Di Dr Binoy Kampmark
Mercoledì 26 febbraio, Tribunale di Woolwich. Oggi l’attenzione si è spostata sul protagonista stesso e sul contenuto del Trattato di estradizione USA-Regno Unito del 2003, un documento controverso che risulta fin troppo vantaggioso per i cittadini statunitensi.
Il peggioramento delle condizioni di Julian Assange è stato notato per mesi da psicologi, medici e dal Relatore speciale dell’ONU sulla tortura Nils Melzer. Nonostante il suo isolamento kafkiano e la sua evidente stanchezza, Assange ha cercato di farsi valere sul banco degli imputati. Il giudice Vanessa Baraitser ha tenuto d’occhio il contegno di Assange, incitando a un certo punto i suoi avvocati a controllare cosa stesse facendo. I suoi occhi si erano chiusi, la sua attenzione sembrava vacillare. Una punto di costante frustrazione per il fondatore di WikiLeaks è stato la risonanza che le udienze hanno causato e la distanza, fisica e simbolica, dal suo team di legali. “Sto prendendo parte a questi procedimenti come se fossi a Wimbledon”.
Assange ha fatto presente alla corte che gli impedimenti strutturali che ha dovuto affrontare sono stati alquanto profondi. “In quest’aula di tribunale non posso comunicare in modo significativo con i miei avvocati. In quest’aula ci sono funzionari dell’ambasciata anonimi. Non ho la possibilità di comunicare con i miei avvocati per chiedere loro chiarimenti senza che l’altra parte ci veda”.
La singolarità del caso di Assange per il giudice non è stata un motivo sufficiente per accettare misure speciali. La difesa insiste, non senza motivo, sul fatto che la consulenza legale che gli è stata fornita deve restare riservata. Questa è una nota particolarmente dolente, vista la sorveglianza condotta per circa sette anni dalla UC Global SC nel luogo di residenza di Assange, ossia l’ambasciata ecuadoriana di Londra. Si trattava di filmati audio e video, trasmessi a server accessibili alla Central Intelligence Agency, riguardanti avvocati che andavano a visitare e a discutere di casi importanti con Assange. “I miei avvocati sono stati spiati abbastanza. La controparte ha contatti giornalieri con i suoi avvocati circa 100 volte di più. Che senso ha chiedere se posso concentrarmi se non posso prendere parte al processo?”
Su questi punti il giudice ha mostrato una scarsa considerazione, chiaramente irritata dal suo intervento in assenza di testimonianza. “Non posso fare un’eccezione nel suo caso”. E’ seguita una breve pausa, che ha permesso ad Assange di lasciare il banco degli imputati per una consultazione con il suo team di legali. Come al solito in questa farsa, erano presenti gli agenti di sicurezza.
Gli avvocati difensori hanno poi cercato di convincere il giudice a un adeguamento della futura disposizione dei posti a sedere al fine di consentire ad Assange di sedersi con loro. Questa richiesta ha condotto ad una follia tecnica: essa costituiva, ha riflettuto il giudice, una richiesta di cauzione in cui Assange sarebbe stato tecnicamente fuori dalla custodia del tribunale? Il team dei legali che rappresentava gli Stati Uniti non si è opposto, in quanto gli agenti di sicurezza sarebbero stati presenti comunque in entrambe i casi. “Non sono sicuro che sia così tecnico” ha commentato l’avvocato James Lewis. La giudice, combattuta tra le convenzioni e le minuzie legali, nella risposta è stata aspra. “Non ne sono sicura neanch’io, ha ragione, signor Lewis”. Un’istanza in tal senso sarà esaminata giovedì, anche se Lewis ha chiarito che si sarebbe comunque opposto a qualsiasi richiesta di cauzione.
Per quanto riguarda il trattato di estradizione, l’articolo 4 stabilisce che “l’Estradizione non viene concessa nel caso in cui il reato per il quale è richiesta è un reato politico”. Il team che rappresenta il governo degli Stati Uniti ha suggerito al giudice di ricorrere al diritto interno sostanziale del Regno Unito e non al Trattato stesso. Il fatto che Assange fosse ricercato per motivi politici o meno era irrilevante, in quanto “non aveva la facoltà di trarre alcun diritto dal Trattato [di estradizione USA-Regno Unito]”.
L’accusa si è effettivamente basata su una peculiarità del sistema di Westminster: il Trattato, ratificato nel 2007, non era stato introdotto nel diritto interno britannico. Tale diritto interno si trova nella legge sull’estradizione del 2003, che non prevede l’esclusione dei reati politici dall’estradizione. “Non esiste un reato politico nel diritto ordinario inglese”, cosa che è emersa solo nel contesto dell’estradizione.
Il team di Assange si è opposto alla contestazione: il trattato di estradizione ratificato negli Stati Uniti nel 2007, senza eliminare la disposizione sul reato politico, era destinato ad avere effetti giuridici. Secondo l’avvocato Edward Fitzgerald “si tratta di una protezione essenziale che gli Stati Uniti inseriscono in ogni singolo trattato di estradizione”. Ne consegue che “entrambi i governi devono quindi aver considerato l’articolo 4 come una protezione per la libertà dell’individuo la cui necessità continua (almeno nelle relazioni tra USA e Regno Unito)”. Mentre la legge sull’estradizione del 2003 non prevedeva un divieto di reato politico, “l’autorità stabilisce che è dovere del tribunale, non dell’esecutivo, garantire la legalità dell’estradizione ai sensi del trattato”. Secondo Fitzgerald questo poneva l’onere al giudice di seguire una prassi stabilita da oltre un secolo di trattati di estradizione che considerano l’esonero dal reato politico.
Si dovrebbe anche ricorrere alla Magna Carta e all’articolo 5 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (la disposizione sul “diritto alla libertà e alla sicurezza”) per giungere alla conclusione che l’estradizione di un individuo per un reato politico costituirebbe una procedura irregolare.
La difesa ha poi toccato la questione dell’accusa di spionaggio, sostenendo che non c’erano dubbi sul fatto che fosse di natura politica, o come ha sostenuto Fitzgerald, “un puro reato politico” ai sensi del trattato di estradizione USA-Regno Unito e della relativa giurisprudenza. La cospirazione per l’intrusione informatica, la diciottesima accusa mossa ad Assange, suggeriva inoltre di trattarla come un reato di spionaggio. In realtà, l’intero caso e i tentativi contro Assange sono stati a sfondo politico sin dal principio, con politici, commentatori e membri dei media statunitensi che lo hanno bollato come “ostile” e “traditore” nonostante non fosse un cittadino statunitense.
Fitzgerald ha inoltre caldeggiato il principio giuridico – “praticamente universale”, sostenendo che gli individui nonviolenti non vadano estradati per reati politici. “Se non si tratta di un caso di terrorismo, di un reato di violenza, non si dovrebbe essere estradati per un reato politico”. Maggiormente in linea con l’impegno delle organizzazioni non governative, l’estradizione di Assange incoraggerebbe altri poteri a considerare questo percorso per far sì che venga data la caccia ai responsabili di “rivelazioni scomode o minacciose”. Tutto quello che è accaduto finora con Assange costituirà un monito per governi di qualsiasi schieramento politico.
Traduzione dall’inglese di Maria Rosaria Leggieri
Il Dr. Binoy Kampmark ha studiato al Selwyn College di Cambridge con una borsa di studio del Commonwealth. Insegna all’Università RMIT di Melbourne. Email: bkampmark@gmail.com