- Da almeno un decennio il controllo violento sulla mobilità umana attuato con le politiche di negazione del diritto di asilo, di blocco delle frontiere e di criminalizzazione degli ingressi irregolari e di quanti li agevolavano, sia pure per motivi di soccorso, ha costituito il terreno di crescita di un diffuso senso comune incline al sovranismo, al populismo, alla xenofobia ed al razzismo istituzionale. Su questo terreno i partiti di destra hanno consolidato una crescita elettorale considerevole in tutti i paesi europei. Al punto che oggi riescono a condizionare le scelte della maggior parte dei governi in carica e delle istituzioni europee, spesso bloccate dalle posizioni di chiusura dei paesi del gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia) e dei loro alleati. Un blocco che ha comportato la paralisi del processo di riforma del Regolamento Dublino III, che continua a scaricare sui paesi più esterni (come l’Italia, la Spagna, la Grecia Cipro e Malta) l’onere principale nella gestione delle frontiere con i paesi terzi e nell’accoglienza dei richiedenti asilo.In assenza di una politica estera comune capace di risolvere le crisi regionali, dalla Siria alla Libia, l’Unione Europea e gli stati membri hanno rafforzato gli strumenti di controllo della mobilità dei migranti, in nome della lotta all’immigrazione “irregolare” ed ai trafficanti di esseri umani, senza aprire canali legali di ingresso e senza garantire l’effettiva attuazione della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, ma scendendo a patti con i regimi che governavano i paesi terzi, a partire dalla Turchia di Erdogan, per bloccare in quei paesi i potenziali richiedenti asilo che altrimenti sarebbero arrivati alle frontiere europee. Nello stesso periodo venivano progressivamente chiuse tutte le vie di ingresso legale, con l’utilizzazione della categoria di “migranti economici” per giustificare non solo le pratiche di respingimento in frontiera, ma soprattutto la precarietà e lo sfruttamento degli stranieri “irregolari” presenti nel mercato del lavoro, ma perennemente esposti al rischio di essere arrestati, rinchiusi in un centro di detenzione per essere poi deportati nei paesi di origine. espulsioni con accompagnamento forzato che poi in realtà non venivano eseguite che in un numero ridotto di casi, appena qualche migliaio di persone l’anno.Questo sistema di controlli sulla mobilità umana, spacciato come garanzia per difendere la funzionalità del sistema Schengen (la libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione Europea), l’effettività delle politiche di respingimento e di rimpatrio, la sicurezza interna e la pace nei rapporti con i paesi terzi, è ormai andato in crisi, e in questi mesi si frantumerà del tutto, in modalità che saranno evidenti. Anche a quella parte di popolazione che ha finora ritenuto di salvaguardare il proprio residuo benessere con il supporto alle politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera e di blocco delle frontiere, accanendosi nella campagna di odio contro le ONG “colpevoli” di soccorrere troppi naufraghi nelle acque internazionali del Mediterraneo.
- Il dato nuovo più rilevante è costituito dalla svolta politica e militare adottata dalla Turchia, ormai entrata nel conflitto siriano,che dopo mesi di ricatto all’Unione Europea per ottenere copertura sull’invasione del Rojava, adesso va oltre le minacce ed apre le proprie frontiere verso l’Europa, con la rottura sostanziale degli accordi che dal 2016 la legavano agli stati dell’Unione Europea, dietro un compenso che ammontava a diversi miliardi di euro. Si può quindi costatare che l’Europa ha commesso una grave errore di valutazione nel ritenere Erdogan un partner affidabile capace di garantire un controllo effettivo e duraturo delle vie di fuga che i siriani sono costretti a percorrere ancora oggi. Un errore politico che ha comportato la perdita dell’identità europea basata sul rispetto dei diritti umani. Dalla Siria arriva una richiesta di aiuto che non può essere evasa con altre politiche di collaborazione con regimi autoritari, allo scopo esclusivo di fermare i profughi in fuga. politiche che portano soltanto alla guerra ed allo sterminio di altri innocenti.Nelle acque dell’Egeo si stanno consumando crimini contro l’umanità con la presenza complice di assetti navali di Frontex, anche italiani. Le isole greche più vicine alla Turchia sono diventate grandi campi di concentramento e le persone migranti sono esposte ad attacchi da parte di gruppi razzisti. Gli accordi con la Turchia vanno denunciati ed una grande missione internazionale deve garantire la salvezza in mare e l’accesso alle procedure di protezione internazionale a terra.
