1. La pandemia di COVID 19 si sta estendendo negli stessi giorni in cui si portano a compimento nel modo più atroce le politiche di respingimento e di confinamento forzato alle frontiere esterne dell’Unione Europea, a Lesbo, nelle isole greche dell’Egeo ed al confini del fiume Evros in Grecia, nel Mediterraneo centrale sulla rotta libica, con respingimenti collettivi in mare verso i campi di concentramento presenti da anni in Libia con la complicità dell’intera comunità internazionale. Di fronte alla tragedia più vicina che colpisce la popolazione italiana, il livello di indifferenza verso le violazioni dei diritti umani ai confini dell’Europa sembra ormai avere raggiunto la soglia più alta. Come se il valore della vita dipendesse dalla prossimità delle vittime e dalla loro appartenenza ad una “nazione”.
L’Unione Europea si è dimostrata incapace di una effettiva governance unitaria, ormai limitata agli aspetti puramente repressivi come le operazioni dell’Agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne (FRONTEX). I vertici di Bruxelles hanno dovuto prendere atto della fine del sistema Schengen decisa dai singoli governi nazionali, una vittoria evidente dei regimi sovranisti che da tempo avevano sospeso le norme sulla libertà di circolazione cominciando dai soggetti più vulnerabili, i potenziali richiedenti asilo. Se a questo aggiungiamo una divisione sostanziale sulle misure di carattere economico per affrontare una crisi globale che sarà di lungo periodo, non possiamo che prendere atto che l’Unione Europea ormai esista solo come contenitore burocratico, mentre le scelte effettive sono degradate a politiche intergovernative in cui ciascun paese cerca di dettare le sue regole in base ai rapporti di forza che si determinano nel tempo. Ne deriva una spinta formidabile per quei partiti populisti che da tempo cercano di propagandare l’uscita dall’Unione Europea e dall’euro come la panacea per la crisi economica attraversata dai ceti più deboli, una crisi che con l’aggravarsi della pandemia ed il blocco delle attività lavorative, non potrà che diventare devastante per la vita delle persone e per l’assetto democratico dei paesi in cui vivono.
2. In Italia si è scelta la strada del progressivo inasprimento delle misure limitative della libertà di circolazione, prevista dall’articolo 16 della Costituzione, come metodo prevalente per garantire quell’”isolamento sociale”che, in un paese caratterizzato da un sistema sanitario depotenziato per i tagli apportati negli anni a tutti i settori del “pubblico”, appare l’unico rimedio in grado di rallentare la diffusione del COVID 19. Una serie di provvedimenti che non avranno certo la breve durata temporale dei decreti fin qui adottati dal governo, ma che rischia di diventare una riduzione permanente della libertà personale sottoposta a controllo di polizia. Controllo che è stato affidato anche ai militari dell’esercito ai quali su richiesta del prefetto viene attribuita la qualifica di agenti di pubblica sicurezza. Come abbiamo già scritto si tratta di misure che per quanto opportune da un punto di vista sanitario, nella loro concreta formulazione e soprattutto nella prassi delle autorità di polizia, si traducono in una vasta oscillazione di decisioni discrezionali nella valutazione dei motivi che ancora legittimano una minima libertà di circolazione. Migliaia le denunce all’autorità giudiziaria per inosservanza di ordine dell’autorità (art. 650 c.p.) e per reati più gravi come il falso nella dichiarazione a pubblico ufficiale ( art. 495 c.p.) e da ultimo la diffusione di epidemia (art. 428 c.p.).
Appare evidente come ci si trovi su un piano inclinato che, con il procedere della pandemia e con l’inasprimento delle sanzioni repressive, comporterà fatalmente un punto di non ritorno nell’adozione di misure limitative della libertà personale in nome di superiori interessi di rilevanza pubblica, oggi di carattere sanitario, domani magari per motivi economici o di conflitto sociale che potrebbe derivarne ( come si è visto negli anni scorsi con le zone rosse). Un primo terreno di sperimentazione di questo abbattimento del sistema delle garanzie proprie di uno stato democratico al tempo del COVID 19 si verifica adesso con i migranti, ed a breve si verificherà anche nei confronti della componente più debole della popolazione italiana, quella dei tanti senza fissa dimora e di tutti coloro che sono costretti a vivere in insediamenti informali, o in occupazioni abitative, ai limiti della clandestinità. Occorre rafforzare le reti sociali di protezione piuttosto che puntare soltanto su misure di pubblica sicurezza.
