In futuro diventerà sicuramente un caso da studiare. Ci si domanderà perché i numeri diffusi ufficialmente in relazione alla pandemia dovuta al coronavirus fossero così diversi dalla realtà. E soprattutto ci si chiederà perché si è continuato ad informare la popolazione utilizzando statistiche palesemente poco significative. Proviamo a spiegare queste affermazioni.
Ogni giorno alle ore 17 vengono aggiornati e resi pubblici i dati dei positivi al virus covid-19. Il problema è che il riscontro della positività è sicuramente correlato al numero di verifiche effettuate. Il 22 marzo in Lombardia risultavano 27.206 casi di persone colpite dal coronavirus a fronte di 70.598 tamponi effettuati. Quindi, un malato ogni 2,59 persone controllate. Nella stessa data in Veneto i cittadini affetti dal virus risultavano 5.122 dopo aver effettuato 57.671 controlli sanitari. Cioè un contagiato ogni 11,26 persone verificate. È del tutto evidente che in Lombardia il virus è assai più diffuso che in Veneto e di conseguenza è ragionevole presumere che, aumentando i tamponi in Lombardia, risulterebbero molti altri malati contagiati dal virus.
Nei luoghi in cui il coronavirus è più diffuso, le strutture sanitarie sono vicine al collasso. In queste situazioni non c’è tempo e non ci sono risorse per fare tutte le opportune verifiche: si utilizzano tutte le energie disponibili per cercare di arginare e contrastare il virus. Dato che gli ospedali sono saturi, molti ammalati restano a casa o si trovano nelle residenze per anziani. Molti guariscono, senza che risultino nelle statistiche dei contagiati e nemmeno in quelle dei guariti, poiché non è stato fatto alcun tampone. Ma non pochi, soprattutto tra i più anziani, muoiono, senza essere considerati dalle statistiche. Pertanto è evidente che le statistiche ufficiali raccontano in modo assai parziale la realtà.
A comprendere la grande distanza tra i numeri diffusi ufficialmente e la situazione reale sono stati molti sindaci della bergamasca. Si sono accorti che solo una piccola percentuale dei morti viene classificata per cause dovute a coronavirus. Questo a causa del fatto che non sono stati effettuati tamponi e quindi non è certo che siano morti per il virus.
Ecco qualche esempio: dall’inizio del mese a Seriate – stando alle statistiche – il coronavirus avrebbe causato 9 morti, ma l’ufficio anagrafe del comune ha registrato 60 deceduti. A Caravaggio ufficialmente soltanto 2 morti per il virus, ma al comune risultano 50 morti, contro una media di 6 negli anni precedenti. A Nembro, uno dei paesi più colpiti, in un mese ci sono stati 120 morti, cioè lo stesso numero medio dei morti di un anno. A Selvino ci sono stati 20 decessi, cioè quelli che di media avvengono in un anno e mezzo.
Probabilmente un modo per avere un riscontro reale sull’incidenza del virus è proprio quello indicato dai sindaci: fare la differenza tra i deceduti di queste ultime settimane e il numero dei morti degli anni precedenti nello stesso periodo. Questo sarebbe un numero attendibile del danno reale provocato dal coronavirus.
Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, da alcuni giorni sta sottolineando la necessità di «dare una rappresentazione più realistica del problema gravissimo che stiamo affrontando. I dati sono la punta dell’iceberg. Vale per i contagi, i ricoveri e purtroppo anche per i decessi. Troppe vittime non vengono contemplate nei report perché muoiono a casa». Anche L’Eco di Bergamo, il quotidiano locale, ha scritto: «Numeri inattendibili, parziali, perché ormai la realtà è molto più drammatica».
Persino i telegiornali nazionali, seppure in ritardo, si stanno accorgendo che la situazione in Lombardia – ed in particolare nella bergamasca – è più grave di quanto si evince dai numeri delle statistiche ufficiali. È probabile che per non diffondere panico e scoramento nella popolazione sia prevalsa la cautela. Ma il fatto di sottacere i numeri reali non aiuta la gente delle altre province e regioni a comprendere la gravità della situazione. E il virus, purtroppo, non diminuisce diffondendo numeri inferiori a quanto accade nella realtà.