Giornata luminosa ieri al Politecnico di Milano. Anche il sole ha detto sì alla manifestazione indetta per salvare gli alberi a rischio abbattimento. La pioggia s’è fermata, le nuvole si sono aperte e alle 12,30, ora in cui era previsto il flash mob organizzato per opporsi alla distruzione del Parco Bassini, il sole splendeva e scaldava. Sono arrivate anche le scolaresche della vicina scuola steineriana accompagnate da alcune insegnanti; davanti alla recinzione che al momento separa il giardino dalla palazzina 21 del Politecnico hanno inscenato una bella performance cantando e simulando con i loro corpi e la leggiadria della loro età le chiome degli alberi da salvare.
Le ruspe erano già in campo, la superficie accuratamente recintata e gli alberi sarebbero già stati abbattuti se non si fosse levata alta e forte qualche giorno fa la voce di una donna, docente del Politecnico, che ha lanciato una petizione richiamando tanto il sindaco che il rettore alle loro responsabilità di difensori dell’ambiente, come amano definirsi. Quindi le ruspe si sono fermate e per il momento il Parco Bassini è ancora là, salvato da una donna.
“No – ci dice la professoressa Azzellino, autrice della petizione e docente di Valutazioni d’impatto ambientale – Se riusciremo a salvare il parco NON sarò stata io a farlo, ma lo avremo fatto tutti insieme.” Aggiunge che appena lanciata la petizione, i suoi colleghi e le sue colleghe più sensibili al problema, che lei ha comunque il merito di aver affrontato di petto, le si sono immediatamente affiancati. Il suo essere donna non ha generato, come si poteva ipotizzare, un muro discriminatorio, semmai la discriminazione – ci dice – c’è stata da parte di chi temeva di inimicarsi il rettore Resta il quale, in un’intervista a La Repubblica del 20 novembre, ha rilasciato una dichiarazione a dir poco bizzarra. “Non possiamo fare un intervento sul verde che pensi semplicemente all’oggi…. Ce lo chiedono i ragazzi” ha detto e poi ha aggiunto: “Guardiamo al 2050”.
Ora, data l’impossibilità di credere a scatola chiusa che “i ragazzi” (quali?) abbiano chiesto un intervento sul verde che guardi al 2050, anno in cui la loro età presumibilmente sarebbe intorno ai 52 – 54 anni (!) ci si chiede come può considerarsi un “intervento sul verde” quello che il verde lo abbatte sostituendovi il cemento.
Da non sottovalutare, inoltre, che il costo dell’operazione di abbattimento pare sia stato valutato in 44 mila euro. Oltre il danno la beffa e oltre la beffa la sottrazione, insieme agli alberi, anche di una somma destinabile a servizi pubblici. Insomma, abituati a far presto un ragionamento matematico, non è stato difficile per docenti e studenti con senso civico e facilità di calcolo rendersi conto che questo “progettino” avrebbe portato più CO2 , meno O2 , meno denaro utilizzabile per bene pubblico, più cemento a discapito del riuso di cemento già esistente e, dulcis in fundo, attesa di un numero indefinito di anni, ma non inferiore a dieci, per il decommissioning, ovvero lo smaltimento in sicurezza (questa è almeno la speranza) della palazzina Fermi contenente il reattore nucleare sulla cui superficie si promette di piantare, entro il 2050, nuovi alberi. Non alberi adulti e pluridecennali, con tutto ciò che significano in termini di salute del territorio, ma nuovi alberelli restituendo al territorio, a fronte dei 9000 mq di verde attuali, circa 6000 mq di verde futuro in mezzo al quale, con la speranza che il decommissioning abbia eliminato ogni traccia di radioattività, potranno giocare bambini al momento non ancora nati.
Forse per arrivare al saldo negativo di tutti questi elementi neanche servivano le competenze di docenti, scienziati e futuri scienziati del Politecnico, forse bastava buonsenso e, soprattutto, senso civico. Quello che la professoressa Azzellino, i suoi colleghi, gli studenti e i cittadini che ieri erano presenti al flash mob e alla successiva assemblea hanno mostrato di avere.
Foto di Patrizia Cecconi
L’assemblea – aperta dalla professoressa Anna Maria Tosatto, la quale ha posto l’accento sul fatto che questa mobilitazione ha avuto il merito di far incontrare studenti, docenti, personale amministrativo e cittadini sensibili alla difesa del territorio – ha dato voce a chiunque avesse qualcosa da dire, tra cui il consigliere Riccitelli del Municipio referente del Politecnico. Questi ha comunicato che il giorno precedente, grazie ai cittadini presenti, il Terzo Municipio dopo lunga discussione ha pubblicato un documento in cui si “auspica l’interruzione dei lavori”.
Dall’assemblea al Campus Bassini è inoltre uscita la proposta di partecipare come gruppo organizzato alla manifestazione di Fridays for future prevista questo venerdì e gli studenti e le studentesse presenti si sono offerti di preparare uno striscione unitario che raccolga e lanci il grido “SALVIAMO GLI ALBERI DEL CAMPUS BASSINI”, sapendo che il particolare si fa generale e viceversa se la difesa dell’ambiente non è solo un fatto di maquillage da esporre in TV senza affrontarne con senso di responsabilità le logiche sottostanti.