Come ha richiesto la Campagna LasciateCientrare, “L’eccezionalità della situazione dovrebbe imporre l’adozione di misure, atti e comportamenti che non violino le prescrizioni sanitarie e le precauzioni attinenti alle misure adottate per tutta la cittadinanza e sono migliaia le persone senza una dimora che in questi giorni di emergenza hanno bisogno di attenzione e di interventi straordinari, come ha ricordato anche il capo dipartimento della Protezione civile, Angelo Borrelli, chiedendo a Comuni e Regioni di occuparsene”.
3. Le più recenti prescrizioni contenute nei moduli di autocertificazione che impongono una dichiarazione di non positività per tutti coloro che vengono fermati sulla strada dalle autorità di pubblica sicurezza rimettono alle forze di polizia una valutazione “a posteriori” del comportamento delle persone che può avere gravi conseguenze penali. La moltiplicazione delle sanzioni e dei reati non sembra avere quella efficacia deterrente che si vorrebbe attribuire allo strumento penale. Il carcere sembra sempre meno lo strumento con il quale si può garantire il rispetto delle prescrizioni di condotta legate al contrasto dell’emergenza COVID 19 in corso.
È importante che oggi sia finalmente arrivato un provvedimento del governo che prevede che fino al 30 giugno 2020, potrà essere ottenuta la detenzione domiciliare dai detenuti che devono scontare una pena, o residuo di pena, fino a 18 mesi, come già previsto dalla normativa vigente, ma con una procedura semplificata. Vedremo adesso come saranno attuate le misure di decongestionamento delle carceri contenute nel decreto approvato oggi in Consiglio dei ministri.
Se si considera la situazione di disfacimento del sistema di accoglienza italiano, effetto anche del cd. “capitolato Salvini”, che ha ridotto a livelli insostenibili i pagamenti dovuti agli enti gestori, mentre continuano ad essere notificati i dinieghi adottati dalle Commissioni territoriali dopo l’abolizione della protezione umanitaria, i centri più affollati rischiano di diventare una bomba sociale e sanitaria che farà per prime vittime gli stessi migranti in ospitalità, ma con conseguenze a catena anche per la popolazione residente. I centri più grandi, come quelli di Milano e Bologna, vanno chiusi, il sistema degli SPRAR ad accoglienza diffusa va rifinanziato e di nuovo ampliato. Gli operatori che erano stati licenziati vanno riassunti per portare a compimento i percorsi di inclusione che erano stati avviati e che poi sono stati interrotti. Non solo nell’interesse dei migranti, ma di tutti i cittadini. e in particolare degli operatori. sanitari e di polizia Piuttosto che aumentare i controlli discrezionali di polizia andrebbero aumentati i test per verificare lo stato di positività.
A fronte della chiusura in entrambi i sensi delle frontiere Schengen interne ed esterne, anticipata dalla chiusura delle frontiere di numerosi paesi di transito e di provenienza, come l’Egitto, la Libia, la Tunisia, l’Algeria, il Marocco, la Nigeria e tanti altri in Africa, e non solo, va adottata una immediata moratoria di tutte le espulsioni e dei respingimenti. Occorre adottare una registrazione di tutti gli immigrati irregolari presenti in Italia, finalizzata non ad una espulsione che oggi non appare più possibile, anche per la chiusura di numerosi centri per i rimpatri ( come i CPR di Trapani e di Caltanissetta, a breve), ma a garantire loro una stabilità di soggiorno in un luogo determinato, senza quella mobilità incontrollabile che viene prodotta dalla criminalizzazione dell’esclusione e dalla clandestinizzazione forzata che ne deriva. Tutti i centri di detenzione amministrativa vanno chiusi, oggi che appare evidente l’impossibilità di portare a compimento operazioni di rimpatrio con accompagnamento forzato.
