La Serbia Centrale costituisce un itinerario poco frequentato, ma decisivo ai fini della “leggibilità” delle istanze di connotazione e di convergenza tra i popoli della regione e, di conseguenza, per un’autentica comprensione del patrimonio culturale e del suo connotato trasfigurativo, in una regione, a cavallo di quella «Porta del Sud» che è Kraljevo, che è terra di mille leggende di fate e di demoni della tradizione balcanica e di mille battaglie, lungo il corso dei secoli, contro i grandi imperi d’Europa.
La dimensione di comunità sembra essere assai attinente alla Serbia Centrale, tra ritualità del patrimonio etno-culturale e aderenza ad antiche culture e secolari saperi. Ma è una regione cruciale anche per l’esplorazione del nostro «itinerario di itinerari». Si tratta infatti, insieme con la Raška e il Kosovo, di territori storicamente percepiti come limes, «adiacenza» tra lo spazio cristiano e il mondo islamico, terra di confine e battaglie, di difesa e rivendicazione di uno spazio linguistico e culturale. Dopo la fine del “re debole”, Uroš III, figlio dello zar Dušan, Vukašin ne usurpò il titolo, ma subì la prima sconfitta decisiva per mano ottomana, nel 1371; regnante dopo la morte del padre, Marko Kraljević lottò come vassallo ottomano, e a lui si ispira uno dei cicli epici più noti della letteratura serba. Una terra, dunque, di mitologie radicate, sulle cui basi le narrazioni nazionalistiche tendono ad erodere spazi alla trasformazione positiva. Il lavoro di ricomposizione, a partire dalla cultura, può mostrarsi qui assai complesso, proprio perché deve sfidare questa «ambivalenza», tra icone del sacro e immagini della guerra, che rende la cultura dell’identità e del conflitto particolarmente radicata; nonché, profonde radici di comunità e ricchi tessuti di relazione. Richiama un duplice aspetto del «lavoro di pace»: ora, demistificare il portato di violenza che tracima dalle culture nazionalistiche, anche attraverso la «scoperta dell’altro»; ora, sviluppare comunità, consolidando le «capacità locali per la pace» e, per ciò che riguarda la «cultura per la pace», promuovendo il messaggio di fratellanza e di condivisione che il patrimonio culturale, la sua scoperta e la sua tutela, porta con sé. Di tutto questo, Kraljevo è un «epicentro», e qui il nesso tra la storia e la geografia diventa dirompente, in una città che è, insieme, crocevia di miti e di narrazioni, sede di un patrimonio culturale notevole, porta verso il Sud – e verso il Kosovo – nonché destinazione di non pochi tra gli sfollati di quella guerra. Ma quanti sono i capitoli della storia di questa città, attraverso quali memorie è possibile leggerli? Alle spalle della stazione dei bus, si staglia il Parco Memoriale «14 Ottobre», tra i più impressionanti della intera regione.
È anche il racconto di un’epopea. Nell’autunno 1941, Kraljevo, con Užice e Valjevo, costituiva la Repubblica di Užice, il primo territorio liberato nell’Europa continentale sotto occupazione nazista, tra il 24 settembre ed il 2 dicembre del 1941. In risposta ad un’azione partigiana presso Kraljevo, i nazisti scatenarono cinque giorni di massacri contro la popolazione, con una lunga serie di incursioni e di rastrellamenti, in uno sterminio che durò dal 14 al 21 ottobre e che falcidiò 5.000 persone, tra cui 100 bambini. Il Parco Memoriale «14 Ottobre», inaugurato nel 1970, è una delle rappresentazioni, insieme, più astratte e suggestive dell’epopea della liberazione, della resistenza antifascista e della memoria del dolore. L’eccidio del «14 Ottobre», non a caso, dà anche il nome al viale principale della città, che collega l’area della stazione al Museo Nazionale, peraltro ricchissimo di testimonianze e di documenti sia del passato antico sia dell’epopea antifascista. Le guerre recenti, quelle degli anni Novanta, sono ricordate con una fontana monumentale, bellissima espressione di astrattismo simbolico, che celebra il ricordo delle vittime e la memoria del dolore. Sarebbe fin troppo scontato, del resto, definire «regale» l’eleganza di questa città: detta anche «Città dei Sette Re», Kraljevo ha, come simbolo, sette corone, perché, secondo la tradizione, furono sette i re serbi incoronati nel Monastero di Žiča, e questo, a sua volta, poco distante dalla città, è luogo memoriale quale uno dei «monasteri di fondazione» della cristianità ortodossa di rito serbo. Nella Chiesa di San Demetrio, nel Complesso del Patriarcato di Peć, poco distante dal Monastero di Dečani, ulteriore tappa di questo «itinerario di itinerari», vi è una rappresentazione del concilio ecumenico di San Sava a Žiča, dove pronunciò uno storico discorso sulla vera fede in occasione dell’incoronazione, da parte di Sava stesso, del fratello, Stefan Milutin, atto con cui lo stato serbo divenne un regno e la chiesa serba celebrò il primo atto della propria autocefalia. Era il 1219 e quest’anno, tanto i panel all’ingresso del Monastero quanto una mostra nel Museo episcopale, ricordano la celebrazione dell’ottavo centenario (1219-2019) dell’autocefalia della chiesa ortodossa di rito serbo. Come ricordò (2013) «Voices of Serbia», si tratta di un atto di straordinaria importanza storica, come atto di fondazione, dal momento che «con il Nomocanone e il Sinoddico dell’ortodossia, San Sava instaurò le fondamenta giuridiche e spirituali della sovranità serba, laddove la Normativa di San Sava, che si basava sul diritto romano e bizantino, veniva a rappresentare la prima costituzione serba». A Kraljevo, come a Žiča, tutto ciò è evidente, e lo richiamava, appena nel 2016, anche la mostra dedicata a San Sava al Museo Storico di Serbia, a Belgrado, illustrando, attraverso l’unità culturale e spirituale dei luoghi memoriali, il carattere trasfigurativo di tale patrimonio.