Intervista di Helodie Fazzalari ed Ariel Torrealba ad Alberto Antonio Pizarro Chanilao, docente all’Università del Cile, Mapuche ed ex Direttore Nazionale del CONADI (Corporación Nacional de Desarrollo Indígena
“Inizio a raccontarvi del mio ruolo come Mapuche, come politico e come membro della CONADI. Io ho sempre nutrito la speranza che le rivendicazioni storiche per il mio popolo Mapuche, si potessero compiere. Uno dei temi molto importanti è la violazione dei diritti umani, specialmente nell’Araucanía, dove io ho vissuto, a sud del Cile. Adesso per tutto quello che sta succedendo dal 18 ottobre a questa parte, la società cilena ha iniziato ad empatizzare molto di più con la nostra lotta, in quanto ha iniziato a vivere sulla propria pelle, quella che è la violazione dei diritti umani. La storia Mapuche si conosceva meno di oggi perché i mezzi di comunicazione in Cile erano abbastanza controllati. Adesso il popolo cileno si è reso conto che effettivamente tutto ciò che si diceva avvenisse storicamente nella zona dell’Araucanía, aveva un fondamento reale. Attualmente ci sono quattro rapporti che parlano della violazione dei diritti umani e che dicono che effettivamente in Cile questi non vengono rispettati. Credo che a Marzo qualcosa cambierà. Noi come docenti universitari stiamo già pensando come affrontare il prossimo anno e come affrontare la mobilitazione, che sicuramente da marzo aumenterà. Sarà un anno molto complicato, anche per il plebiscito nazionale di aprile 2020. Non saprei come il presidente Piñera, nella condizione attuale, potrebbe portare a termine il suo mandato”.
Cosa ci può dire della partecipazione indigena al mondo politico?
Una cosa della quale stiamo discutendo è proprio quella di poter assicurare dei posti ai membri di origine indigena, all’interno dell’Assemblea per la stesura della nuova Costituzione. Ciò che io penso è che la nuova Costituzione debba avere un carattere plurinazionale per essere corretta. Questa deve essere la base e il fondamento sul quale poter costruire una nuova carta costituzionale. Indubbiamente, l’assicurare dei posti agli indigeni, non sarà sufficiente, ma è la base da dove iniziare. Noi abbiamo un grande problema nell’attuale politica estrattiva neoliberista, ed è il rispetto dei diritti umani. Questo varia a seconda delle tre grandi aree geografiche del Cile, in cui ci troviamo, ad esempio ad sud è un problema legato alla pesca. Il punto è che noi popoli indigeni siamo molto legati all’ecosistema e lottiamo per questo, lo difendiamo. Questa cosa chiaramente si contrappone alle priorità di uno stato, e questo avviene anche negli altri paesi del sud America. Questo è un grave conflitto che nella nuova Costituzione dovrà essere decisamente sottolineato.
Attualmente quanto i Mapuche sono vicini alla politica, e com’è nato in lei questo desiderio di entrare in politica?
“Le popolazioni indigene, i Mapuche in particolare, sono abbastanza vicini alla politica, anche se molte volte non sono politici di partito come vuole la tradizione. Quando si racconta la storia del popolo Mapuche spesso di parla di un popolo guerriero che ha lottato contro i conquistatori spagnoli, però non si parla molto della quantità di trattati, accordi che vennero sottoscritti con l’impero spagnolo. Questo spiega che il popolo Mapuche è abbastanza vicino alla politica ed è un popolo che dialoga. Credo che questo si mantenga ancora oggi. Io mi sono avvicinato alla politica perché ho sempre pensato ci fossero tante cose da dover risolvere, e noi popolazioni indigene siamo molto indietro rispetto al resto della società. Siamo in un paese che è molto disuguale da questo punto di vista e uno dei motivi che hanno fatto si che io entrassi in politica, è quello di cercare di contribuire a cambiare buona parte delle ingiustizie che i popoli indigeni subiscono da sempre. Io ho molti amici che sono artisti, intellettuali, ma allo stesso tempo mantengono una partecipazione politica attiva molto forte”.
Il suo lavoro la porta a viaggiare molto, come si concilia questo con uno stile di vita Mapuche, legato fortemente alla terra e alla natura?
La spiritualità e la religione furono, in passato, tra le principali cause dell’intento di sterminare la lingua indigena, il principio di commovisone e la filosofia indigena. L’altro giorno dialogavo con un amico intellettuale indigeno che mi parlava del concetto di spiritualità che è molto forte non solo per il popolo Mapuche , ma per le popolazioni indigene in generale. Indubbiamente l’evoluzione sociale, viaggiare ed allontanarci dalla comunità, fanno vivere la spiritualità in maniera differente. L’importante però è come popolo noi abbiamo una filosofia, una commovisone ed un concetto del mondo che è abbastanza particolare, ma che soprattutto tutto questo si riesca a mantenere nel tempo. Molte volte è difficile distinguersi in una società che è abbastanza individualista e che si fonda su altre forme di pensiero. Però, la maggior parte delle popolazioni indigene che conosco tendono a mantenere questo legame con la terra, con i familiari, con la cultura. Siamo fieri di essere Mapuche. Negli ultimi anni è tutto più facile perché siamo in un’epoca nella quale possiamo dire che le popolazioni indigene stanno ‘rinascendo’. Durante l’ultimo anno si vedono sempre più persone orgogliose di essere indigene. Questo certamente facilita il mantenere e l’avvalorare le nostre radici e le nostre tradizioni. Io vivo in città, però mi sento indigeno.
Quanto è legittimo secondo lei, che le popolazioni indigene accettino il fatto di partecipare ad un’Assemblea nella quale si discuta di una nuova carta costituente ideata per far fronte agli interessi dei cileni, e non delle popolazioni indigene?
Io ho sentito diverse opinioni a riguardo, ma dal mio punto di vista le popolazioni indigene non intendono separarsi dallo Stato cileno. Queste comunità sono decentrate rispetto al resto del paese e ciò per cui lottano è l’autodeterminazione. Le comunità indigene vorrebbero continuare ad essere cilene, ma vorrebbero al tempo stesso avere il controllo e poter decidere delle risorse apparenti al territorio sul quale vivono. Il loro obiettivo è quello di non dover soltanto obedire ai mandati decisionali provenienti da Santiago, ma di poter anch’essi avere voce in capitolo. Io credo che il fatto di essere considerati ‘cileni’ dal punto di vista amministrativo, non rappresenti per noi un problema. Io sento di essere Mapuche.