Domenica 29 marzo si sarebbe dovuto svolgere il referendum sulla legge costituzionale «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari». Il testo di questa legge costituzionale è stato approvato dal Senato della Repubblica in seconda votazione con la maggioranza assoluta dei suoi componenti nella seduta dell’11 luglio 2019 e dalla Camera dei deputati in seconda votazione con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti nella seduta dell’8 ottobre 2019. Il 10 gennaio 2020 è stata depositata in Cassazione la richiesta sottoscritta da 71 senatori (la Costituzione prescrive almeno un quinto del totale) del referendum confermativo della legge di modifica costituzionale. Il Governo in un primo tempo ha fissato il 29 marzo 2020 come giornata di svolgimento del referendum, ma successivamente – a causa della pandemia – ha deciso il rinvio della consultazione popolare a data da stabilirsi.
È davvero paradossale che il principale sostenitore del taglio dei parlamentari sia una forza politica “populista” come il Movimento 5 Stelle. Di solito sono i gruppi che fanno riferimento alla volontà popolare e alla democrazia diretta a chiedere una democrazia rappresentativa più ampia, in cui trovino spazio i candidati “popolari” e non soltanto i “professionisti della politica”. Considerando il fatto che gli eletti del M5S sono spesso “nuovi” alle aule parlamentari e che utilizzano spesso lo slogan “uno vale uno”, emerge chiaramente la contraddizione di chi vorrebbe tagliare il ramo sul quale è seduto.
Per sostenere che i parlamentari italiani sono troppi, il principale argomento è “comparativo”. Si fa il raffronto con altri Paesi, per arrivare alla conclusione che dobbiamo adeguarci agli (inesistenti) standard europei. Il ragionamento è particolarmente stupido. Ad esempio, in Italia il rapporto tra medici e abitanti è superiore alla media OCSE, ma non credo che ci sia una sola persona ragionevole che – per questo motivo – proponga oggi di ridurre il numero dei medici in Italia.
Quando si fa un raffronto, bisogna farlo tra situazioni paragonabili. Altrimenti è un imbroglio. In Italia vige il bicameralismo perfetto, in cui il potere legislativo viene esercitato da due camere rappresentative legislative paritarie: uguali compiti e poteri derivanti dalla stessa rilevanza costituzionale. Nell’Unione europea non ci sono altri Paesi strutturati con un sistema bicamerale perfetto. In considerazione del rapporto rappresentativo che in Italia si instaura separatamente nei due rami del Parlamento, non possono essere grossolanamente sommati i seggi dell’una e dell’altra camera. Pertanto, tutti i confronti con gli altri Stati sono fuorvianti. È il caso di ricordare che il carattere bicamerale del Parlamento non è né considerato né messo in discussione dalla proposta di riduzione del numero dei parlamentari.
Volendo applicare la logica comparativa per le singole sedi parlamentari, la Camera dei deputati attuale (con 630 seggi) esprime un deputato ogni 96 mila abitanti, con soltanto quattro Paesi europei (Germania, Francia, Spagna e Paesi Bassi) con un rapporto che supera i 100 mila abitanti per rappresentante. In tutti gli altri Paesi ogni eletto rappresenta un numero di abitanti più ristretto di quello italiano.
In seguito all’eventuale riduzione la Camera presenterà un rapporto di circa 0,7 seggi ogni centomila abitanti e il Senato un rapporto di circa 0,35, vale a dire un deputato ogni centocinquantamila e un senatore ogni trecentomila residenti. Un rapporto, soprattutto per il Senato, del tutto disallineato rispetto a quello che in genere caratterizza le camere elettive in Europa, in particolare quelle che esercitano oltre alla funzione legislativa anche la funzione di indirizzo e controllo.
Il costituzionalista Andrea Gratteri ha commentato in modo efficace questa tendenza: “Nel momento in cui si è perseguito l’obbiettivo di rendere più omogenea l’architettura di base del Parlamento italiano a quella degli altri Parlamenti europei, si è trascurata la sua peculiare condizione di Parlamento bicamerale perfetto e ci si è dimostrati più realisti del re nel volerne ridurre le dimensioni”.
È evidente che la riduzione del numero dei parlamentari comporterà una minore rappresentatività, dovuta alla maggior difficoltà con cui le minoranze potranno essere competitive nel riparto dei seggi nelle circoscrizioni elettorali. Non è difficile comprendere come un Parlamento di ridotte dimensioni, soprattutto in riferimento al Senato, sarà meno pluralista e – in definitiva – meno rappresentativo delle molteplici sfumature della comunità politica. Di conseguenza, la sovranità apparterrà un po’ meno al popolo e un po’ di più al sistema dei partiti. È questo il vero obiettivo dei sostenitori del taglio dei parlamentari?