di Fulvio Vassallo Paleologo*
Nell’ultimo anno si è parlato di CPR (Centri per i rimpatri) soltanto per sottolineare il “disagio” delle forze di polizia incaricate della sorveglianza, criminalizzare gli “ospiti” di queste strutture detentive, o per creare allarme ipotizzando una “regia esterna” delle numerose proteste che nei casi più gravi sono culminate con incendi e danneggiamenti. Mai un accenno alle condizioni disastrose delle strutture, all’abbattimento dei costi e quindi dei servizi di assistenza e consulenza garantiti dagli enti gestori, alla eterogeneità della popolazione detenuta, che per effetto del decreto sicurezza, poi convertito nella legge n.132 del 2018, annovera sempre più spesso richiedenti asilo denegati e soggetti vulnerabili rimasti privi di un permesso di soggiorno per la cancellazione della protezione umanitaria.
Di fronte ad una situazione che in passato era stata denunciata con interventi e Rapporti assai dettagliati, non è stata concessa alcuna possibilità di ingresso ai rappresentanti della società civile, come gli attivisti della Campagna LasciateCientrare, e sotto questo profilo l’avvicendamento al Viminale non ha cambiato nulla. Da ultimo questa “continuità” di governo della detenzione amministrativa è denunciata in un volume divulgativo edito dal settimanale Left dal titolo “Mai Più”. Anzi, si è puntato soltanto su comunicazioni propagandistiche per mettere in risalto un aumento irrisorio delle persone soggette al trattenimento amministrativo e quindi dei conseguenti rimpatri. Che comunque rimangono solo una frazione molto modesta dei casi di espulsione o respingimento per cui i questori dispongono l’accompagnamento forzato in frontiera, in assenza di qualsiasi possibilità di regolarizzazione successiva all’ingresso o al soggiorno irregolare. Soprattutto per coloro che provengono dal circuito carcerario, magari senza neppure avere riportato una condanna definitiva, il meccanismo delle espulsioni con accompagnamento forzato porta inesorabilmente al trattenimento nel CPR in tutti i casi in cui al momento della scarcerazione non siano ancora pronti i documenti necessari per il rimpatrio. E spesso si tratta di persone presenti in Italia da molti anni.
Dal CPR di Torino (via Brunelleschi) al CPR di Ponte Galeria a Roma, fino ai CPR siciliani di Trapani (Milo) ancora lo scorso 3 gennaio e di Caltanissetta (Pian del lago), oggi, non è passato mese senza che si registrassero proteste che in qualche caso si sono trasformate in gravi danneggiamenti delle strutture. Dopo queste proteste si è innescata una girandola di trasferimenti da un centro all’altro, su disposizione del ministero dell’interno, che hanno contribuito ad estendere a tutti i centri un clima di rivolta contro un regime detentivo e condizioni di trattenimento che si traducevano assai spesso in deprivazione totale della dignità della persona e dei suoi più elementari diritti fondamentali, dal diritto alla salute al diritto alla difesa. Il raddoppio dei termini di trattenimento amministrativo (da 90 a 180 giorni), previsto dal Decreto sicurezza 1 ( legge n.132 del 2018) ha contribuito ad elevare i livelli di tensione all’interno di queste strutture, da Torino a Caltanissetta, da GradiscaD’Isonzo a Lamezia,a Palazzo S.Gervasio, Bari, Brindisi,Lecce, Crotone, Milano, Modena, Bologna, anche se non ha inciso in misura significativa sul numero delle persone effettivamente rimpatriate. Nel corso degli anni sono stati diversi i casi in cui hanno perso la vita “per cause naturali”, persone migranti trattenute nei CPR in condizioni di privazione di una tempestiva assistenza.
Come riporta Mediterraneo Cronaca nella giornata di domenica 12 gennaio, si è verificata l’ennesima morte di un “ospite” trattenuto all’interno di un CPR, questa volta nel centro di Pian del lago a Caltanissetta. Anche in questo caso mancano notizie ufficiali, non si ha certezza sulle cause del decesso, né si conosce dove sia stata trasferita la salma del ragazzo, sembra un tunisino, che ha perso la vita, dopo essersi sentito male nei giorni precedenti, come sembra, ma dopo essere andato a letto “normalmente”, come ha subito precisato la questura di Caltanissetta.