Sul fronte del Mediterraneo centrale, la disintegrazione dello stato libico, ancora in preda ad un conflitto civile del quale non si vede lo sbocco, dopo il fallimento dell’ennesima conferenza di pace, questa volta a Berlino, e la conclamata corruzione delle forze di sicurezza, in particolare della sedicente guardia costiera “libica”, che sono state foraggiate in questi anni dall’Unione Europea e dall’Italia, rende inefficace una politica di blocco degli arrivi attuata in collaborazione con le autorità libiche. Anche in assenza delle navi delle ONG bloccate o “rallentate” con i pretesti più diversi (anche con la quarantena), le persone continuano ad imbarcarsi per fuggire dalla Libia e le organizzazioni dei trafficanti, colluse con le milizie governative, come nel caso del “comandante” Bija a Zawia, sono sempre più forti. Se gli arrivi non aumentano visibilmente, succede solo perché si moltiplicano i casi di abbandono in mare ed anche perché, se si chiude una rotta, immediatamente se ne apre un’altra. In forte aumento gli arrivi in Spagna e dall’Algeria verso l’Italia.
In molti casi si ritorna ad utilizzare le vie di ingresso terrestri o si tenta la fortuna con un visto di ingresso breve o con documenti falsi. Il numero delle vittime aumenta di continuo, sia in mare, che a terra, dove i migranti sono intrappolati tra le fazioni armate che si contendono la Libia e persino l’UNHCR ha dovuto chiudere i suoi uffici per i combattimenti che anche attorno Tripoli si estendevano sempre di più. Ma le autorità italiane continuano a prestare assistenza alla sedicente guardia costiera “libica”.
- Si aggiunge infine un ulteriore fattore di destabilizzazione che farà saltare del tutto il sistema dei controlli di frontiera sui quali gli attuali governi europei e la stessa Unione Europea, hanno basato le proprie politiche migratorie collegandole esclusivamente al fattore sicurezza, senza mai considerare la possibilità di aprire canali legali di ingresso e salvaguardare effettivamente i diritti umani a partire dal pieno riconoscimento dell’accesso al territorio per la presentazione di un’istanza di protezione internazionale. La Germania, a causa dell’estensione del nuovo COVID 19 ha già sospeso i ritrasferimenti Dublino verso l’Italia dei richiedenti asilo che qui avevano lasciato tracce del loro primo ingresso in Europa. L’Italia deve bloccare i trasferimenti Dublino verso l’area balcanica. Il sistema Dublino si avvia al fallimento finale. Molti altri paesi europei stanno considerando l’ipotesi di sospendere la libera circolazione prevista dal Trattato di Schengen, non sarà dunque l’Italia a chiudere le proprie frontiere, ma gli altri paesi europei potrebbero presto sbarrare i loro confini, o intensificare i controlli di frontiera, anche a scapito dei lavoratori italiani che devono recarsi all’estero per lavoro. Dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione, il tema della mobilità interna, anche con riferimento ai cittadini europei, dovrà necessariamente essere riconsiderato.
- Gli stati con i quali l’Italia ha concluso accordi di riammissione potrebbero rivedere presto le loro politiche. Molti paesi terzi hanno “ricevuto” proprio dall’Italia le prime persone che sono state contagiate dal nuovo Coronavirus, si pensi ai casi registrati in Marocco e in Nigeria, paesi con i quali l’Italia ha accordi di riammissione con procedure semplificate, che negli anni permettevano il rimpatrio con accompagnamento forzato degli immigrati “irregolari” anche senza un’identificazione compiuta, sulla base del mero accertamento della provenienza nazionale. Si può ritenere che tali accordi potranno subire una sospensione nei prossimi mesi, ed in ogni caso dovrebbero essere sospesi anche da parte italiana. Quali garanzie di tutela della salute potranno avere quei migranti nigeriani irregolari, tra questi molti richiedenti asilo denegati, magari anche neomaggiorenni, giunti in Italia all’età di sedici – diciassette anni, che fossero riportati a Lagos con il pesante marchio di essere soggetti potenzialmente infettivi perché provenienti dall’Italia? Non sarebbero forse rinchiusi in quei lazzaretti in cui finiscono spesso le vittime di tratta nigeriane che sono rimpatriate con accompagnamento forzato, e che sono positive al virus dell’HIV? Le storie riferite al riguardo non mancano, e sono noti esiti tragici. In Nigeria, come in altri paesi africani si cura solo chi ha famiglie che pagano, se non si trova il supporto di qualche ONG, come MSF o Emergency, ancora presente in quei paesi.Gli accordi di riammissione che hanno reso concreto le politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera si basano su un sistema detentivo che dovrebbe essere funzionale alla preparazione dei rimpatri forzati, anche quando si tratta di persone già detenute in carcere. Un sistema già fallito del tempo, rispetto al quale il principio di realtà si sta prendendo la rivincita, contro la propaganda di quei partiti che in campagna elettorale annunciavano il rimpatrio forzato di centinaia di migliaia di persone irregolarmente presenti in Italia. Tutti i piani per la moltiplicazione dei centri di detenzione amministrativa sono falliti, anche se sono state aperte strutture impresentabili come il CPR di Macomer, altri centri sono stati chiusi e la “funzionalità” complessiva del sistema è sempre più ridotta.
