Ha ragione Papa Francesco: siamo tutti sulla stessa barca. Forse qualche anno fa su quella barca c’erano solo gli sfruttati a remare, mentre gli sfruttatori stavano a terra, al sicuro. Ma ora, con la crisi climatica e ambientale e la pandemia, in quel mare in burrasca ci siamo tutti. Alcuni continuano a remare, anche più forte di prima, per traghettarci sull’altra riva (sono i medici, gli infermieri e i lavoratori impegnati in produzioni essenziali), mentre “quelli là” remano contro; anzi, fanno remare contro una parte consistente della ciurma al loro comando, per riportarci sulla riva da cui stiamo cercando di allontanarci. Molti altri (quelli chiusi in casa, senza compiti specifici) sono semplici “passeggeri”, cui viene raccomandato di non muoversi troppo per non sbilanciare l’imbarcazione. Ma a riva, senza potersi imbarcare, è rimasta una folla di derelitti e di emarginati, di cui pochi si sono accorti, quasi nessuno si preoccupa e che molti governi hanno deciso di lasciare a terra. Per loro va apprestata al più presto un’altra imbarcazione. A poppa, per ora, non c’è nessuno che calmi la tempesta.
L’altra riva, quella verso cui cerca di dirigersi la barca, è la conversione ecologica; sono le misure necessarie per sventare questa come le altre catastrofi che incombono sulla specie umana a causa dei cambiamenti climatici, che tutti i governi del mondo erano riluttanti ad affrontare anche prima di questa pandemia, ma di cui ora nessuno parla più. Anche perché quelli che si battevano per imporre una svolta radicale, come Fridays for future e molti altri, non possono più riempire le piazze.
Ma questo non cambia la realtà delle cose. Per fare fronte a queste emergenze molte delle attuali produzioni dovranno cessare: sono in gran parte quelle già oggi non essenziali o nocive, a partire dall’industria delle armi, o dalle Grandi Opere inutili e dannose, come il TAV Torino-Lione e sono tante! Altre vanno potenziate immediatamente, come tutte quelle legate al sanitario e al cibo. Molte altre, le fonti rinnovabili e l’efficienza energetica, devono essere avviate o potenziate, riconvertendo, dove è possibile, gli impianti esistenti. La progettazione di questa riconversione può partire subito.
Ma chi decide che cosa fare e che cosa fermare? Il governo? I prefetti? I “governatori”? I partiti? La Commissione Europea? Sono le figure e le istituzioni più inadeguate. Se non fossero tali non ci avrebbero trascinato in questa catastrofe (da cui fanno ben poco per tirarci fuori). Non ci hanno mai veramente pensato, anche se climatologi, esperti di ambiente, epidemiologi (la scienza! Che è democratica se e quando si sottopone alla verifica dei fatti, ma di cui adesso c’è persino chi sostiene che avrebbe sempre guidato le scelte governative) e Greta Thunberg urlavano a squarciagola che il pericolo è dietro l’angolo. Nel migliore dei casi si continua a sostenere che con un pacco di miliardi da usare come incentivi il mercato (cioè proprio quelli che hanno sempre remato contro) avrebbe messo le cose “a posto”. Senza fretta, però, anche quelli che avevano già potuto constatare che “la nostra casa brucia”.
Così ora ripropongono la solita ricetta, ma “in salsa emergenziale”: creare liquidità con gli Eurobond (dato che i titoli di Stato di molti paesi verrebbero sottoscritti solo dagli strozzini) – ma è solo altro debito in mano alla finanza – oppure creare qualche forma alternativa di moneta (che almeno non creerebbe altro debito). E per fare cosa? Per dare soldi alle imprese, tutte, perché paghino le forniture, per lo meno fino a quando i mercati globali, ormai squassati dalla pandemia, gliele faranno arrivare. E per continuare a produrre beni e servizi per mercati destinati a evaporare, invece di porre mano, dove è possibile, a quella riconversione che sola assicura un futuro; invece di bloccare subito le attività che un futuro non lo hanno e non lo possono avere. Manca la domanda, ci dicono gli economisti, e anche l’offerta: mettendo in circolo molto denaro, non per sostenere le attività essenziali e le esigenze di chi non ha più i soldi per fare la spesa, bensì i bilanci delle imprese, si attivano risorse inutilizzate (capitale e lavoro) e l’economia può continuare il suo corso. E’ la ricetta di Keynes, ma non funziona più: perché affida la selezione delle attività da ravvivare a un mercato che non sarà mai più quello di prima.
Quella selezione non può più essere fatta dal mercato né dall’alto: va messa nelle mani delle maestranze e dei loro rappresentanti, che sono perfettamente in grado di decidere che cosa è essenziale e che cosa no e che sanno districarsi tra le filiere delle loro forniture. Ma vanno mobilitate anche le associazioni territoriali (a partire dai Gruppi di Acquisto Solidale, che sanno come riorganizzare le filiere alimentari, e in parte anche quelle energetiche). E vanno valorizzati migliaia di esperti e di giovani neodiplomati e neolaureati, già occupati e non, ma oggi sottoutilizzati, insieme alle università e ai centri di ricerca, per svolgere a tappeto check-up multidisciplinari dei territori, degli edifici, delle aziende e per progettare in modalità condivise interventi di conversione e di efficientamento. I Comuni che hanno dichiarato l’emergenza, ieri climatica e ambientale e oggi sanitaria, dovrebbero varare subito un programma per finanziare e mettere al lavoro questi team. La governance del nostro futuro non può che partire di qui.