“L’articolo 27 della Costituzione parla di pena, non di carcere. Noi abbiamo una tradizione centrata sul carcere, ma la Costituzione lascia un campo molto aperto e non è detto che il carcere sia sempre la pena più adeguata” (Presidente della Corte Costituzionale)
Suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, overdose, pestaggi, abusi, soprusi, sovraffollamento. Eppure nessuno ne parla, (o quasi, ma lo fanno in pochi), nessuno affronta il problema delle molte Guantanamo che ci sono in Italia. Non starebbe a me dire certe cose, io non ho la moralità e l’intelligenza dei nostri governanti, politici, intellettuali e uomini di chiesa. Io sono un avanzo di galera, un delinquente, e per giunta pure ergastolano in liberazione condizionale, eppure sento il dovere di farlo lo stesso.
Tutti sanno che in Italia il carcere quando va bene è una fabbrica di stupidità umana e quando va male è una fabbrica di ingiustizia. È come se chi andasse all’ospedale morisse, invece di guarire. Il carcere così com’è produce carcere, si nutre di male per produrre altro male e nuovi detenuti. La privazione della libertà non dovrebbe essere considerata l’unica forma di pena, non lo dico io ma lo afferma l’attuale Presidente della Corte Costituzionale. Sì, è vero, il carcere, per qualsiasi classe politica e per qualsiasi governo, porta consensi e voti elettorali, ma sono consensi e voti che grondano sangue, morti e odio. Questa, a mio parere, non è più giustizia, è solo vendetta sociale, di uno Stato ingiusto che guadagna sulla sofferenza, sia delle vittime sia degli autori dei reati. Nei miei 29 anni di carcere ho capito che spesso i “buoni” fanno i criminali per nascondere di essere buoni mentre i veri criminali fanno i forcaioli per continuare ad essere criminali.
Con il decreto di sicurezza bis si è andati a gettare benzina in fondo all’inferno. Ma proprio in fondo, nel girone più basso. Sembra che la società italiana davvero non voglia conoscere la verità sulle sue prigioni. Ai politici italiani non interessa sapere che le carceri scoppiano in tutta Italia, che i detenuti muoiono, che alcuni si tolgono la vita e che altri crepano psicologicamente. I politici, nella stragrande maggioranza, hanno dimenticato che anche i prigionieri sono uomini, e mai una parola o una riga sui 60.000 detenuti abbandonati a se stessi che vivono accatastati uno sopra l’altro. Vivere in questo modo toglie ogni rimorso per quello che si è fatto fuori.
I “muri” sono abbastanza alti da permettere di poter far finta di non vedere e udire la disperazione e le grida d’aiuto che vengono da dentro. Sembra che a nessuno importi sapere che nelle carceri italiane non c’è più spazio per vivere; che vivere uno sopra l’altro è una condanna aggiuntiva, una condanna moltiplicata dal punto di vista fisico, psichico, morale e sanitario; che il carcere in Italia non è solo il luogo dove vanno i delinquenti, (non tutti, quelli veri stanno fuori) ma è soprattutto la discarica sociale per gli emarginati, i diseredati, gli emigrati, i tossicodipendenti, i figli di un Dio minore, i ribelli. Basti pensare a Nicoletta Dosio, l’attivista No Tav di 73 anni, condannata a un anno di carcere dal tribunale di Torino, perché accusata insieme ad altri attivisti di aver aperto le sbarre di un casello autostradale durante una manifestazione di protesta.