La cooperante italiana è ancora nelle mani dei suoi rapitori. E su questa tragica vicenda è calato nuovamente il silenzio.
Silvia Romano è ancora nelle mani dei suoi rapitori. E su questa tragica vicenda è calato nuovamente il silenzio. Un silenzio oramai incomprensibile. Sono 13 mesi, ma soprattutto è il secondo Natale che la giovane cooperante italiana trascorre privata della libertà per mano, prima, di criminali comuni che l’hanno sottratta alla sua attività umanitaria nel villaggio di Chakama a ottanta chilometri da Malindi in Kenya il 20 novembre 2018.
Tre degli otto componenti la banda dei sequestratori – Moses Luwali Chembe, Abdalla Gababa Wario e Ibraim Adam Omar – sono stati arrestati e sono sotto processo. Le udienze riprenderanno, forse, dopo la metà di gennaio. Ora, come hanno spiegato gli inquirenti italiani, sarebbe in Somalia nelle mani di elementi del gruppo terroristico al-Shabaab.
Di lei si sa poco o nulla. Il 30 settembre scorso fonti di intelligence italiane hanno detto all’AGI che Silvia Romano “è viva” e “si sta lavorando per riportarla a casa”, poi il 18 novembre la notizia: si trova in Somalia. Gli elementi raccolti dai carabinieri del Ros, coordinati dal pm di Roma, Sergio Colaiocco dopo la trasferta in Kenya dell’agosto scorso hanno rafforzato la convinzione che Silvia Romano si trovi in Somalia. E le notizie si fermano qui.
Un silenzio inquietante. Ancora di più oggi. Gli inquirenti non hanno mai risposto alla domanda se le convinzioni maturate nelle indagini siano o meno supportate da una prova in vita recente. Il 12 luglio scorso, infatti, dopo un vertice a Roma tra le autorità giudiziarie e investigative di Italia e Kenya, è emerso che la giovane volontaria italiana almeno fino al giorno di Natale era viva. Da quel giorno è passato un intero anno.
Siamo al secondo Natale. Anche oggi tante domande rimangono senza risposta, anche dopo la riapertura della pista somala. Ci si chiede, appunto, se vi sia una prova in vita recente, se è in corso una trattativa coi rapitori, se è stato chiesto un riscatto. In una lettera aperta al generale Luciano Carta, direttore dell’Aise, i servizi di intelligence italiani per l’estero, Nino Sergi, presidente onorario e fondatore di Intersos, ha recentemente scritto. “Non sappiamo se prendere per buone le poche notizie diffuse da agenzie giornalistiche sull’area in cui Silvia potrebbe essere trattenuta. Ad esse comunque ci aggrappiamo. Se l’area fosse confermata, la preoccupazione diventa ancora più grande a causa dell’effettuazione di numerosi raid. Come non sappiamo se vi siano le condizioni per fare molto di più di quanto già state facendo; ma ancora una volta le chiediamo di provare a farlo. I tempi lunghi significano anche crescenti rischi: il ricordo di Giovanni Lo Porto rimane ancora molto doloroso”. Una lettera che per ora non ha avuto risposta.
Lo scopo di volontari e cooperanti delle Ong è andare nelle aeree dove è maggiore il bisogno e minore, spesso, la sicurezza. I volontari vanno dove altri non andrebbero e Silvia è andata in quel villaggio dove il bisogno era maggiore, a Chakama, inseguendo un sogno. Eppure c’è chi l’ha denigrata e da subito si è chiesto: “adesso quanto ci costa”, oppure se voleva fare del bene poteva farlo a casa sua. Ma in una società – che si può apprezzare o meno – in cui tutti possono fare ciò che vogliono e tutti sono molto attaccati a questo tipo di libertà, non si capisce perché chi decide di dedicarsi agli altri non possa farlo e sia stigmatizzato. Il silenzio abissale che avvolge questa vicenda finisce per mancare di rispetto proprio a Silvia Romano.
La vigilia di Natale dell’anno scorso abbiamo riportato le riflessioni del direttore della Ong Medici con l’Africa Cuamm, don Dante Carraro: “Silvia è stata mossa da grandi motivazioni. Una spinta ideale bella e pulita. Per questo è ammirabile: perché vuole spendersi al servizio di chi è stato meno fortunato di noi. Rispettiamola e diciamoci che è un punto di orgoglio che ci siano giovani così, rispetto a un mondo in cui i giovani guardano ad altre logiche. Credo che tutto ciò sia un valore. E per questo dobbiamo rispettarla e rispettare le sue scelte”.
Parole che hanno valore ancora oggi, soprattutto in questo giorno. Anche per questo lo sforzo di tutti, soprattutto delle autorità competenti, deve essere ancora maggiore. E anche per questo, non appaia retorico, è giusto augurare buon Natale a Silvia Romano, così come agli altri italiani ancora nelle mani dei loro rapitori: da padre Paolo dall’Oglio, rapito in Siria il 29 luglio 2013, a Luca Tacchetto, scomparso in Burkina Faso il 15 dicembre 2018 insieme a Edith Blais, a padre Luigi Maccalli, rapito il 17 settembre 2017 in Niger.