Dopo otto anni Marin Aslop lascia la direzione dell’Orchestra Sinfonica dello Stato di São Paulo. Fu alunna di Leonard Bernstein e forse, proprio per questo, sempre dimostrò una ampia visione artistica e un grande amore per la musica brasiliana di cui apprezza la ricchezza e la varietà culturale dei suoi eminenti compositori. In questi anni ogni concerto, ogni presentazione dell’orchestra aveva in programma l’esecuzione di un una composizione di autori locali, spesse volte, composizioni inedite. Oggi, è il suo ultimo concerto. Sala gremita per il definitivo omaggio a questa donna coraggiosa, capace di affrontare tutte le polemiche che le sue scelte artistiche erano capaci di provocare. Verrà eseguita la nona sinfonia di Beethoven i cui movimenti saranno uniti da composizioni brasiliane, un abbraccio simbolico tra le culture, tra il tempo e lo spazio, un abbraccio tra gli uomini uniti dalla musica e, soprattutto, dalle parole del testo dell’Inno alla Gioia.
Non poteva saperlo, forse lo immaginava anche, ma saperlo proprio no. L’Inno alla Gioia della nona sinfonia oggi è cantato in portoghese. Le parole di Schiller tradotte nella lingua di Camões, Pessoa e Jorge Amado affinché tutti possano comprenderle ed esserne partecipi, il resto lo fa la musica:
Que navio é esse
Que chegou agora
E o navio negreiro
Com os escravos de Angola
Che nave è questa che sta arrivando? È la nave negriera dall’Angola e il suo carico di schiavi.
Per me si va nella città dolente, dicono a chi le nota, le due grandi trappole per topi. Grandi no, enormi. L’ingresso monumentale della sala da concerto si apre su una folla di derelitti in cerca della loro dose di crack. Non bastano tre camionette della polizia per spaventarli. Beethoven non poteva saperlo che mentre scriveva la sua nona sinfonia, a Rio de Janeiro attraccava la più grande nave negriera col suo carico di vite spezzate. Oggi la sua musica appartiene all’umanità. Il mendicante mi chiede qualche spicciolo, una sigaretta, mi augura che lo spettacolo a cui sto per assistere sia di mio gradimento e mi indica le trappole per topi; dice che sono state messe lì, strategicamente, in modo che dentro restino e non escano dalla sala per invadere la loro piazza. L’Inno alla Gioia cantato in portoghese. Anche se adesso piove. E le centinaia di poveracci immersi nei fumi del crack a cercare rifugio sotto le tettoie del palazzo attiguo: l’antica sede della polizia politica in cui torturavano e uccidevano gli oppositori del regime. La nona sinfonia si unisce alla musica brasiliana in un meraviglioso abbraccio artistico, Beethoven abbraccia il Brasile e il Brasile diventa Beethoven. Ogni movimento della sinfonia è intercalato da composizioni brasiliane, la musica, senza soluzione di continuità, dice il non detto. Entra il maestro, il buio illumina la debole luce rimasta, sottovoce il coro ricorda a Beethoven l’arrivo della nave dall’Angola e il suo carico di sofferenza. Sottovoce. Poi la musica. E il lungo applauso, e gli inchini, e ancora applausi e ancora inchini. Ma la perduta gente che cerca rifugio sotto i portici non trova pace. Il manganello minaccia di colpire, stanno ingombrando il marciapiede e disturbano chi esce dalla sala del concerto. Se non ti alzi te lo faccio assaggiare, ringhia l’uomo in divisa con manganello in mano a un vecchio tutto pelle, ossa, e delirio. Aveva ragione lui, il mendicante di prima: le trappole per topi sulla soglia della grande sala servono per non farli uscire, affinché restino presi nel teatro e non invadano la piazza: i topi siamo noi.
Che nave è questa che sta arrivando? È la nave negriera dall’Angola col suo carico di schiavi.
Arriva gente da Cambinda, Benguela e Luanda, arrivano in catene per lavorare nelle nostre terre.
Che nave è questa…
Ma una volta qui, non hanno perso la loro fede, hanno creato il samba, la capoeira e il candomblé.
Che nave è questa…
Incatenati nei sotterranei della nave, molti sono morti di disperazione e freddo.
Che nave è questa che sta arrivando? È la nave negriera dall’Angola col suo carico di schiavi.