentro di me fino a che, un bel giorno, mi costrinsero a tradurle e divulgarle. La versione in italiano dell’intervista venne pubblicata nell’ottobre del 2013, nel numero 53 di Sagarana, rivista di letteratura fondata in Italia dallo scrittore carioca Júlio Monteiro Martins. A partire da questa intervista, iniziai ad accompagnare il movimento degli scrittori indigeni brasiliani, che Daniel ha fomentato essendo l’ideatore di un progetto collettivo tendente a incoraggiare autori indigeni a scrivere le proprie storie e le storie dei loro popoli. Grazie alla lungimiranza di Daniel, oggigiorno molti e di varie etnie sono gli indigeni che si sono affermarsi come scrittori.
La mia formazione personale lega la parola “lettura” direttamente all’atto di leggere testi scritti. Quando gli autori indigeni parlano di “lettura”, essi si riferiscono all’osservazione dei fatti e della natura. In altre parole ci dicono che, per arrivare a interpretare il mondo con la nostra mente, dobbiamo osservare con curiosità la natura e interpretare i messaggi che la vita ci manda. È l’osservazione e la riflessione che ci formano, che trasformano le conoscenze in sapienza. In questa differente maniera di guardare l’esistenza risiede la qualità della letteratura indigena; letteratura preziosa perché ci ridà ciò che nella letteratura classica, occidentale, si è perso. Gli scrittori indigeni parlano di radici, di mondi ancestrali, della relazione sacra con la natura, del rispetto verso gli anziani e le loro esperienze, delle lingue, culture, tradizioni, spiritualità dei loro popoli. Essi si esprimono in un linguaggio proprio e originale, facendo sistematico uso del plurale per parlare di diversità etniche, di esseri solidali che condividono ciò che posseggono, di uomini che rispettano l’habitat perché credono che ogni e qualsiasi elemento della natura possiede uno spirito, e che gli spiriti sono direttamente legati al mistero della creazione. L’enfasi della cultura occidentale può essere sintetizzata con parole utilizzate al singolare: lucro, consumismo, individualismo.
Il movimento degli scrittori indigeni brasiliani è iniziato negli anni novanta. È incentivato da individui che vivono nelle città ma che, non per questo, smettono di essere e di considerarsi indigeni, tanto che aggiungono il nome dell’etnia ai nomi propri, come Daniel Munduruku e Eliane Potiguara, ad esempio, hanno fatto. Essi scrivono testi originali che riscattano miti, leggende, lingue, tradizioni dei loro popoli, dai quali hanno ereditato maniere differenti di sentire e interpretare la vita. Partecipano a concorsi e fiere letterarie, ottengono premi e riconoscimenti nazionali e internazionali, i loro nomi entrano a far parte di liste d’onore. I libri sono tradotti in altre lingue, sono scelti per essere letti nel circuito di scuole comunali e statali, vengono adattati a spettacoli. Questi autori sono molto attivi e creativi. Impartiscono corsi per educatori e svolgono attività ludiche e formative in scuole pubbliche e private. Organizzano eventi per analizzare la congiuntura e parlare delle lotte per salvaguardare diritti; per divulgare storia, cultura, letteratura, arte, giochi indigeni. In ambito nazionale e internazionale, partecipano a incontri, dibattiti, seminari, conferenze. Sono loro che oggigiorno stanno educando i brasiliani a capire che il Brasile è un paese multietnico, che la diversità è un valore. Hanno profonda consapevolezza di ciò che sono e vogliono ed è questa consapevolezza, questa autostima, questo equilibrio interiore che determina la qualità e originalità della loro scrittura. In modo attivo e creativo essi animano lo scenario socio-politico e artistico brasiliano. I pensatori e scrittori indigeni stanno definendo la vera identità brasiliana, dato che senza gli indigeni il Brasile non esiste.