“Questo si dovrebbe fare in uno spirito di coinvolgimento fraterno, che aiuti a porre fine a tante schiavitù che persistono ai nostri giorni, penso specialmente al flagello del traffico e della tratta di persone”, “penso a quelle donne e a quei bambini del nostro tempo che sono particolarmente feriti, violentati ed esposti ad ogni forma di sfruttamento, schiavitù, violenza e abuso”, “quest’anno, in cui si celebra il 30° anniversario della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, siamo invitati a riflettere e a operare con decisione, costanza e celerità sulla necessità di proteggere il benessere dei nostri bambini, sul loro sviluppo sociale e intellettuale, sull’accesso all’educazione, così come sulla loro crescita fisica, psicologica e spirituale. Il futuro dei nostri popoli è legato, in larga misura, al modo in cui garantiremo ai nostri figli un futuro nella dignità”, le donne e i bambini costretti a prostituirsi o vittime della tratta sono “sfigurati nella loro dignità più autentica”.
Sono alcuni dei passaggi dei discorsi che il Papa ha tenuto nel viaggio in Asia di questi giorni. Le parole, anche dei colloqui più informali, ogni atto di questo pontificato viene quotidianamente vivisezionato, citato, riempie pagine e pagine di quotidiani, programmi televisivi, rotocalchi. Ci sono interi filoni costantemente alimentati da alcuni quotidiani italiani su Bergoglio, le sue parole e le sue gesta. Queste parole invece non hanno conquistato titoloni sulle prime pagine, non vi sono state dedicate ore e ore di trasmissione televisive. Passate poche ore erano già cadute nell’oblio. Parlare di schiavitù e tratta nel main stream italiano è ancora tabù. La schiavitù deve essere relegata ai libri di storia, così da poter continuare a sostenere la favoletta che è relegato ad un passato antico. E la parola tratta, se non serve ad alimentare la propaganda sul decoro, sui migranti che violano e sporcano il sacro suolo patrio, la sicurezza nazionale messa a rischio da orde di barbari ai confini, guai anche solo a sussurrarla. Gli italiani sono brava gente. Numeri e storie documentano altro, ma guai a scalfire le convinzioni della buona borghesia italica e a turbarla. Numeri inoppugnabili ma, come dimostrato da diversi studi sulle percezioni sociali, tra la matematica e la società tricolore ci sono abissi incolmabili. Ma, al di là di ogni propaganda e narrazione, la reale realtà resta. Nel mondo gli schiavi moderni esistono. Varie stime li calcolano tra i 20 e i 45 milioni, un numero pari a quasi l’intera popolazione del Belpaese. L’Organizzazione Mondiale del Lavoro stima che i lavori forzati generino proventi illeciti per 150 miliardi di dollari l’anno, è la seconda fonte di profitto della criminalità organizzata, dopo le droghe.
La stessa organizzazione ha stimato in 12 milioni e 300 mila le persone sottoposte a sfruttamento sessuale per un volume complessivo d’affari sporchi di 32 miliardi di dollari all’anno. In Italia la prostituzione ha un giro d’affari di circa 90 milioni di euro al mese. Sono stimate tra 75mila e 120mila le vittime della prostituzione. Il 65% è in strada, il 37% è minorenne, tra i 13 e i 17 anni. Provengono da Nigeria (36%), Romania (22%), Albania (10,5%), Bulgaria (9%), Moldavia (7%), le restanti da Ucraina, Cina e altri paesi dell’Est. I clienti sono 9 milioni, con un giro d’affari di 90 milioni di euro al mese. Nel silenzio dei patrioti, dei “prima gli italiani”, dei “pensate sempre ai migranti” o “i clandestini sono trattati meglio di noi, basta che arrivi con un barcone e hai tutti privilegi e noi sgobbiamo” e simili, i più turpi appetiti di brava gente, padri di famiglia e baldi maschi italiani vengono quotidianamente saziati con le lacrime, il dolore e la violenza sulla pelle delle vittime della tratta.
Nel silenzio main stream e nell’indifferenza politica e sociale, già 5 anni fa Antonello Mangano denunciò su L’Espresso una vicenda peggio che vergognosa, una disumanità spaventosa nel cuore del suolo italiano che dovrebbe sconvolgere, non far dormire la notte, far stare male fin nelle viscere sin dalle prime righe della sua inchiesta. “Il nuovo orrore delle schiave romene”, 5mila donne sfruttate nelle serre del ragusano, segregate nei campi e costrette a subire “ogni genere di violenza sessuale” durante festini organizzati dai padroni, per familiari, parenti e amici. “Per lavorare nelle serre le donne romene non devono solo accettare una paga misera”, scrisse Alessandra Sciurba in una ricerca per il Centro di documentazione L’altro diritto dell’Università di Firenze (http://www.adir.unifi.it/rivista/2013/ragusa.htm ) l’anno prima, “a fronte di giornate lavorative che durano anche 14 ore. Il loro sfruttamento è doppio, poiché molte di esse devono inoltre accettare di piegarsi ai piaceri sessuali dei datori di lavoro, dei caporali, dei colleghi”. Padre Beniamino Sacco, intervistato nella ricerca di Alessandra Sciurba, ha denunciato come “si arriva a dar vita a vere e proprie feste a sfondo sessuale in cui i proprietari e datori di lavoro mettono a disposizione di amici e conoscenti le proprie lavoratrici. I festini sono diffusi soprattutto nelle piccole aziende a conduzione familiare, perché le grandi aziende sono più controllate. Hanno luogo tra le serre stesse, o in cascine isolate, o talvolta anche in disco-bar poco frequentati. Le ragazze coinvolte sono lavoratrici rumene giovani che spesso hanno dai 20 ai 24 anni. A volte si tratta anche di ragazze figlie di dipendenti a cui il proprietario affitta la cascina. Ogni tanto succede anche che siano i figli dei proprietari a sfruttarle”.
