Intervista a Pedro Aillaoan Colilef, Mapuche, e docente di storia. Da Helodie Fazzalari.
Che ruolo ha la storia Mapuche e quanto è conosciuta in Cile?
“La storia Mapuche oggigiorno è abbastanza documentata. Ci sono molte persone che che si stanno occupando di questo. E’ un processo del quale io mi sento di fare parte, in qualità di educatore Mapuche. A partire dagli anni 90, si assiste ad una sorta di ‘reidentificazione’, dove si inizia a prendere coscienza nuovamente di ciò che significa essere indigeni. Non si tratta solo di una questione clientelista, legata al fatto di essere riconosciuti e ricevere sovvenzioni o una somma di denaro per poter studiare. Io oggi sono padre, e una delle cause per le quali oggi noi Mapuche stiamo lottando, è che venga strutturato un nuovo piano di studi per mettere a conoscenza della nostra cultura le nuove generazioni. Il primo punto è la lingua e il secondo è la lotta per i diritti territoriali. Io credo che in questo momento siamo arrivati ad un punto di inflessione nel quale tutto si riunisce: la rivoluzione di ottobre dello scorso anno va a sommarsi alle richieste indigene ed in partitore a quella del popolo Mapuche. Ciò che non si dice nei libri di storia antica è che il popolo Mapuche è stato l’unico popolo di origine indigena capace di osteggiare un impero, quello spagnolo. In seguito sarà lo stato cileno ad occupare i nostri territori, senza rispettare la nostra lingua, la nostra religione. Si parla molto della persecuzione avvenuta per mano della chiesta cristiana, ma un’altra cosa poco conosciuta è che il pentecostalismo attaccò molto duramente soprattutto la zona dove vivevano gli Huilliche. Un’altra cosa che spesso non viene presa in considerazione, e che solo ultimamente è stata oggetto di studio di alcuni antropologi, è la differenza esistente tra i processi che hanno vissuto le nostre popolazioni. Perché la storia Mapuche non è solo una, sono molte storie: c’è il vissuto dei Huilliche, dei Pehuenche ecc. Noi popoli Mapuche siamo tutti parte di Wallmapu però li ci sono diverse divisioni. Ancora oggi in alcune comunità del sud si pratica il sacrificio degli animali, cosa che molte comunità non sanno: si sacrificano cavalli per le cerimonie, per i matrimoni, per chiedere qualcosa di particolare. Si conosce molto poco natura indigena, noi Mapuche ci consociamo poco, e lo stesso accade nelle città come Santiago, Temuco, Valparaiso ecc. Noi Mapuche abitiamo su tutto il territorio nazionale, ma molti di noi nemmeno sanno di esserlo”.
Perché oggi le tradizioni Mapuche sono poco conosciute?
“Dopo gli spagnoli venne il momento dello stato cileno, che ha sempre cercato di assimilare le popolazioni indigene. Nel progetto di stato cileno non c’è mai stato un punto che includesse le popolazioni indigene, ma queste avrebbero dovuto essere assimilate da esso, come per osmosi. Anche oggigiorno nessuno si pone il problema della lingua, della festività importante per i Mapuche. Il problema nasce solamente quando si inizia a parlare dell’acqua nel caso delle popolazioni del nord, e della terra nel caso dei Mapuche. Io oggi cerco di parlare della cultura Mapuche perché credo sia importante che i cileni capiscano cosa significa avere nella propria storia un passato indigeno. Credo che ci sia una spiegazione antropologia dietro al fatto che qui in Cile ultimamente molta gente innalza la bandiera Mapuche e si riconosce con essa. Con la protesta scoppiata ad ottobre molti hanno iniziato ad identificarsi con la lotta indigena. Questo però è solo un primo passo, bisogna capire realmente cosa significa essere Mapuche, cosa simboleggia la bandiera che si sta innalzando, perché c’è una storia dietro a tutto ciò. Questo mi fa ridere perché ultimamente ho visto molte bandiere Mapuche disegnate al contrario. E’ qui che si manifesta l’ignoranza di molta gente sulla storia Mapuche. L’educazione è una parte fondamentale, bisognerebbe istituire una cattedra obbligatoria di storia Mapuche nelle scuole, per le nuove generazioni. Questo dovrebbe fare parte di quella che è la politica pubblica e non di una cosa ‘facoltativa’. Quando io studiavo storia ad esempio, c’era la possibilità di fare un corso facoltativo per apprendere le basi di Mapudungun, ma era organizzato in orari improbabili e cosa più importante non era obbligatorio. Se oggi noi capissimo e apprendessimo un po di quelle che sono le nostre origini indigene, questo potrebbe cambiare la mentalità di tutti, specialmente dei più piccoli. Con tutti i sistemi politici che stanno in crisi, io reputo una buona alternativa ritornare finalmente ‘alla terra’. Si potrebbe restituire valore a molte cose, come ad esempio al tema della morte, trattato oggi come una tematica tabù. Potrebbe esserci uno scambio interculturale con la società cilena e potremmo iniziare ad abbattere alcuni stereotipi che che si sono creati nel tempo. Ad esempio molti hanno l‘idea distorta del Mapuche e lo identificano come un alcolista. Quando le vecchie generazioni iniziarono ad emigrare dai campi del sud a Santiago, spesso venivano discriminati soprattutto per la loro lingua. Fu un genocidio non soltanto fisico, ma anche culturale , morale ed etico. Oggi io mi sento molto orgoglioso di questa nuova generazione che si sta preoccupando della lingua, che sta portando avanti la nostra bandiera con la coscienza di ciò che essa rappresenta. Mi sento orgoglioso del ruolo che sta avendo la musica, il teatro, la danza, di come si sta dando il giusto valore alla poesia Mapuche, alla medicina e così via. E’ la generazione del nuovo millennio che sta dando vita a tutto questo”.
