Un serpentone colorato ha attraversato le vie del centro di Bologna nel pomeriggio del 1 gennaio in occasione della Giornata mondiale della pace: nella città che ha visto per prima scendere in piazza le ‘sardine’ contro il clima di odio generato dalla Lega salviniana, il variegato ‘popolo della pace’ si è trovato per la sua quinta edizione più numeroso rispetto agli altri anni. Circa 1500 persone hanno così testimoniato e ribadito il loro rifiuto alle logiche della discriminazione e della paura del diverso a favore della costruzione della pace che, a livello civile, si declina nell’inclusione e nel rispetto dei basilari diritti per tutti.
Non a caso la marcia, organizzata dalle circa 60 associazioni di varia ispirazione riunite nel ‘Portico della pace’, è stata chiamata ‘Marcia della pace e dell’accoglienza’ ed è stata fortemente voluta dal card. Matteo Zuppi, che, appena insediatosi come vescovo della città felsinea, promosse questa manifestazione trovando fin dalla prima edizione, nel 2015, ampio riscontro sia da parte delle comunità religiose che della società civile ed amministrativa.
È stato proprio Mons. Zuppi ad aprire la marcia insieme ai rappresentanti della comunità islamica Yassine Lafram, presidente dell’Unione delle comunità islamiche in Italia (Uccio), e della comunità ebraica Daniele De Paz.
“Come ogni anno ci troviamo a marciare per la pace a nome di tutti gli uomini di buona volontà perché la pace non e di qualcuno ma di tutti – ha commentato Mons. Zuppi-, e tutti siamo chiamati a costruire la pace in questo anno in cui ricorderemo il 75mo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale. ‘La pace come cammino di speranza’ è il titolo del messaggio di Papa Francesco per questa 53ma Giornata mondiale della pace. Il Santo Padre ci invita ad affrontare la fatica del cammino perché la speranza è la virtù che ci dà le ali per andare avanti , perfino quando gli ostacoli sembrano insormontabili. Mettiamoci dunque in cammino rompendo la logica morbida della minaccia e della paura e cercando sempre il bene comune e impegnandoci a mantenere la parola e a rispettare il diritto”. Per Yassine Lafram la marcia deve essere un’occasione anche per le nuove generazioni: “La marcia a favore della pace vuole che le nuove generazioni abbiano un ruolo da maggiore protagonista nella costruzione di un mondo migliore in cui possano regnare libertà e giustizia per tutti”.
I partecipanti alla marcia, tra cui rappresentanti delle associazioni riunitesi nel Portico della pace, delle istituzioni come il sindaco di Bologna Virgilio Merola e l’ex presidente della Commissione europea Romano Prodi, del mondo della musica come il cantante bolognese Luca Carboni, e tanti cittadini, hanno poi sfilato fino a Piazza Maggiore, la ‘piazza grande’ cantata dall’indimenticato Lucio Dalla, luogo, come i famosi portici di Bologna, di incontro e di dialogo, di conoscenza e di reciproco riconoscimento. Un simbolo della ‘logica dell’accoglienza’ che connota Bologna perché, come canta e ha spiegato Luca Carboni, ‘Bologna è una regola, quella della coesione e dell’essere una comunità, che oggi qui si vuole ribadire’.
Ad attendere l iridato serpentone di fronte a un altro simbolo cittadino, la fontana del Nettuno, c’era Cecilia Strada, figlia del fondatore di Emergency, che ha brevemente raccontato la sua esperienza più recente, la partecipazione alle attività di salvataggio di Mediterranea. ‘Abbiamo avuto tante occasioni negli ultimi anni per svegliarci, dalle bombe sui civili inermi in Yemen ai veri e propri inferni in terra come è la Libia – ha attaccato l’attivista-. Ho conosciuto persone che in quell’ inferno non solo sono finiti per diventare schiavi ma addirittura sono stati venduti più volte come schiavi. Un sistema di criminalità diffuso e radicato finanziato anche da noi, dai nostri governanti. Mi sono chiesta cosa potessi fare in questa situazione, e ho cercato di fare mie le parole di Italo Calvino quando circa intanto inferni che crea l’uomo due sono i comportamenti: o accetti la inferno fino a farlo diventare normale o lo combatti partendo da ciò che anche in un inferno può esserci per costruire l’alternativa.
È così che mi sono imbattuta in una esperienza straordinaria, non perché fatta da eroi, ma perché costruita con il contributo di tanti, volontariato, associazioni, comitati , singoli cittadini, che hanno raccolto fondi e riuscito a mettere in mano l’unica nave italiana presente oggi nel Mediterraneo per salvare vite umane al largo della Libia”.
L’attivista ha ricordato con emozione la sua stessa esperienza su quella nave. “Era il 28 agosto del 2018 quando ci siamo imbattuti in un barcone con circa 60 persone fra cui tanti bambini e donne in gravidanza. Li abbiamo salvati non solo da un certo naufragio ma anche da un ritorno in quella terra di schiavi e sofferenza che è oggi la Libia. Ma mi sono resa conto che quando salviamo loro salviamo anche noi, le nostre speranze, i nostri ideali di libertà e democrazia. Non è possibile vivere bene quando i figli degli altri soffrono in questa maniera. Salvare i figli degli altri significa salvare anche i nostri figli e noi stessi”. E ha concluso affermando che “un tempo ci dicevano che eravamo buoni, oggi ci chiamano buonisti, in realtà cerchiamo di essere tutti quanti qui oggi semplicemente giusti e sapere che abbiamo un potere: quello di tante mani disarmate unite a costruire tante navi come la Mediterranea e ciò che essa significa’. Un messaggio importante ed efficace che il popolo della pace bolognese ha fatto proprio per l’anno e il decennio appena iniziato.
Sabrina Magnani
Fotoreportage di Bruno Stefani