Prishtina, capoluogo del Kosovo, è una città sorprendente: la stratificazione di eventi e contenuti, di topo-grafie e memoriali che riproduce, rende impossibile qualsivoglia reductio ad unum.
È impossibile fornire una chiave di lettura unica per una città siffatta, essenzialmente, multiforme e policentrica. Nel contesto della composizione di un «itinerario di itinerari», sullo sfondo del lavoro sul patrimonio come «vettore per la pace», è forse proprio questo, metodologico molto più che contenutistico, l’aspetto saliente della città: il suo costitutivo policentrismo, frutto, al tempo stesso, della successione delle epoche storiche e politiche che, di volta in volta, vi hanno introdotto modificazioni o ne hanno alterato la topo-grafia, ma anche della stratificazione, non sempre coerente, delle soluzioni urbanistiche e delle scelte architettoniche.
È proprio questo costitutivo policentrismo a essere (potere essere) funzionale al «lavoro di pace», allorquando questo si esercita sullo «spazio della città». Per diversi ordini di ragioni: intanto, perché manca, a Prishtina, un luogo unitario, esclusivo, in cui i “poteri” possano esercitarsi, tanto i poteri istituzionali, quanto i poteri (contropoteri) informali; e alla fine la vivace presenza giovanile e l’innovativa scena culturale di creatività urbana, che sembrano caratterizzare, da alcuni anni a questa parte, il profilo della città, ne sono testimonianza importante. Poi, perché a Prishtina, il nuovo (quando riesce a innestarsi nel contesto topografico) ed il vecchio (quando è riuscito a sopravvivere alle ripetute distruzioni e modernizzazioni) si confrontano e si affrontano, direttamente e plasticamente, a stretto contatto, l’uno a fianco dell’altro, con effetti distonici e paradossali: talvolta, efficacemente distonici e positivamente paradossali.
Infine, perché a Prishtina le differenti ipotesi di «memorializzazione» si affrontano e si scontrano anch’esse: così come la vicenda istituzionale che riguarda l’intera regione, il Kosovo, è lungi dal dirsi compiuta, analogamente il confronto culturale, tra gli spazi culturali e gli immaginari culturali, che si svolge sullo sfondo del capoluogo, è tutt’altro che definito, studi e ricerche sono in corso, e ogni indagine e ricerca, come questa, è un contributo, che può spingere tanto nell’una, quanto nell’altra, delle due direzioni, della violenza o della pace («pace positiva»). Di ciascuno di questi aspetti, nell’«itinerario di itinerari», è possibile rinvenire evidenza.
La funzione di antenna che Prishtina svolge è confermata dal layout per questo 2019 del suo monumento simbolo, il NEWBORN. La sua livrea è ora costituita, su una facciata, da una serie di graffiti di street art, sull’altra facciata, dalle parole, in diverse lingue, con iniziale la lettera su cui sono stilizzate: N[ature], E[nergy], W[ater], B[iodiversity], O[xygen], R[ecycling], N[ature]. Con un doppio significato simbolico: centralità e circolarità del tema ecologico, sempre più attuale e urgente a livello planetario, con la difesa della natura che diventa, circolarmente, inizio e fine di questo messaggio concettuale. Del messaggio, poi, vanno notate due ulteriori emergenze: il Kosovo è tra i pochi luoghi al mondo ad avere, come monumento – simbolo, un monumento di arte concettuale; e questo monumento – simbolo, praticamente per la prima volta nella sua storia, che inizia il 17 febbraio 2008 con la proclamazione unilaterale della Dichiarazione di Indipendenza (che fa mostra di sé in una tavola dedicata del Museo Nazionale del Kosovo), non parla del Kosovo, non commemora, non «memorializza» un evento kosovaro, ma rimanda ad un tema generale, internazionale, stavolta persino eco-sistemico. È ciò che si diceva del tema della «ambivalenza», che può aprire a soluzioni divergenti, prospettiche, non omologate, tantomeno esclusive: com’è noto, di fronte al Museo Nazionale del Kosovo, sorge la piazza che ospita il «Monumento alla Fratellanza e Unità», a lungo oggetto di dibattito circa la sua distruzione, oggi paradossalmente rinato a nuova vita grazie alla risistemazione della piazza entro cui si staglia. Dopo la vittoria della resistenza partigiana, sotto la guida di Tito, nel 1944, ricordata, con una targa negletta, presso il Palazzo della Municipalità, Prishtina fu proclamata infatti capoluogo del Kosovo nel 1947.
La proclamazione inaugurò un rapido sviluppo urbanistico, all’insegna dello slogan: «Uništi stari, Graditi novi» («Distruggere il vecchio, Costruire il nuovo») che avrebbe segnato, per i decenni a seguire, e, significativamente, tuttora, il carattere urbanistico della città. Il Monumento alla «Fratellanza e Unità», che riprendeva, appunto, il motto del socialismo jugoslavo («Bratstvo i Jedinstvo»), campeggia nel centro di Prishtina, a cavallo tra lo storico Palazzo «Boro e Ramiz», i Monumenti a Skanderbeg e a Rugova ed il centro storico della città. La sua denominazione autentica è di «Monumento agli Eroi del Movimento di Liberazione Nazionale», in quanto, realizzato dall’architetto Miodrag Živković nel 1961, fu dedicato ai partigiani caduti nella lotta contro l’occupazione nazi-fascista. Di Tito si richiama la celebre espressione, uno dei motti della Jugoslavia e, in particolare, del socialismo jugoslavo: «Preservare la fratellanza e l’unità dei popoli jugoslavi come la pupilla dei nostri occhi». Pace e Fratellanza. C’è una speranza di cambiamento, oggi in Kosovo: è un contesto in cui spesso la città è come “assediata” dalla campagna, ma nella quale una positiva ambivalenza continua ad aprire spazi, di paradosso e di dialettica, attraverso i quali «costruire».