Quello che è certo è che dopo questa ennesima morte all’interno di un centro di detenzione, è scoppiata una protesta che è culminata con l’incendio di alcune parti della struttura, un incendio poi sedato dall’intervento di due grossi mezzi dei vigili del fuoco. Non si conosce invece la sorte degli “ospiti” del centro di Pian del lago, che tra pochi giorni avrebbe comunque chiuso i battenti, per lavori di ristrutturazione che erano stati già appaltati. E’ del resto noto che la domenica è un giorno “particolare”, almeno per i migranti trattenuti di nazionalità tunisina, perché il lunedì (ed il giovedì) si organizzano i voli di rimpatrio, e coloro che vengono imbarcati sugli aerei apprendono generalmente all’alba dello stesso giorno la notizia del proprio rimpatrio, anche in casi nei quali sono ancora pendenti ricorsi giurisdizionali contro l’espulsione o procedure per il riconoscimento della protezione umanitaria o internazionale. Si registrano anche casi di rimpatrio di richiedenti asilo per effetto della nuova prassi delle cd. “procedure accelerate in frontiera”, subito dopo gli sbarchi, e per l’adozione di una “lista di paesi terzi sicuri” che riduce la possibilità, per chi proviene da questi paesi, di trovare protezione in Italia.
Non vi sono ancora garanzie effettive che nel caso di rimpatri forzati effettuati verso paesi che hanno stipulato con l’Italia accordi bilaterali che prevedono procedure “semplificate”, come nel caso della Nigeria, siano effettivamente rispettati i diritti fondamentali della persona, come imporrebbe l’art. 19 del Testo Unico sull’immigrazione n.286/1998. Il Centro di permanenza per i rimpatri di Ponte Galeria è diventato uno snodo finale prima dell’imbarco da Roma.
Quanto continua a verificarsi all’interno dei centri di detenzione italiani , e da ultimo i fatti di Pian del lago a Caltanissetta, dimostrano una totale continuità nell’azione dei vertici del Viminale nella gestione del sistema dei rimpatri con accompagnamento forzato e dei centri di permanenza per i rimpatri (CPR) in particolare. Se è fallito il piano originario proposto dall’ex ministro dell’interno Minniti, che voleva aprire dieci nuovi CPR, si assiste al continuo peggioramento delle condizioni di trattenimento, tanto in quelli esistenti da tempo, quanto in quelli di più recente apertura o riconversione, come a Macomer, in Sardegna, di Gorizia in Friuli e di Trapani Milo in Sicilia.
Occorre intensificare le visite nei CPR del Garante nazionale per le persone private della libertà personale e restituire alle organizzazioni non governative, ed alle campagne come LasciateCientrare, la possibilità di svolgere attività di monitoraggio periodico per verificare che i diritti fondamentali delle persone trattenute non siano indebitamente negati, e che i rapporti di appalto siano conformi alle prescrizioni di legge ed ai capitolati predisposti dal ministero dell’interno.
Si tratta di verificare la conformità delle prassi attualmente applicate nella gestione dei CPR rispetto alle garanzie costituzionali (in particolare gli articoli 13, 24 e 32 Cost.) accordate a qualunque straniero presente in Italia, anche se si trova in condizione irregolare, come prescrive l’art. 2 del Testo Unico sull’immigrazione n.286/1998. Occorre ricostruire una rete sul territorio che possa verificare l’attuazione effettiva dei diritti di difesa ed il rispetto delle garanzie procedurali accordate agli “ospiti” dei CPR.
Occorre poi verificare la compatibilità delle modalità di trattenimento amministrativo in Italia con la direttiva europea 2008/115/CE ( Direttiva rimpatri) e con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che richiama il divieto di trattamenti inumani o degradanti (art. 4) già previsto dall’art. 3 della Convenzione Europea a salvaguarda dei diritti dell’Uomo.
Ribadiamo infine l’urgenza dell’abrogazione delle norme criminogene del “decreto sicurezza uno”, poi convertito nella legge 132 del 2018 che prolungano i termini del trattenimento amministrativo, lo estendono anche ai richiedenti asilo e cancellano la protezione umanitaria. Norme e prassi conseguenti che, se non interverrà una abrogazione da parte del Parlamento, occorrerà portare all’esame della Corte Costituzionale e degli organi della giustizia europea ed internazionale.