Un ospedale come modello di sviluppo economico di un paese. È il Lacor Hospital: fondato nel 1959 a Gulu, in Uganda, dai missionari comboniani, è diventato “l’impegno di una vita” per il pediatra italiano Piero Corti e sua moglie, la chirurga canadese Lucille Teasdale, che dal 1961 l’hanno gestito. “Il motto dei miei genitori era ‘le migliori cure possibili per il maggior numero possibile di persone al minor costo, garantendo assistenza medica ai più vulnerabili, senza discriminazioni – dice Dominique Atim Corti, presidente della Fondazione Corti che, dal 1993, affianca e sostiene l’ospedale – E se, all’epoca, parlare di efficacia ed efficienza era antesignano, oggi è essenziale”.
Piero e Lucille Corti hanno dedicato la loro vita a sviluppare il Lacor in termini di strutture, capacità e competenze locali per renderlo “completamente africano”. Nel corso della sua storia l’ospedale ha affrontato numerose emergenze, tra cui dittature, conflitti armati e, nel 2000, un’epidemia di ebola, ma è diventato il punto di riferimento per la cura di malattie come la malaria e l’Hiv (Insieme al governo ugandese e a screening e cura è riuscito a ridurre i casi) e per la battaglia contro il virus ebola ricomparso nel vicino Congo, e oggi è il primo datore di lavoro privato del Nord del paese.
“Un miracolo? No, un’attenta gestione delle risorse che va di pari passo con un modo più silenzioso ed efficace di sostenere l’Africa e le sue necessità – aggiunge Dominique Corti – L’aiuto è davvero efficace se parte dai bisogni reali, se si lascia la governance nelle mani del personale locale e si sostengono con continuità i costi correnti. Gli aiuti a pioggia non servono”.
Ogni anno sono circa 250 mila le persone curate nell’ospedale provenienti da tutto il paese e anche da fuori confine, l’80% è rappresentato da donne e bambini, i più colpiti dalle malattie della povertà. Sono 750 i dipendenti, tutti ugandesi (inclusa la direzione) e in gran parte donne. “Il Lacor non rappresenta un costo per la popolazione locale, un buco nero economicamente sterile, come troppo spesso accade – spiega Laura Suardi, segretario generale della Fondazione Corti che gestisce l’ospedale – Garantendo salute e dando lavoro e formazione non combatte solo malattie e povertà, ma aiuta la pace e la stabilità”.
Le donne rappresentano il 64% dei dipendenti del Lacor Hospital. In Uganda, un paese in cui il 35% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, con una media di 5,9 figli per donna (1,3 il dato in Italia) e un’aspettativa di vita alla nascita di 59 anni, far studiare le ragazze è raro: la famiglia sceglie di far proseguire gli studi solo ai figli maschi.
“Mi ritengo una privilegiata – racconta Caroline Okello, responsabile del personale al Lacor Hospital dal 2003. “Ho frequentato la facoltà di Business e administration all’Università di Makerere, a Kampala, la capitale”. Tornata a Gulu, dalla famiglia, Okello ha iniziato a lavorare per un’organizzazione di microcredito. Nel 2003 è stata assunta al Lacor. “Mia madre era una casalinga, doveva limitarsi ad accudire i figli e vivere di agricoltura di sussistenza per soddisfare le necessità della famiglia – aggiunge – Io e le mie sorelle invece siamo andate a scuola. Mio padre, avvocato, era uno dei pochi uomini che credevano nell’educazione delle figlie. Siamo 18 fratelli, di cui 10 ragazze, e anche se non è stato semplice abbiamo avuto tutti le stesse opportunità”. Le barriere culturali però sono ancora forti. “Dovevo a andare a scuola protetta dai miei fratelli – continua Okello – perché gli altri ragazzi mi schernivano e picchiavano. Il bullismo contro le poche ragazze che andavano a scuola era la quotidianità”.
Grazie al reddito, molte madri single riescono a essere autonome, a mantenere i propri figli e a pagare gli studi a loro e ai figli di chi, nella famiglia allargata, non ha la possibilità di farlo. “Molte delle nostre infermiere – conferma Martin Ogwang, uno dei tre direttori dell’ospedale – sono le uniche in famiglia a pagare le rette scolastiche per i bambini. Non solo i loro, ma anche quelli dei parenti che non ne hanno la possibilità”. Oltre a contribuire alla retta scolastica dei propri figli, Okello paga gli studi di due figli del fratello malato.
L’impatto sociale dell’ospedale
Il cambiamento che la presenza del Lacor Hospital ha prodotto sull’economia locale è stato misurato in termini monetari dal Centro studi Lang sulla filantropia strategica e supportato da Fondazione Cariplo. Per il 2018 è emerso che per ogni euro donato al Lacor sono stati generati 2,4 euro di benessere per la collettività dei distretti circostanti (calcolo effettuato usando l’indicatore Sroi – Social return on investment). Oltre a essere un datore di lavoro, l’ospedale accoglie ogni anno oltre 600 studenti che frequentano le sue scuole per infermiere, ostetriche, tecnici di laboratorio e anestesia, assistenti di sala operatoria, ed è polo universitario della facoltà di medicina dell’Università statale di Gulu e sede di tirocinio obbligatorio per i medici neolaureati. Isolato per decenni, l’ospedale ha allestito officine per costruzioni, riparazioni e manutenzioni che danno lavoro a muratori, carpentieri, elettricisti e meccanici. Nel 1997 è nata una cooperativa di credito interna all’ospedale che, ogni anno, concede prestiti a tasso zero ai dipendenti: oltre il 90% sono chiesti per l’educazione dei figli. Dal 2008 sono stati avviati progetti di sviluppo delle competenze manageriali del personale. La Fondazione Corti ha lanciato, in questi giorni, la campagna di divulgazione #faiunadonazionechegeneravalore: dal 10 novembre sulle reti Mediaset e su La7 va in onda uno spot in cui si spiega come ogni donazione al Lacor si trasforma in cura e formazione, a cui va aggiunto il contributo all’economia locale.
Laura Pasotti