Prima dell’Alba di Paolo Malaguti è un noir storico ambientato durante la fase finale del Grande Massacro del 1915-1918, inoltre ricorda la vicenda dei fucilati e decimati di allora, che a distanza di cento anni e oltre di distanza, devono ancora essere riabilitati, storicamente e giuridicamente.
Il romanzo è dedicato all’artigliere Alessandro Ruffini, fucilato dal generale Andrea Graziani, un fucilatore che assassinò decine di soldati. Alessandro Ruffini fu fatto fucilare il 3 novembre 1917, nei giorni quindi della battaglia di Caporetto, da Andrea Graziani, perché al suo passaggio non si tolse il sigaro di bocca.
La battaglia di Caporetto si trasformò in una tragica disfatta che Cadorna attribuì all’esercito italiano: “La mancata resistenza di reparti della Seconda Armata, vilmente ritiratisi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico, ha permesso alle forze armate austro-germaniche di rompere la nostra ala sinistra sulla fronte giulia.” Dopo le accuse di codardia rivolte alla II Armata, i Tribunali militari pronunciarono quattro mila sentenze di condanna a morte di soldati italiani, delle quali 750 furono eseguite; a questo totale spaventoso sono da aggiungere le esecuzioni sommarie ordinate senza celebrare il processo e le numerose decimazioni, avvenute con l’estrazione a sorte di un certo numero di soldati da fucilare. In queste esecuzioni per mano amica si distinse Andrea Graziani. Prima dell’Alba racconta la grande guerra, o grande massacro, dal 2 ottobre 2017 alla vittoria dell’esercito dei generali, attraverso gli occhi, la mente e il cuore di un soldato semplice, Vecio, che la vive dall’inizio, 24 maggio 1915, alla fine, 3 novembre 1918. Il cuore del racconto è la disfatta di Caporetto. Prima dell’Alba prende il titolo dall’alba del 24 ottobre 1917, quando gas tossici e proiettili di artiglieria iniziarono a cadere sulle linee avanzate difese dall’esercito italiano, vicino a Caporetto. Nelle ore immediatamente successive migliaia di soldati austriaci e tedeschi attaccarono nella breccia aperta nello schieramento italiano. Dopo una giornata di combattimenti, i generali italiani ordinarono alle loro truppe di ripiegare. La ritirata si sarebbe fermata soltanto quattro settimane dopo, sulla famosa linea del Piave.
Quarantamila soldati italiani furono uccisi o feriti e altri 365 mila furono fatti prigionieri. Vecio è uno dei contadini, come erano la maggior parte dei soldati che furono costretti a combattere nel fango delle trincee per un’ Italia che non apparteneva loro e per la quale non sentivano amor patrio. Vecio non è un ribelle o un eroe, ubbidisce, combatte e cerca di sopravvivere, ma si rende conto di quello che succede. L’inferno delle trincee di prima linea, fatte di fango, sporcizia e sangue, assalti suicidi al nemico, carabinieri uccisi per vendetta, la disfatta di Caporetto, le fucilazioni, il dramma delle famiglie costrette ad abbandonare le proprie case.
La guerra di Vecio si conclude tragicamente. Poco prima del 4 novembre 1918, una scheggia di granata austro-ungarica, una sbrendola , gli rovina, la bocca, la mandibola e la lingua. Ricoverato in ospedale, per una possibile ricostruzione facciale, viene a sapere che la moglie, che chiama sposa, è morta. Vecio abbandona le cure, lascia la clinica, visita la tomba della sposa al cimitero del paese e inizia una vita da vagabondo straccione, con, inoltre, un viso deformato che gli impedisce di parlare. Tutto questo è raccontato in nove dei diciotto capitoli del romanzo. Negli altri nove si parla di un’indagine poliziesca. Ottaviano Malossi, ufficiale della Polizia di Stato deve accorrere dove vicino ai binari , all’altezza di Calenzano, vicino a Firenze, giace un cadavere con segni di una caduta. La tessera del partito fascista documenti che il morto ha con sé: Graziani Andrea, nato a Bardolino di Verona, il 15 luglio 1864, Luogotenente Generale della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Non uno qualunque, quindi. Luogotenente generale della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, medaglia d’oro per l’organizzazione dei soccorsi dopo il terremoto di Messina nel 1908, tenente colonnello di stato maggiore, da settembre del 1914 maggiore generale, medaglia d’oro al valor militare nel ’15, comandante della brigata Jonio in Valsugana nel ’16, nel ’18 comandante del corpo cecoslovacco in Italia. Malossi inizia un’ indagine alla ricerca della verità, tra resistenze, false piste e pressioni dall’alto. Oltre la tessera del partito Ottaviano Malossi trova addosso al cadavere più di seimila lire, molto denaro. Questo oltre al fatto della posizione sociale del generale gli fa scartare al poliziotto le ipotesi di furto e di suicidio. L’ informarsi su quello che ha combinato durante la grande guerra il maggiore generale fucilatore fa sorgere alcuni sospetti sulle cause reali della caduta dal treno. Ma i suoi superiori, un questore e un magistrato, lo scoraggiano a proseguire in questa direzione.