Non sappiamo in quanto tempo l’opinione pubblica potrà mutare, con uno spostamento dei consensi elettorali dopo anni di propaganda contro i migranti, una propaganda che adesso è smentita dai fatti, dopo che importanti sentenze della magistratura hanno fatto chiarezza sull’abnormità dei decreti sicurezza e delle prassi amministrative delle questure e delle prefetture che ne hanno fatta applicazione, anche con effetto retroattivo, adesso escluso dalla Cassazione con una sentenza a sezioni unite.
- L’Italia e l’Unione Europea sono oggi di fronte ad una grande emergenza sanitaria che potrebbe spingere a posizioni di chiusura ancora maggiore. Potrebbero essere scelte politiche sempre più inefficaci e disumane. L’unica speranza per questo continente e per i suoi abitanti è costituita da un pieno recupero dell’umanità e dei valori base dello stato democratico, a partire dal principio di solidarietà, tra i cittadini ed i nuovi arrivati, tra gli stati, tra i governi regionali ed i governi nazionali, quindi con le istituzioni europee.I rapporti con i paesi terzi andrebbero regolati diversamente abbandonando l’unico asse centrale del controllo repressivo della mobilità migratoria, ma orientandosi verso la pace, la soluzione pacifica dei conflitti e lo sviluppo, favorendo tutte le possibilità d’ingresso legale, superando il meccanismo dei decreti flussi.
Il fallimento delle politiche di “gestione delle migrazioni” e dei controlli di frontiera “delegati” ad autorità statali che non rispettano i diritti umani va affrontato con la sospensione degli accordi bilaterali di cooperazione operativa e di riammissione e con provvedimenti di regolarizzazione successiva per quanti sono stati costretti a fare ingresso irregolare o sono rimasti privi del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Tutti coloro che hanno avuto respinta la richiesta di protezione internazionale per l’applicazione errata del “decreto sicurezza” 1137/2018, poi convertito nella legge n.132/2018, devono avere la possibilità di un riesame della loro posizione ed ottenere il riconoscimento della protezione umanitaria, ancora prevista dall’art. 10 della Costituzione, e sicuramente da riconoscere a tutti coloro che avevano presentato domanda prima del 4 ottobre 2018, soprattutto se giunti in età minore.
Vanno immediatamente liberate le navi delle ONG bloccate con i pretesti più diversi, adesso anche misure amministrative di quarantena, e ripristinate le missioni di soccorso nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale. Stiamo vedendo soltanto adesso quali sono le conseguenze del blocco delle missioni di ricerca e soccorso delle navi umanitarie. In alto mare si muore per abbandono, anche perché gli stati non garantiscono più il rispetto degli obblighi di salvataggio imposti dalle Convenzioni internazionali.L’Unione Europea deve ripristinare le missioni Frontex ed Eunavfor Med non solo per attività repressive di law enforcement di contrasto dell’immigrazione irregolare da esercitare con i mezzi aerei, lasciando al loro destino i naufraghi che vengono avvistati in alto mare, ma con l’invio di unità navali che, come avvenne nel 2015 con le missioni di Frontex, si devono spingere fino a 30 miglia dalla costa libica. Per salvare vite, per non abbandonare altri naufraghi in mare.
Il fallimento delle politiche di controllo delle frontiere, l’incapacità di accettare la mobilità umana come un fattore di pace e di sviluppo, sta comportando, in una logica di guerra permanente e di cupo nazionalismo, una svolta autoritaria in tutti i paesi del mondo ed particolare in Italia. Attraverso lo svuotamento dei principi costituzionali, la negazione del diritto internazionale, l’esautoramento delle assemblee elettive. Senza una forte reazione democratica e solidale e senza percorsi unitari ed aggreganti, questa svolta potrebbe diventare irreversibile.