7 detenuti morti durante le rivolte nel carcere di “Sant’Anna” a Modena. Giancarlo Muzzarelli, sindaco di Modena, dichiara che «chi fa polemiche non dimostra senso dello Stato». Ci stiamo invece chiedendo quale “senso” dimostri lo stato penale davanti a quella che è, probabilmente, la rivolta in carcere con il maggior numero di morti nella storia repubblicana, davanti a una strage che lo stato negligente avrebbe causato. «Una tragedia annunciata», scrivono dal Senza Quartiere di Modena, e rendono conto della conferma di un detenuto positivo al tampone per il coronavirus.
Gli spazi vitali in carcere non sono sufficienti per garantire la distanza interpersonale di 1 metro in ogni contatto sociale. Questa emergenza eccezionale si cumula alla cronica degradazione che patiscono i detenuti. Scrive Luca Abbà, semilibero NO TAV: «Un provvedimento urgente, e di assoluto buon senso, sarebbe quello di liberare chi già gode di benefici, chi è sopra una soglia di età definita “a rischio”, chi ha un residuo di pena sotto i due anni. Non sta a me proporre quali misure alternative si potrebbero applicare (tipo obblighi di firma, rientri domiciliari ecc…) e nemmeno la forma legislativa adeguata (amnistia, indulto, decreto legge). Ai detenuti esclusi da tale provvedimento si potrebbero applicare più facilmente misure di prevenzione e sicurezza adeguate per poter garantire i colloqui con i propri cari e condizioni di detenzione meno disagiate di quelle odierne a causa del sovraffollamento cronico degli ultimi anni». Penso che chi sta fuori non dovrebbe mai perdere occasione di riportare le parole autentiche di chi sta dentro, anche quando non si è d’accordo. Bisogna lasciare spazio alla crescita di una autorappresentazione delle persone detenute e non trattarle come mero oggetto del discorso.
Più avanti Abbà aggiunge: «Perfino in un paese come l’Iran, che non si può certo dire sia gestito da un regime democratico, si è appreso da alcune fonti di stampa che sono stati scarcerati e messi ai domiciliari più di 50 mila detenuti con pene inferiori ai 5 anni». L’esempio dell’Iran è girato molto nel discorso politico di movimento. Abbà è stato “misurato” rispetto a quello che si legge in giro.
C’è chi tesse lodi per il lungimirante governo iraniano che converte temporaneamente le pene prima di 54.000, poi di 70.000 detenuti agli arresti domiciliari [qui e qui]. Addirittura un carissimo compagno (che in carcere c’è stato 30 anni) si spende in elogi per la «grande apertura mentale [del] popolo persiano» e che «[s]arebbe opportuno che quegli stati sempre pronti a giudicare e condannare, questa volte seguissero l’esempio iraniano». [non metto il link a questo commento]
Penso che, nell’intenzione degli autori di questi commenti, l’adagio “perfino l’Iran ha fatto così! E l’Italia no!” dovrebbe contribuire a indurre il governo ad adottare immediatamente misure di massa alternative al carcere, o dovrebbe aiutarci ad avere una lettura critica sulla situazione iraniana e/o italiana, o quantomeno dovrebbe evidenziare una supposta contraddizione e ipocrisia fra le condanne che si scagliano contro i “regimi” talvolta “umani” e le prassi governamentali italiane.
Provo a fare chiarezza con articoli raggiungibili a portata di clic e supportato da una lettura di attivist* iranian*.
Stando alla mezzanotte del 9 marzo, l’Iran è il quarto paese (dopo Cina, Italia e Corea del Sud) per numero di morti da COVID-19. La curva temporale dei casi confermati non ha ancora preso la tipica forma a S come per la Corea del Sud, un segno del successo delle misure di contenimento dell’epidemia. [vedi immagine, fonte aggregata da Roylab Stats, Corea del Sud] L’Italia è ancora molto lontana.
23 parlamentari del Majlis iraniano (uno su 12) sono risultati positivi ai test. L’ayatollah Khamenei ha annullato il suo discorso pubblico di capodanno (il Nowrūz, 20 marzo) nella città santa di Mashhad. La situazione è già tragica di suo ed è aggravata dalle sanzioni statunitensi che gruppi vicini a Trump vorrebbero perfino inasprire bloccando del tutto la fornitura di farmaci.
Il sovraffollamento medio nelle carceri in Italia è al 120%. I detenuti però non sono equamente distribuiti e i numeri medi non danno l’idea del sovraffollamento nelle singole carceri. Ad es. a Bologna siamo al 180%. [qui]
Il sovraffollamento medio nelle carceri iraniane è già ai livelli di Bologna: 180% nel 2018. Quello reale nelle singole carceri può superare facilmente il 200%. Significa in quelle carceri che i detenuti sono il doppio rispetto alla capienza.
Sono ammalate o morte varie figure chiave nel governo, nel parlamento e nella giustizia. [fonte secondaria, fonti primarie nelle note] La morte è arrivata così vicina ai decisori politici che non esiste più giustificazione alcuna all’inazione efficace e mette a dura prova la tenuta del consenso nel paese. Il governo iraniano è seduto sotto una polveriera che nemmeno i 1500 manifestanti ammazzati lo scorso novembre dalla polizia iraniana ha sopito. È servita l’esecuzione sommaria di Soleimani targata Trump per far rientrare momentaneamente le proteste, ma la conflittualità è latente e le recrudescenze sono dietro l’angolo.
In Italia, invece, a che punto è il conflitto? Cosa si pensa delle persone detenute? Com’è considerato il carcere nel discorso politico? Quale legittimità hanno misure repressive diffuse e pervasive? Sono domande che lascio aperte come esercizio.
Nell’intenzione degli autori di questi commenti, il riconoscere al governo iraniano che per una volta tanto ha fatto bene dovrebbe essere usato come leva nei confronti del governo italiano. Penso che questa leva sia del tutto inservibile data l’irrilevanza del movimento antipenale in Italia, e che anzi sfoca le stragi di stato del governo iraniano e intralcia una solidarietà internazionale (aggiungo: internazionalista). Se cantiamo ancora “Per i morti di Reggio Emilia” (5 morti), dovremmo starci più attenti.
di Roberto Amabile