Con il Natale si celebra la nascita di Gesù, detto “il Cristo” perché Messia che, secondo la tradizione cristiana, è stato inviato sulla Terra da Dio. Ecco perché il Papa, nella messa della vigilia, ha detto: “Stanotte l’amore di Dio si è mostrato a noi: è Gesù. In Gesù l’Altissimo si è fatto piccolo, per essere amato da noi. In Gesù Dio si è fatto Bambino, per lasciarsi abbracciare da noi. Ma possiamo ancora chiederci perché San Paolo chiama la venuta nel mondo di Dio ‘grazia’? Per dirci che è completamente gratuita. Mentre qui in terra tutto pare rispondere alla logica del dare per avere, Dio arriva gratis. Il suo amore non è negoziabile: non abbiamo fatto nulla per meritarlo e non potremo mai ricompensarlo”.
E’ proprio nel concetto di amore e di esperienza partendo dal “piccolo”, che si trovano alcune chiavi di interpretazioni del Natale. “Diventare dono è dare senso alla vita. Ed è il modo migliore per cambiare il mondo: noi cambiamo, la Chiesa cambia, la storia cambia quando cominciamo non a voler cambiare gli altri, ma noi stessi, facendo della nostra vita un dono”, spiega il Pontefice. Un Natale contrassegnato dunque dall’impegno ‘comunitario’ . Un impegno che quotidianamente si può tradurre anche in una forte spinta al dialogo interculturale attraverso l’accoglienza dei migranti.
Nel Cortile del Belvedere, in Vaticano, sono stati esposti una croce e un giubbotto salvagente di un migrante scomparso a luglio per ricordare chi tenta la traversata del Mediterraneo. La Santa Sede da tempo sta sostenendo le politiche legate ai ‘corridoi umanitari’, cercando di dare il proprio peso a quel messaggio universale di Cristo, che va oltre il credo religioso. Per il Papa salvare ogni vita umana, “è un dovere morale che unisce credenti e non credenti”, ha detto accogliendo nei giorni scorsi 33 rifugiati provenienti dall’isola di Lesbo, in Grecia, e arrivati a Roma grazie un corridoio umanitario. Proprio a Lesbo, nel campo profughi di Moria, ci sono 14 mila migranti. “Come possiamo non ascoltare il grido disperato di tanti fratelli e sorelle che preferiscono affrontare un mare in tempesta piuttosto che morire lentamente nei campi di detenzione libici, luoghi di tortura e schiavitù ignobile. Come possiamo rimanere indifferenti di fronte agli abusi e alle violenze di cui sono vittime innocenti, lasciandoli alle mercé di trafficanti senza scrupoli. Come possiamo “passare oltre”, come il sacerdote e il levita della parabola del Buon Samaritano, facendoci così responsabili della loro morte. La nostra ignavia è peccato!”, aveva detto.