E’ stato detto che le idee e le posizioni politiche di Mattia Santori, leader e “voce” del movimento delle Sardine, non sono molto diverse da quelle di Carlo Calenda, capo di un partito che non esiste, ma che dovrebbe nascere da una delle costole destre del Pd. Per quel che ne so (leggo distrattamente alcuni quotidiani e non guardo più da tempo la TV) è vero: tanto da fargli considerare “divisivo”, cioè di intralcio, l’applauso tributato alla difesa di Giulio Regeni e “non tutto da buttare” il decreto Salvini. Forse quello che si può salvare è il decreto Minniti, che ne è l’ispiratore, ma non lo sappiamo.
Il bersaglio principale del movimento è comunque il clima di odio e disprezzo che Salvini ha promosso e contributo a diffondere nel paese. Ma Calenda, che le sue idee le spiattella a più non posso, non mobilita nemmeno una mosca; Santori invece, con i suoi sodali (che non si sa se la pensano tutti come lui) riempie le piazze, tenendo le sue posizioni il più possibile sottotraccia. Trattare il loro manifesto in sei punti come un programma politico o, peggio, come una proposta di legge – come ha fatto Barbara Spinelli su Il Fatto – è un errore. Al massimo è una specie di “codice di comportamento”, certo discutibile, in base al quale giudicare politici, giornalisti e cultori della tastiera.
La mancanza di un programma ha fatto del movimento delle Sardine un “sacco vuoto”, dove ciascuno di coloro che si recano in piazza può mettere quello che vuole, ma che Santori, tenendone saldamente in mano i cordoni, si sforza di mantenere rigorosamente chiuso perché ne esca il meno possibile: per lo meno fino alle elezioni dell’Emilia-Romagna. Dove l’obiettivo unico è la sconfitta di Salvini e del centro destra, richiamando al voto per qualche partito di centro-sinistra, cioè il PD o i suoi potenziali alleati (e che altro offre il mercato della politica?) la folla dei non più votanti, che a occhio costituiscono il grosso dei partecipanti alle adunate delle Sardine e che in Emilia-Romagna erano stati la maggioranza degli aventi diritto.
Poi, prima o dopo, quel sacco si sgonfierà o bisognerà aprirlo per vedere che cosa c’è dentro. Quello stato incantato di indeterminazione non può durare in eterno. Il pericolo, anche immediato, che i promotori si sforzano di evitare – o di allontanare – è che quel sacco si trasformi in un’arena dove ciascuno cerca di imporre le sue istanze. Le sollecitazioni da sinistra, ma anche da destra, non mancano: che cosa avete da dire su Ilva e Alitalia? Perché non condannate l’antisemitismo? (un refrain che ha funzionato bene con Corbyn!). O il Vaffa di Grillo? Come vi permettete di esibire una donna con il velo? Perché non condannate l’autonomia differenziata? E su occupazione e precariato non avete niente da dire? Eccetera.
Il peggio sono i tanti gruppi o similpartiti di estrema sinistra, già sul piede di guerra per spartirsene le spoglie come hanno fatto negli anni passati con ogni tentativo di costruire un processo unitario per ridare fiato all’opposizione al pensiero unico.
Bisogna allora lasciare le Sardine “in pace” e aspettare che la natura faccia il suo corso? Neanche per sogno! Il fatto è che contese oratorie e manovre politiche portate dentro l’arena di una mobilitazione di massa non lasciano dietro di sé “il tempo che trovano”, ma solo un cumulo di macerie, mentre proposte di iniziative comuni, portate avanti dai tanti attivisti che si ritrovano ad essere al tempo stesso militanti di un movimento di massa e adepti delle Sardine non possono che far emergere al loro interno alternative chiare su cui schierarsi. Ecco perché eventuali proposte di azioni condivise da parte di movimenti come Fridays for Future o Nonunadimeno, ma anche da parte di reti e comitati che perseguono obiettivi più specifici, ma non meno importanti, come NoTav, NoTap, NoGrandi Navi, ecc., su basi partecipative e democratiche (proprio quella democrazia che figura al centro delle preoccupazioni delle Sardine), non potranno essere eluse e costringeranno prima o poi le Sardine, o gran parte di esse, a uscire dall’indeterminazione senza perdere la loro identità, permettendo così, al di là delle scadenze più immediate, di proseguire le loro mobilitazioni su tematiche più concrete.
Quando sono entrato per la prima volta in un’assemblea del movimento Fridays fo Future ho sentito una ragazza che diceva che del Tav Torino Lione non si doveva discutere perché era “divisivo”. Oggi, a nove mesi di distanza, non penso che in quel movimento possa più esserci più qualcuno che non consideri quella galleria la negazione radicale di tutto ciò che concorre alla lotta per salvare la Terra dalla crisi climatica. Se il movimento Fridays for future o quello NoTav sapranno mescolarsi bene con quello delle Sardine (in gran parte mescolati lo sono già), alle madamine SiTav, che sembravano padrone della piazza di Torino, non resterà più molto spazio per riproporre la più stupida e infame delle Grandi Opere. E così in molti altri campi.