La diffusione del COVID 19 in Africa è ancora assai limitata, ma presto potrebbe estendersi, e questo potrebbe comportare una discriminazione ancora più forte nei confronti dei migranti che comunque continueranno ad arrivare nel nostro paese. I partiti populisti non aspettano altro per rilanciare la loro politica del “nemico interno”. Per quanti ancora continuano ad arrivare sulle nostre coste, anche adesso che quasi tutte le ONG operanti nel Mediterraneo centrale sono state allontanate, occorre garantire luoghi di prima accoglienza e transito, e sistemi di monitoraggio sanitario tempestivo che non determino scontri con la popolazione residente, come si sta verificando in questi giorni in Sicilia, nella cittadina di Porto Empedocle (Agrigento). Di certo, su questo versante non si potrà più contare sulla solidarietà europea, tutta orientata a misure di respingimento ed espulsione (e di preventivo internamento).
Malgrado il blocco della maggior parte delle attività amministrative degli uffici di questura e degli uffici giudiziari si dovrà comunque garantire il rispetto delle regole date dall’ordinamento interno e sovranazionale, in particolare per quanto riguarda l’accesso alla procedura di asilo, il divieto di respingimento ( art. 33 della Convenzione di Ginevra), i diritti dei minori non accompagnati (inespellibili) e degli altri soggetti vulnerabili ( art. 19 T.U. n.286/98) come delle vittime di tortura e della tratta. Particolarmente critica la posizione di centinaia di migranti potenziali richiedenti asilo, ancora trattenuti nel centro Hotspot di Pozzallo dopo il periodo di quarantena obbligatoria.
4. Il rischio che l’emergenza sanitaria, ed il dolore collettivo ed individuale che la circonda, travolga le basi stesse dello stato di diritto è assai alto, anche perché dietro i richiami all’unità nazionale alcune forze politiche, che hanno rapporti preferenziali con le forze di polizia, e solidi collegamenti con i regimi più autoritari del mondo, dalla Russia di Putin al Brasile di Bolsonaro, continuano a perseguire una politica di cupo nazionalismo. Una politica del “prima gli italiani”, che si propone da tempo una forte concentrazione dei poteri, il sostanziale esautoramento delle assemblee parlamentari, il controllo della magistratura, una politica che non potrà che avere risvolti autoritari nei confronti dei migranti e di tutti i cittadini solidali che si opporranno. Come se non fosse evidente che l’unica soluzione delle questioni ambientali e sanitarie si potrà ritrovare in una forte coesione sociale attorno ai principi di solidarietà e inclusione.
Anche in questi giorni di “isolamento domiciliare” occorre rompere il muro del silenzio e del conformismo. Piuttosto che intonare l’inno nazionale alla finestra, magari si potrebbero leggere gli articoli della Costituzione italiana. Occorre soprattutto continuare a costruire, con determinazione ancora maggiore, reti civiche di collegamento articolate per snodi locali, che permettano un monitoraggio sull’applicazione delle nuove disposizioni che limitano la libertà di circolazione e la connessa libertà di riunione. Un percorso di difesa legale e di controinformazione che dovrà proseguirsi anche quando questa “emergenza” avrà superato il suo picco più elevato, perchè una cosa oggi può dirsi certa. Nulla tornerà come prima. E purtroppo ,tra le due possibilità aperte, che si possa ancora sperare in un ritorno di solidarietà, a partire dal recupero dell’ambiente e dalla ricostruzione di un sistema sanitario pubblico, o che ci si possa ritrovare in uno stato “a democrazia autoritaria”, molti segnali politici, ed economici, con la recessione globale che si profila, come le più recenti tendenze di voto, lasciano intravedere il prevalere di nazionalismi di segno diverso e dunque il possibile tramonto dello stato democratico.