Quanto stiamo vivendo è tragicamente capace di portare sgomento, lasciandoci senza parole. Eppure non possiamo permetterci di essere testimoni muti di decisioni irresponsabili, né di essere completamente disorientati e in preda allo sgomento.
Viviamo giorni surreali in cui la distanza è la maggior forma di vicinanza nei confronti di se stessi, degli altri e di tutta la collettività. Questa emergenza sanitaria sta aprendo una nuova visione del mondo basata non più sulla centralità dell’io, bensì sulla centralità del noi, ossia sull’imprescindibilità di una dimensione collettiva e plurale per immaginare un futuro. Un futuro che trova il suo fondamento nell’universalità dei diritti costituzionalmente riconosciuti e nel rispetto del valore dei beni comuni.
Ritorna centrale, in questa pandemia, il grande insegnamento dell’enciclica Laudato si’ che ci fa riscoprire essere parte di uno stesso mondo globale, inevitabilmente interconnesso. Il suo monito fondato sulla necessità di un cambiamento di rotta nel cammino dell’umanità ritorna a essere quanto mai urgente e puntuale in questi giorni. Un monito che possiamo accogliere e pensare di compiere, se ad agire siamo insieme. Lo stiamo imparando (o rimparando) bene in questi giorni, dove abbiamo capito che per sconfiggere il virus serve l’impegno, la collaborazione e la resistenza di tutti, nessuno escluso.
Le rinunce e i sacrifici sono in nome di un bene comune. Si esplica quindi un nuova socialità oggi testimoniata dalle azioni coscientemente solidali che si stanno dispiegando su tutto il territorio nazionale. L’esempio più straordinario ci arriva dai reparti ospedalieri, dove gli operatori sanitari – medici, infermieri e pazienti – dimostrano un coraggio che alimenta la speranza.
Vi è poi anche un’altra grande solidarietà alla quale dobbiamo essere ugualmente tanto grati. Una solidarietà che non compare in prima linea, bensì nelle retrovie e non per questo meno importante. Mi riferisco agli operatori e ai volontari che impegnati nei servizi di cura e nelle realtà comunitarie stanno oggi, con professionalità e devozione, improvvisando nuove forme per garantire, nel rispetto delle norme di sicurezza, aiuto e presenza a chi è più fragile e in difficoltà.
Non possiamo che far tesoro di questa esperienza e di tutte quelle forze innovative e spontanee che stanno dimostrando l’esistenza e la ricchezza di un tessuto sociale coeso e solidale. Dobbiamo però prestare molta attenzione: se davvero vogliamo dare vita ad una nuova visione del mondo non più fondata sul comportamento umano individualistico, allora dobbiamo lavorare da subito e con radicalità.
Diciamolo forte e chiaro: di fronte alla pandemia non siamo tutti uguali e le misure che fronteggiano questa emergenza rischiano di provocare fratture inique nella società. In queste misure, c’è chi è dentro e chi rimane fuori. Mi riferisco a tutto un mondo di lavoratori, italiani e stranieri, la cui funzione è essenziale, eppure spesso rimane invisibile e non tutelata. Penso ai lavoratori saltuari, agli impiegati nei supermercati, agli operatori della grande distribuzione, agli operai, ai rider, ai fattorini, ai facchini, ai lavoratori nell’agricoltura, ai care-giver, agli operatori nell’accoglienza, ecc. ecc. Penso a tutte quelle persone insomma che lavorano in condizioni vulnerabili, precarie o irregolari per i quali proteggersi diventa difficile, se non impossibile.
In questi giorni si è a lungo dibattuto su quali fossero i beni e i servizi essenziali per i quali continuare la produzione. Non tocca a noi decidere quale sia l’essenzialità di questi beni e di questi servizi, tuttavia reputo fondamentale che, nella garanzia di un processo trasparente e condiviso delle informazioni, venga ascoltata la voce dei diretti interessati. Emerge un vivace protagonismo da parte dei lavoratori e delle lavoratrici che merita di essere valorizzato poiché esso non è espressione egoistica della difesa della propria sopravvivenza, ma salvaguardia del diritto alla salute e tutela della sicurezza e del benessere della collettività intera.
Abbiamo bisogno di nuove consapevolezze e responsabilità, come società e soprattutto come istituzioni rappresentanti questa società. Un segno positivo ed incoraggiante che guardo come accadimento nuovo nelle coscienze arriva dalle numerose persone che hanno prontamente aderito alla lettera-appello dell’Associazione Laudato si’. Questa lettera, insieme alle posizioni del sindacato unito nelle sue configurazioni, suggerisce una strada diversa, per un cambiamento radicale, affinché il “dopo” non torni ad essere uguale al “prima”.