Alla prossima assemblea degli azionisti della Barclays sarà presentata una risoluzione per chiedere all’istituto di credito britannico di non erogare più prestiti al settore dei combustibili fossili. Come riporta il quotidiano inglese The Guardian, è la prima volta che un’azione del genere viene intrapresa nel Regno
Unito ed è molto rilevante che a presentare la risoluzione all’assemblea prevista per il mese di maggio saranno 11 fondi pensioni e di investimento che in totale hanno un portafoglio di oltre 150 milioni di euro e posseggono oltre lo 0,2% della Barclays.
Nello specifico, si chiederà alla banca di fissare obiettivi chiari per eliminare gradualmente i servizi forniti alle aziende energetiche che non si allineano agli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi.
Quindi niente più finanziamenti a specifici progetti per l’estrazione di combustibili fossili o per le aziende del comparto, che includono fornitori di elettricità e gas che non rispettano gli obiettivi climatici.
Un recente studio commissionato da Rainforest Action Network e altri gruppi della società civile ha individuato Barclays come il più grande finanziatore di combustibili fossili in Europa e il sesto al mondo. Lo studio ha dimostrato che tra il 2015 e il 2018 il totale dei prestiti e delle sottoscrizioni a favore di aziende e progetti ad alta intensità di carbonio è stato pari a 85 miliardi di dollari oltre (76 miliardi di euro).
Lo scorso gennaio l’istituto di credito aveva dichiarato di voler smettere di finanziare l’estrazione mineraria e la costruzione o l’espansione di centrali elettriche a carbone in tutti i paesi, senza però smettere di sostenere del tutto le compagnie che dipendono fortemente dal carbone. Inoltre Barclays non solo non esclude il supporto ai progetti sulle sabbie bituminose, ma conferma la partecipazione finanziaria a progetti per l’estrazione del petrolio e del gas nell’Artico.
La risoluzione precede i primi test di stress climatico della Banca d’Inghilterra, che costringeranno le più grandi banche del Regno Unito a riferire quanto sono esposte alla crisi climatica e come reagirebbero a un aumento delle temperature fino a 4 gradi.
Sulla delicata questione della crisi climatica e del ruolo giocato dalle grandi banche internazionali, val la pena ricordare quanto accaduto lo scorso aprile in Italia in occasione dell’assemblea degli azionisti di Unicredit. Vari fondi, tra cui Schroders, Candriam e Storebrand (1.400 miliardi di dollari di portafoglio totale), avevano scritto all’amministratore delegato Jean Pierre Mustier invitandolo a «rivelare pubblicamente come la banca intende affrontare i rischi derivanti dall’aggravarsi della crisi climatica e limitare gli attuali finanziamenti del carbone.
Pressata anche da varie organizzazioni della società civile europea, tra cui in prima fila Re:Common, Unicredit ha fornito una prima risposta significativa. Negli ultimi giorni dello scorso novembre, infatti, la banca ha deciso di non fornire più finanziamenti per progetti di centrali e miniere di carbone. Dopo Generali, Unicredit è stato il secondo colosso finanziario italiano a compiere questo passo.
La nuova policy del gruppo bancario stabilisce, inoltre, che non saranno sostenute compagnie che basano sul carbone oltre il 30 per cento della loro produzione elettrica. Limite analogo è stato imposto anche alle compagnie minerarie, ma in questo caso la soglia si riferisce alla percentuale di ricavi.
Sarà interessante capire se, anche grazie all’iniziativa di investitori istituzionali finalmente consapevoli dell’immenso rischio posto dalla crisi climatica, Barclays rivedrà la sua policy sui prestiti, abbandonando per sempre i combustibili fossili.