Il Bacino del Congo, il secondo polmone verde del pianeta, è a rischio alla pari dell’Amazzonia. Lo sfruttamento del legname, il taglio indiscriminato, regole e leggi che non vengono applicate stanno distruggendo un bene comune. Comune a tutto il pianeta. Il Bacino del Congo, 230 mila ettari, rappresenta il 6 % di tutte le foreste del mondo. Distruggerlo equivale a togliere ossigeno a tutti noi.
I bulimici di denaro, le compagnie internazionali del legname, operano in maniera indiscriminata. Ossigeno tolto a tutti gli uomini e donne del mondo e vita negata a quelle popolazioni che abitano la foresta pluviale. Uomini e donne che hanno imparato a vivere e a rispettare la loro fonte di sussistenza: i pigmei. Piccoli uomini che non chiedono altro che continuare a vivere così come hanno fatto per migliaia di anni nel loro habitat naturale, ma con diritti riconosciuti. La loro vita e sopravvivenza è minacciata dalla deforestazione e dalle comunità bantu che si stanno espandendo in quelle aree.
La deforestazione lascia terre libere per i bantu e costringe i pigmei a vivere come schiavi e nell’indigenza ai margini dei villaggi bantu. Tutto ciò accade nella Repubblica del Congo, dove le popolazioni dei pigmei Baka sono vittime di “discriminazioni profonde, sistematiche e radicate”. La denuncia arriva dalla relatrice speciale delle Nazioni Unite sui diritti delle popolazioni indigene, Victoria Tauli-Corpuz. “Sono profondamente preoccupata”, spiega la ricercatrice, “per la generale mancanza di attuazione di una legge che dovrebbe salvaguardare i pigmei. I popoli indigeni non dovrebbero essere visti come oneri o ostacoli allo sviluppo e come popoli arretrati e primitivi. Dovrebbero essere considerati come esseri umani che hanno la dignità e gli stessi diritti di tutte le altre persone”.
La cultura bantu vede questi uomini come non uomini, bestie da soggiogare, da schiavizzare o utilizzare per la caccia. I Baka sono costretti a piegarsi, per poter sopravvivere, ad altri uomini che ritengono di essere superiori, oppure a ripiegare più in profondità nella foresta che in buona parte è stata affidata con concessioni alle compagnie forestali. E tutto ciò l’ho potuto constatare di persona durante una viaggio nella vicina Repubblica Centrafricana. Ho vissuto con questi piccoli uomini per una quindicina di giorni. Non molto, ma sufficiente per capire la loro organizzazione sociale e le discriminazioni a cui sono sottoposti costantemente.
L’insediamento che ho visitato è al confine tra il Centrafrica e il Congo e in quell’area, la regione di Lobaye, i Pigmei sono dell’etnia Aka. I bantu li trattano come fossero delle bestie e li apostrofano: “Voi vivete in nidi di vespe”. Le capanne in cui vivono e che formano l’accampamento, il lango – composto da 20-30 persone ciascuno – assomigliano a degli igloo fatti di rami e foglie secche. I “villageois”, la gente dei villaggi, i bantu, hanno sempre usato i pigmei per la caccia, soggiogandoli attraverso l’alcool e la droga. L’assuefazione e il bisogno continuo di canapa li ha resi schiavi. Dalla “civiltà” arrivano gli ordini e loro eseguono.
Spesso vengono dotati di fucili e così soddisfano il bisogno di cacciagione dei villaggi, persino della capitale. Ma il fucile non è un’arma di caccia usata da questi popoli nomadi. I loro strumenti sono le balestre, gli archi, le frecce, le reti e la zagaglia (lancia) che ha dimensioni particolari per la caccia al gorilla – la punta arriva a misurare mezzo metro. Con la selvaggina, catturata solo per i bisogni alimentari, ingaggiano una lotta alla pari. Ora sono utilizzati come forza lavoro schiavizzata nelle miniere di diamanti di cui è ricca la regione.
Un popolo avvolto nella leggenda
I villageois, però, hanno paura della foresta e attribuiscono ai pigmei poteri soprannaturali. Aka e Baka, invece, ne sono i padroni assoluti. La sfruttano e la salvaguardano come un bene prezioso. Numerose sono le leggende che riguardano questi piccoli uomini. Si racconta, infatti, che qualsiasi pigmeo possa trasformarsi in una feroce pantera, o in un gorilla di montagna, che possano spostare il loro accampamento senza muoversi. Credenze, leggende. Eppure è vero che si spostano con una rapidità impressionante.
Lasciano le capanne e spariscono nel nulla senza lasciare traccia nel fitto della foresta. Una mattina, alcuni bambini mi hanno portato a vedere dove prendono l’acqua. Camminiamo per un paio d’ore su un sentiero poco segnato. Arriviamo alla polla, me la mostrano, ridono e si divertono con le loro zagaglie.
Poi, d’improvviso spariscono. Nessuna traccia. E io come un babbeo rimango lì senza sapere bene cosa fare. Poi ricompaiono, uno a uno e io chiedo spiegazioni. Mi dicono semplicemente che un grosso serpente si aggirava nelle vicinanze, dando per scontato che anch’io conoscessi le leggi della foresta.
Aka e Baka conoscono le ferree leggi della foresta che debbono essere rispettate, perché nel rispetto si fonda l’armonioso vivere della comunità. Al cacciatore è assolutamente vietato, per esempio, cibarsi della selvaggina che ha cacciato. Questo è un modo per costringere la comunità in cui vive a dividersi pacificamente il frutto della caccia o della pesca. Riti propiziatori e tradizioni sono tutti indirizzati al benessere della comunità, per liberarsi dalla malasorte, oppure dall’infelicità personale e sociale. Credono nella vita dopo la morte, ma non hanno il culto degli antenati. La loro tradizione è monogama, ma ammettono il divorzio. Una società tutt’altro che primitiva. I bantu, invece, praticano la poligamia.
Tutele rimaste sulla carta
Con lo sfruttamento della foresta tutto ciò sta scomparendo e non solo il secondo polmone verde del mondo. Il governo del Congo-Brazzaville ha disegnato un quadro giuridico per la tutela di queste popolazioni – la prima legge in Africa dedicata alle popolazioni indigene – e nel 2015 è stato introdotto un articolo nella Costituzione congolese per mettere in atto questo riconoscimento, come scrive africarivista.it. Ma mancano i decreti attuativi e, nella sostanza, tutto è rimasto sulla carta.
I Baka, raccoglitori e cacciatori, vivono nel dipartimento di Sangha e in quello di Likouala, a 800 chilometri dalla capitale Brazzaville. Sono numerosi – anche se un vero censimento non esiste – si stima tra i 43 mila e i 100 mila. Ma non c’è una cifra esatta. Sono tutte approssimazioni. Secondo il governo del Congo vanno da dall’1,4 al 10 % della popolazione del paese. Ma che i Baka, così come gli Aka, non vedano i loro diritti riconosciuti lo si vede anche nella rappresentanza: il dipartimento di Likouala ha la più alta concentrazione di queste popolazione, eppure non ha mai avuto un rappresentante nell’Assemblea nazionale. Sono abbandonati a se stessi.
I Baka e gli Aka sono popoli fieri e benché la foresta continui a indietreggiare sotto i colpi dei mercanti di legname, i pigmei la seguono fedeli, perché solo con essa sono uomini alla pari degli altri.