Con le preoccupazioni sui cambiamenti climatici si è acceso anche il dibattito sul tema demografico: la nostra terra è in grado di sfamare 8 miliardi di esseri umani? Non è facile rispondere a questa domanda con un semplice sì o no. Dipende da tantissimi fattori correlati tra loro e dal livello dei consumi che ognuno di noi ritiene necessario per sé. E quanto spazio vogliamo o dobbiamo lasciare alle forme di vita non-umane del nostro pianeta?
Bisogna intanto sgomberare il campo da qualche malinteso: chi desidera parlare della questione demografica non intende produrre un genocidio o procedere alla sterilizzazione di massa nei paesi del Terzo Mondo. Malthus stesso, che ha dato il nome alla vituperata corrente del neo-malthusianesimo, da bravo pastore anglicano del 1800 predicava la castità per limitare la crescita demografica. I tempi sono cambiati e la popolazione è passata dal miliardo di allora ai quasi 8 miliardi di oggi, ottuplicandosi in due secoli. Ora possediamo molti elementi in più – e viviamo in un mondo drammaticamente cambiato – per rispondere alla domanda sulla popolazione mondiale.
Come possiamo misurare se un paese ha raggiunto il livello di sovrappopolamento? Quando non riesce più a soddisfare le necessità della sua popolazione e deve ricorrere a massicce importazioni di generi alimentari ed energia provenienti dall’estero e da oltreoceano. Questo è il caso dell’Italia, che oggi produce solo l’80% delle derrate alimentari (e solo il 24 % dell’energia) che consuma. Il livello di sovrappopolamento dipende da tante variabili. O l’Italia riduce gli sprechi di cibo e risorse e diminuisce generalmente i suoi consumi, o deve fare meno figli (meglio entrambe le cose), altrimenti dovrà necessariamente vivere a spese di altri paesi e continenti che avranno meno risorse a disposizione per le proprie popolazioni locali.
Bisogna forse chiarire che il concetto di “crescita zero” riferito a una popolazione, in genere percepito come negativo, non significa che non nascono più bambini. In realtà rappresenta una condizione ottimale di stabilità, in cui il numero delle nascite compensa perfettamente quello delle morti.
Non si tratta di chiedersi chi è di troppo (come fa ad esempio lo scrittore Paolo Ermani su ilcambiamento.it), né di puntare il dito contro qualcuno (che siano gli americani spreconi o i popoli del Terzo Mondo che fanno tanti figli), ma di cooperare a livello planetario per uscire dalla crisi ambientale che affligge il nostro pianeta, coinvolgendo tutte le popolazioni in un processo democratico e basato assolutamente sulla volontarietà e sulla comprensione, non sulla coercizione.
Ermani scrive che per le popolazioni del terzo mondo “fare figli è l’unica speranza di avere qualche possibilità di sopravvivenza”. In effetti l’alta mortalità infantile e l’assenza di sistemi pensionistici che assicurino agli anziani una dignitosa vecchiaia, combinati con la mancanza di autodeterminazione delle donne, portano a tassi di crescita demografica altissimi nell’Africa subsahariana. Oggi le grandi crescite avvengono in ambienti fortemente urbanizzati nelle baraccopoli del Terzo Mondo. Il Bangladesh ha una densità di popolazione di 1.145 abitanti per km2, quasi 6 volte quella dell’Italia.
La capitale della Nigeria Lagos diventerà entro il 2060 la più grande città del mondo, con oltre 60 milioni di abitanti (oggi ne conta circa 21). Triplicare rapidamente la popolazione in un agglomerato urbano non crea possibilità di sopravvivenza, al contrario le diminuisce. Come si fa ad assicurare la fornitura di acqua potabile e cibo a tutta questa gente, concentrata in uno degli angoli più poveri e insalubri del pianeta? Questa domanda ci riguarda, anche se viviamo lontani.
Infine, nell’esaminare il tema demografico, dobbiamo necessariamente tenere conto del mondo non-umano, ossia di tutte le forme di vita e del loro diritto a esistere: animali, piante e i fenomeni che normalmente consideriamo privi di vita (inerti), ma che secondo i crescenti studi del mondo scientifico non lo sono affatto: la terra stessa, i sassi, le nuvole, l’acqua. Noi come specie umana non possiamo considerare il 100 % del pianeta come sfruttabile per le nostre esigenze. La scomparsa delle foreste, delle zone umide e delle aree di wilderness (e la conseguente estinzione di massa di numerosi animali e piante), minaccia alla lunga la sopravvivenza della nostra stessa specie umana.
Appare ormai chiara la necessità di passare da un sistema economico capitalistico-competitivo a uno decentralizzato e cooperativo. In questo contesto, quali misure dovrebbe allora adottare la nazione umana, di cui facciamo tutti parte, nella questione demografica per affrontare le grandi sfide del futuro?
In Italia e nei paesi occidentali
- Ridurre gli sprechi di cibo, risorse naturali ed energia (decrescita) e fare educazione nelle scuole su questi temi
- Passare a forme di alimentazione meno basate sulla carne (gli allevamenti hanno un altissimo impatto ambientale)
- Accettare una graduale, leggera diminuzione della popolazione locale come fattore positivo
- Accogliere i migranti come se fossero figli nostri, al di là delle differenze etniche, culturali e religiose
- Fermare il consumo di territorio che cementifica le aree rurali e mantenere inalterata la superficie boschiva
- Cooperare nelle organizzazioni internazionali per affrontare il tema demografico insieme ai paesi poveri
- Lanciare o continuare intense campagne di sensibilizzazione, denuncia e pressione sul ruolo delle multinazionali e dei poteri economici, militari e finanziari nella determinazione delle disuguaglianze e della povertà.
Nel Terzo Mondo
- Fermare il land grabbing, gli espropri delle popolazioni locali e la rapina delle risorse da parte di multinazionali e paesi stranieri
- Studiare forme per diffondere gli anticoncezionali, con modalità assolutamente volontarie
- Eleggere governi democratici e non corrotti, che possano implementare misure di welfare e una maggiore autodeterminazione delle donne
- Fermare i disboscamenti