Sempre su L’Espresso Antonello Mangano ha denunciato negli anni scorsi che, dopo le prime denunce, nulla era cambiato e che il turpe sfruttamento non era stato minimamente scalfito. Nel 2015 il Financial Times denunciò che la tratta di esseri umani era in aumento in molti paesi, sfruttamento sulla pelle di 21 milioni di persone in tutto il mondo, 4 milioni e mezzo destinate allo sfruttamento sessuale.“Il problema è particolarmente grave in Italia – sottolineò il quotidiano – a causa di una combinazione di vari fattori, quali “la posizione geografica, il potere della criminalità organizzata locale soprattutto nelle regioni più povere dove lo stato è debole e una persistente domanda di prestazioni sessuali”.
Lo sfruttamento della schiavitù sessuale non ha confini. E così il mercato della prostituzione e dello sfruttamento viene alimentato durante le vacanze all’estero. In tutto il mondo ci sono tre milioni di persone che ogni anno si mettono in viaggio per fare sesso con un minore. I dati sono dell’Organizzazione mondiale del turismo (Omt). L’Italia gode, purtroppo, di un triste primato, piazzandosi tra i primi sei paesi da cui partono i “clienti” di minori costretti a prostituirsi.
L’associazione Amani dedicò la prima pagina, con una vignetta di Mauro Biani, e un ampio approfondimento alla denuncia di questo mercato criminale nel 2007. Sottolineò sul suo blog Mauro che “il nostro paese è al primo posto in Europa per domanda di sesso all’estero con minori. Sono circa 80mila i maschi italiani che ogni anno si recano in paesi stranieri — prima meta, il Brasile — con questa finalità. Il Triveneto è la regione più “attiva”. Nel marzo scorso è stato condannato un veronese (14 anni di reclusione e 65mila euro di multa) per reati sessuali all’estero, particolarmente in Thailandia. […]Esiste tutta una categoria di turisti – soprattutto fra i 45 e i 65 anni – che si reca in Kenya a caccia di situazioni che possano ravvivare la loro vita sessuale. I fatti sono sotto gli occhi di tutti. Padre Kizito Sesana racconta: «Qualche tempo fa, con un amico, ho visitato la costa a nord di Mombasa, chiamata “la Costa Tedesca” a motivo della forte presenza di turisti dalla Germania. Era marzo, e i turisti erano pochi. Nel tardo pomeriggio siamo entrati in un bar per bere qualcosa di fresco e siamo restati colpiti dalle strane coppie sedute ai tavoli: uomini bianchi anziani con ragazzine, o con ragazzi adolescenti; donne bianche con ragazzi che potevano essere i loro figli o nipoti. Ancor prima di digerire la sorpresa, veniamo avvicinati da una serie di ragazzine e poi di ragazzi. Siamo usciti senza finire la birra» […] Il turismo sessuale è gestito da una complessa rete segreta. I luoghi di incontro sono ville ben riparate e vigilate, saloni di bellezza, centri per massaggi e residence. Fanno parte della filiera alcuni operatori turistici e alberghieri. In testa viene Mombasa, seconda città keniana e porto di rilievo. Qui, per soddisfare i marinai delle portaerei americane, arrivano ragazze fin dalla Repubblica Democratica del Congo, da Ruanda, Burundi, Uganda e Tanzania. I marinai pagano fino a 100 dollari a incontro. Ma ultimamente le portaerei scarseggiano… C’è poi Malindi, dove le ragazzine sostano nei dintorni delle spiagge degli alberghi […]”.
80.000, una cifra ripetuta 6 anni dopo in un articolo del Daily Telegraph tradotto in italiano da Internazionale.
Si potrebbero citare cifre all’infinito. Non è casuale la scelta in quest’articolo di prendere statistiche datate nel tempo. E’ una voluta provocazione a documentare che gli anni scorrono, ma che nonostante gli ultimi tempi abbiano visto cambiamenti sociali così radicali che sembrano passate ere geologiche, in tema di schiavitù tutto pare rimasto fermo e immutato. Chiunque può verificare in pochi secondi i numeri della schiavitù sessuale, che vede gli italiani primeggiare ed esserne ampiamente protagonisti anche in Thailandia e in tutto il sud est asiatico (da dove Bergoglio ha pronunciato le parole riportate all’inizio dell’articolo), anni dopo questi numeri identici.
Alessio Di Florio