Alla fine del romanzo Vecio e Malossi si incontrano a Verona al funerale di Graziani. Malossi intravede il Vecio, vagabondo e straccione, una presenza non in armonia con il mucchio di fascisti e gerarchie militari e intuisce qualcosa. Si avvicina e lo invita a cena in un osteria vicina. In mezzo al fumo di sigari e pipe, mangiando frittate con lardo e cipolle, un colloquio fatto di domande e cenni con la testa, il Vecio non può parlare, viene chiarito quello che è sucesso. Il giallo della morte di Graziani viene risolto.Tra Malossi e il Vecio c’è della simpatia, entrambi hanno partecipato alla guerra, Malossi, classe 1899, è stato un dio mama , nome dato dai veterani alle nuove leve. Dopo la cena i due si separano. Malossi riparte per Firenze e il Vecio rimane ancora un pò nell’osteria, termina il vino rosso e poi va verso l’ultimo sonno, quello della morte, pensa di aver compiuto la sua vita. Prima ricorda la sposa e pensa che sarebbe stato meglio disubbidire e perdere, piuttosto che ubbidire e vincere un Grande Massacro. Il romanzo è costruito con grande rigore storico e ha una potente scrittura. Tra l’altro riporta le molte parole che i giovani soldati mandati al macello come carne da cannone usavano per esprimere pensieri e sentimenti. La “caramella ” è l’ufficiale, il “corpo reali imboscati” è la croce rossa italiana, “passare al lampione” e andare sotto processo, “re Pipetta” o “sciaboletta” , è Vittorio Emanuele III, “reoplano abbattuto”, è il carabiniere ucciso per astio o vendetta, “trincea Cadorna”, e la trincea di prima linea, molto pericolosa, e molte altre espressioni. Il tutto basato su uno studio approfondito dell’italiano usato nelle trincee. Alla fine c’è un glossario che fa riferimento a un libro dello storico Saverio Mirijello: 1914-18 Parole dal fronte: la nuova lingua italiana nata durante la Grande Guerra.
Biografia di Paolo Malaguti
Nato a Monselice nel 1978. Ha trascorso l’infanzia e la giovinezza a Padova, dove ha frequentato il Liceo Ginnasio “C. Marchesi” e dove si è laureato in Lettere moderne, con una tesi di Filologia italiana su Antonio Fogazzaro. Dal 2004 insegna nei licei, prima della provincia di Treviso, poi nella provincia di Vicenza. Attualmente insegna nel liceo “G. B. Brocchi” di Bassano del Grappa. Vive ad Asolo.
Libri pubblicati da Paolo Malaguti
Ha pubblicato “Sul Grappa dopo la vittoria” nel 2009, per Santi Quaranta di Treviso; sempre con la casa editrice trevigiana, ha pubblicato due anni dopo, nel 2011, “Sillabario veneto”, e, nel 2013, “I mercanti di stampe proibite”. Nel 2012 ha partecipato con il racconto “Il bambino di Marostica” all’antologia “Nero 13 – Giallo a Nordest” per la Libra Edizioni. Nell’ottobre del 2015 pubbica Neri Pozza, il romanzo storico “La reliquia di Costantinopoli”. Nell’aprile del 2016 è uscito, per la BEAT, “Nuovo sillabario veneto – alla ricerca dei veneti perduti”, Nel settembre del 2017 pubblica per la Neri Pozza, il romanzo storico “Prima dell’alba”.
Prima dell’alba
di Antonio Malaguti
Neri Pozza, 2017
304 pagg.
euro 17