In un’ora di discorso teso, denso e appassionato davanti al Congresso riunito, Alberto Fernandez si è presentato agli argentini affermando che per necessità storica e per volontà politica la sua intende essere una presidenza di rifondazione del paese. L’economia è in pezzi, la più malandata dell’America Latina: la maggiore inflazione dal 1991, in 4 anni di governo Macri è arrivata al 300 per cento; hanno chiuso 20mila imprese, l’industria ha perduto 144 mila posti di lavoro, la disoccupazione (ufficiale) è quasi all’11 per cento; il debito pubblico è alle stelle al pari del rischio paese. E’ la coscienza stessa della Repubblica ad apparire fratturata, nella violenza del contrasto tra chi ha e chi non ha.
Il passaggio dei poteri dal capo dello stato uscente, Mauricio Macri, al suo successore è stato formalmente ineccepibile. Ben intonato all’umore di un popolo che pur trascinato in una crisi che ha immiserito ferocemente classe media e ceti popolari, con la povertà che assilla 18 milioni di persone, lasciando nella fame un bambino su tre, ha rispettato con il massimo scrupolo i riti della democrazia parlamentare. La sua risposta l’ha affidata ordinatamente alle urne elettorali. Senza tirar fuori un fiato neppure di fronte agli abbracci, ai baci e alle pacche sulle spalle che in omaggio alla political correctness e alla solennità del momento si sono scambiati nuovi e vecchi governanti. A prevalere è stata infine la sostanza dei fatti (“la realtà è l’unica verità”, dicono i vecchi peronisti).
A cominciare dall’assoluto protagonismo del nuovo presidente, il cui intervento è stato seguito in silenzio ma con evidente partecipazione dalla sua vice e in quanto tale presidentessa del Senato, Cristina Fernandez Kirchner, che gli sedeva accanto. Così che certamente riprenderà quanto prima con il riaccendersi del confronto politico, ma per l’intanto rimane senza senso il malizioso quesito su chi sarà il vice dell’altro, presentato come un gioco di società. Dopo aver mostrato gesti di affettuosità con Gabriela Michetti, la vice di Macri, ed essersi scambiato sussurri nelle orecchie con quest’ultimo, Alberto Fernandez ha detto con estrema nettezza che tipo di persona è e cosa intende fare.
Si è visibilmente commosso in più di un passaggio, non solo nel ricordo della madre e del padre. Ha citato tre predecessori illustri, con insistenza il liberal-progressista Raul Alfonsin, il primo dell’Argentina liberata dalla più sanguinaria delle dittature militari; Arturo Frondizi, le cui qualità intellettuali e il fermo credo industrialista hanno formato intere generazioni di politici argentini; e Nestor Kirchner, del quale è stato il primo ministro dal 2003 al 2007. Più che promettere, ha invocato lo stato di diritto come inalienabile criterio etico del suo governo, criticando senza mezzi termini l’uso politico del sistema giudiziario. Così assumendo, pur senza nominare nessuno, non solo la difesa di Cristina bensì quella dei numerosi perseguiti negli anni di Macri, la maggior parte dei quali a tutt’oggi ancora in attesa di giudizio.
Nunca más, mai più, due parole del lessico argentino suggerite dallo scrittore ora scomparso Ernesto Sabato e consacrate dalla tragedia dei desaparecidos. Alberto Fernandez le ha ripetute più volte nella solennità dell’investitura alla massima magistratura dello stato, per assicurare che non permetterà usi impropri della giustizia. E per sostanziare fin da subito quest’impegno, ha annunciato lo smantellamento dei servizi segreti, immancabile strumento occulto d’ogni prevaricazione al servizio del potente di turno, e la contestuale abolizione dei fondi ad essi riservati. Sarà il Parlamento a stabilirne la riorganizzazione. Il tema non è di facile soluzione, così come quello dei controlli sull’uso della forza da parte dei corpi armati dello stato.
Le men che scarse risorse finanziarie di cui potrà disporre il governo peronista saranno convogliate verso le necessità più urgenti. Sussidi alle fasce più bisognose della popolazione per rianimare il mercato di consumo interno. Crediti straordinari fuori del circuito bancario alle piccole e medie imprese per riattivare produzione e occupazione. Riorganizzazione della sanità pubblica, del sistema scolastico e delle pensioni. Al Fondo Monetario Internazionale (FMI) e ai creditori in generale, il nuovo presidente chiede pazienza: gli argentini devono mangiare per lavorare, i morti non pagano i debiti… Agli argentini raccomanda di ricordargli tutte le promesse di oggi, ogni qual volta abbiano l’impressione che se ne stia dimenticando qualcuna.
Articolo di Livio Zanotti