Nel programma di storia delle scuole in Cile, c’è una parte dedicata alla cultura Mapuche?
“C’è, ma è davvero ridotta e non viene trattata quasi mai perché è alla fine del programma. Io da docente cerco sempre di parlare del Mapuche contemporaneo, facendo comprendere ai miei alunni che è un’etnia esistente che vive con noi e non è una parte del museo. Quando ero studente io, mi avevano messo in testa che i Mapuche si stavano estinguendo, ma ovviamente non è così. Io ho molti colleghi docenti Mapuche che per questioni politiche non possono trattare come vogliono la storia Mapuche nei loro posti di lavoro. Se io lavorassi nell’ambito educativo tradizionale, tenderei sicuramente a trattare maggiormente la storia Mapuche, ma passerei come una persona ‘corrotta’ e politicamente schierata e potrei perdere il mio posto di lavoro.
Io credo che oggigiorno la politica pubblica, specialmente per il tema dell’educazione, è in debito con tutti i popoli indigeni. Potrei parlare del genocidio culturale delle popolazioni indigene argentine, e di molte comunità che sono state dimenticate. Poca gente viaggia all’estremo sud in Cile: uno perché non abbiamo questa cultura, e due perché costa davvero molto. Quello che ad oggi ha fatto il governo per far conoscere la nostra cultura è un qualcosa che ha a che vedere solo con il marketing o con il turismo, come un’applicazione per il cellulare dove ‘apprendere’ le basi di Mapudungun”.
Puoi raccontarci qualcosa delle tue origini Mapuche?
“Entrambi i miei genitori sono parte di questo genocidio culturale. Mio padre ha perso la sua cultura Mapuche quando venne a vivere qui a Santiago per lavoro, perché la città dava più opportunità. A mia madre accadde esattamente la stessa cosa. A quei tempi alcuni fratelli di mia madre vivevano ancora a sud nel campo e sapevano parlare Mapudungun, ma qui in città era proibito parlarlo. Entrambi lavoravano qui a Santiago presso una casa padronale di una donna tedesca, in uno dei quartieri più popolari, della città. Qui i due si conoscono, si sposano e fanno dei figli. E’ mia sorella che ad un certo punto inizia questo processo di ‘riunificazione’ della famiglia. Lei inizia ad apprendere sulla nostra cultura grazie a mia zia, la sorella di mia nonna che è attivista, e che nonostante non avesse mantenuto un legame profondo con le radici Mapuche, prese parte alla rivendicazione della terra sia in dittatura che post dittatura. Questo fu un processo molto complesso per tutta la famiglia. Io ero molto piccolo e ricordo che c’era molta resistenza in quel periodo nei confronti dei Mapuche. Inoltre la scelta di mia sorella non fu pienamente condivisa dalla mia famiglia. D’altronde non era possibile biasimare mia madre, che in passato aveva sofferto molto per essere una donna indigena. Una donna ‘campesina’, ‘indigena’ e ‘povera’ era un’equazione che a quel tempo dava solo un risultato: discriminazione. L’ultima cosa che mia madre si immaginava e che mia sorella potesse riprendere in mano le sue origini ed iniziare a lottare per la causa Mapuche. Io ho studiato storia per questo, per l’ispirazione ricevuta da mia sorella e ne vado molto fiero. Ho studiato storia per conoscere di più delle mie radici e per insegnare, in quanto credo sia un lavoro molto nobile. Noi pensiamo che è possibile vivere ridando il giusto valore alle nostre radici indigene, ma comprendendo allo stesso tempo, di essere parte di questo mondo e di questa società”.