Dal 2011 a oggi l’economia americana ha creato 2 milioni di posti di lavoro ogni anno. Di questi nove anni tre riguardano il mandato di Donald Trump e gli altri sei quello di Barack Obama. A sentire Trump però nel suo discorso al Congresso sullo Stato dell’Unione tutto funziona a meraviglia per merito suo. Per le tante falsità e per avere creato un’atmosfera di rally elettorale nell’aula del Congresso, la speaker Nancy Pelosi ha strappato il discorso di Trump davanti tutti.
Ciononostante Trump non ha tutti i torti. L’economia sta andando bene, almeno sotto certi punti di vista semplicistici che potrebbero fare la differenza per la sua rielezione nel mese di novembre di quest’anno. Gli americani votano con la pancia e se hanno la convinzione che le cose vanno bene dal punto di vista economico preferiscono non cambiare rotta a prescindere da altre questioni fondamentali. Come va ricordato, nella campagna elettorale del 1992, James Carville, il consigliere di Bill Clinton coniò lo slogan “It’s the economy, stupid”, concentrandosi sull’economia, sconfiggendo alla fine George H. Bush, il cui tasso di approvazione raggiungeva il 90%. Se l’economia continua a reggere, la rielezione per Trump potrebbe essere una passeggiata.
La disoccupazione attuale del 3,7 % si trova ai minimi storici, ma aveva già cominciato a scendere con Obama. Quando il primo presidente afro-americano entrò alla Casa Bianca ricevette un’economia disastrosa da George W. Bush, la peggiore della storia, eccetto per la Great Depression (Grande depressione) del 1929. La cosiddetta Great Recession (Grande recessione), causata dai mutui subprime e mercati immobiliari, durò dal 2007 al 2013. La disoccupazione si aggirava intorno al 10%, ma alla fine del secondo mandato di Obama era già scesa al 4,7%. Con Trump è scesa di un punto, ma prendersi il credito del “miracolo” economico riflette il modus operandi dell’attuale inquilino della Casa Bianca. Quando le cose vanno storte accusa sempre altri; quando le cose vanno bene è tutto merito suo.
Non è vero, ovviamente, ma sotto certi aspetti l’economia continua a mandare segnali positivi. Nel mese di gennaio sono stati creati 225.000 posti di lavoro. I salari continuano ad aumentare, come si vedeva già nel primo mandato di Obama. Nel 2018 il salario medio lordo di una famiglia americana si aggirava sui 63mila dollari, solo 3,6% più alto del 2012, quando il paese continuava a soffrire per la crisi economica del tempo. Il tasso di povertà continua a scendere, ma di nuovo si tratta di un cambiamento iniziato con Obama. L’11,8 % degli americani continua a vivere in povertà (salario di 25.000 dollari per una famiglia di quattro persone): meglio del 15,1% del 2010 durante la crisi della Great Recession, ma quasi identico al 2001 (11,7%).
Se l’occupazione indica una situazione positiva per quanto riguarda le cifre, la qualità di questi nuovi posti di lavoro non è certo soddisfacente. La stragrande maggioranza ha un salario basso e spesso include pochi benefici. I posti di lavoro con salari decenti per la classe media sono pochissimi. Il messaggio generale però è che l’economia va bene, come ci ricordano i media. Secondo un sondaggio dell’agenzia Gallup il 59% degli americani dice di stare meglio dell’anno scorso. La Borsa continua a volare, contribuendo all’impressione che tutto va bene dal punto di vista finanziario, anche se questi numeri toccano poco o nulla l’americano medio.
In realtà la stragrande maggioranza dei benefici economici va alle classi abbienti. Ce lo dice anche la riforma fiscale di Trump che ha ridotto le tasse, come fanno tipicamente i presidenti repubblicani per favorire gli ultraricchi e le corporation. La scusa è sempre la stessa: tagliando le tasse si stimola l’economia. Di fatto questi soldi extra nelle tasse dei ricchi non vengono spesi, ma usati dalle corporation per comprare azioni delle loro stesse compagnie, aggiungendo valore al patrimonio collettivo della classe alta.
Gli indicatori economici sono dunque di dubbia veridicità, come ci confermano anche altri segnali della qualità della vita degli americani. Una buon metro della salute di un popolo emerge dalla prosperità, ma anche dalla felicità riflessa nella qualità e lunghezza della vita. L’aspettativa della vita in America è scesa in due anni di presidenza di Trump. Ciò si deve probabilmente all’incremento di americani senza assicurazione sanitaria, che è aumentato dal 10,9 al 13,7%. Nonostante la “meravigliosa” economia decantata da Trump, i repubblicani hanno fatto di tutto per eliminare l’Obamacare, la riforma sulla sanità approvata da Obama nel 2012. Non ci sono riusciti, ma ne hanno comunque eroso l’efficacia.
I media però continuano a sottolineare lo stato positivo dell’economia, nonostante le nubi causate da Trump. La sua guerra di dazi con la Cina e l’Europa non promette bene, poiché lo stato dell’economia americana, come tutte le altre, dipende in modo considerevole da quella del resto del mondo. La politica dell’America First di Trump non prende in considerazione questo fattore di base. Nessun paese al mondo, nemmeno uno potente come gli Stati Uniti, può permettersi il lusso di isolarsi senza subire ovvie conseguenze negative. Gli Stati Uniti sono infatti legati al resto del mondo poiché hanno un prestito di 500 miliardi di dollari annui per coprire le spese causate in buona parte dai tagli fiscali di Trump. Il deficit di scambi economici degli Stati Uniti per il 2018 è il più grande dal punto di vista storico. C’è poi da considerare il deficit del bilancio americano che era sceso con Obama, ma è aumentato con Trump.
La vittoria all’elezione di novembre non è scontata per Trump, nonostante la semplicistica visione di una buona economia. Ci sono troppe incognite e molte cose possono succedere nei prossimi mesi, anche se secondo i sondaggi nazionali quasi tutti i maggiori candidati democratici lo sconfiggono in scontri diretti. Sappiamo però che il sistema elettorale americano suddiviso per Stati può sovvertire l’esito finale, come si è visto nel 2016, quando i sondaggi davano a Trump scarsissime possibilità di vittoria.