Qualcuno ha ricordato che l’Obiettivo del Nuovo Regolamento d’Uso e Tutela del Verde Pubblico e Privato del Comune di Milano sarebbe la difesa del verde cittadino, considerato bene comune.Per questo, aggiunge Alessandro Dama, ricercatore di Fisica, risulta incredibile che proprio un’istituzione pubblica e votata alla scienza come il Politecnico possa farsi promotrice di tale scempio e che il Comune di Milano si faccia supporter dello stesso.
Cogliamo gli ultimi minuti di libertà della professoressa Azzellino prima di perderla per gli impegni di famiglia, succedutisi agli impegni d’aula e le chiediamo quale reazione ha avuto il rettore alla sua petizione (la quale, per inciso, ha quasi raggiunto le 7.000 firme). Ci risponde che il prof. Resta si è detto contrariato non dal merito delle richieste, ma dal metodo. Secondo una logica elementare questo significherebbe che neanche lui sarebbe d’accordo sullo sviluppo del progetto se quel che contesta è soltanto il metodo scelto per bloccarlo.
Arianna Azzellino sorride e risponde indirettamente alla nostra domanda dicendo che “le ipotesi di trasferimento dell’edificio di chimica approvate nel 2013 e nel 2014 prevedevano una diversa area di destinazione e questa modifica non è stata né adeguatamente comunicata, né valutata nel suo impatto ambientale”. Le chiediamo se può spiegarci meglio e ci risponde che “le critiche rivolte al progetto del nuovo edificio sono basate sulle strategie di compensazione ambientale previste dal Politecnico per la realizzazione del nuovo Campus Bassini”. Quindi questo dovrebbe significare che lei, i colleghi che la sostengono, gli studenti e i residenti non considerano adeguata la compensazione.
La Azzellino spiega che, data la disciplina specifica che insegna, sa bene che “il dominio spaziale e temporale dello studio che valuta l’impatto di un intervento sul territorio e ne definisce le compensazioni viene definito all’inizio della procedura autorizzativa e non a posteriori.” Torna poi sulle parole del rettore pubblicate su La Repubblica e aggiunge che “le valutazioni di più ampio respiro temporale e spaziale a cui il Rettore Resta allude nella sua osservazione di metodo NON sono entrate in questa relazione e fanno riferimento a valutazioni probabilmente fatte a posteriori, che non sono ancora state divulgate nell’ambito dell’Ateneo e quindi non ci è stato ancora possibile valutare.”
Guardo questa donna piuttosto gioviale e simpatica, le faccio una domanda personale e mi accorgo che forse a un uomo non l’avrei fatta, ma lei ha parlato di impegni di famiglia perché si sa, è addirittura luogo comune, che le donne hanno quasi sempre impegni di famiglia che si sommano agli impegni di lavoro e quindi le chiedo se ha figli. Ne ha tre. Quindi, per chi ancora pensa che le donne di scienza sacrificano la famiglia, la maternità e tutti i corollari che si ritrovano negli stupidari antichi e moderni, questa giovane donna rappresenta la negazione di tale stereotipo.
Torniamo all’intervista e, come già anticipatoci dal suo collega docente di fisica, la Azzellino ci riconferma la questione dello smantellamento del reattore nucleare sperimentale e aggiunge che “lo stesso Rettore in Conferenza di ateneo ha dichiarato di non essere in grado di prevederne i tempi.” Le chiediamo se gli organi dell’Università si siano attivati in qualche modo e la sua risposta, precisa e in qualche modo stupefacente arriva senza mezzi termini: “Ritenendo il consumo di suolo l’impatto più importante di questo intervento, avevamo chiesto al Senato Accademico di poter avviare una riflessione e un approfondimento sul progetto attraverso il coinvolgimento delle tante competenze urbanistiche, paesaggistiche e ambientali presenti in ateneo, al fine di minimizzare gli impatti negativi e preservare il più possibile l’impronta storica e il valore sociale del parco Bassini. Purtroppo, il Senato non ha accolto la nostra richiesta.”
E allora, ci chiediamo, se l’utilizzo degli spazi della Statale o della Bovisa viene escluso; se altri spazi rimasti inutilizzati, compresi quelli dell’Expo, non porteranno alcun beneficio sul piano del vero rispetto ambientale; se si invitano i ragazzi a scendere in piazza gridando rispettiamo l’ambiente; se ci si preoccupa e ci si indigna (giustamente) per lo scempio delle foreste amazzoniche e dei loro abitanti e difensori e poi, sul piano operativo di cui si è direttamente e immediatamente responsabili si abbraccia il progetto di costruzione (evitabile) di un nuovo edificio a scapito di un parco con alberi alti anche oltre 20 metri e si sottraggono alla cittadinanza milioni per la nuova colata di cemento e decine di migliaia di euro per ridurre in cenere gli alberi “ruba-spazio” c’è qualcosa di sbagliato, forse anche di malato.
Non sappiamo se l’azione intrapresa da questa docente, che finita l’intervista ci lascia per impegni familiari, riuscirà a salvare il parco, ma certo l’esempio di quel che si può e si deve fare ci sembra che rientri a pieno titolo in quelle “valutazioni di più ampio respiro temporale e spaziale” che nel suo caso sono passate dalla teoria alla prassi.
Intanto le assemblee si moltiplicano e gli alberi del Campus Bassini sono ancora lì. Se prima erano puro arredo urbano davanti al quale si passava senza neanche saperne il nome, ora per molti hanno assunto l’identità propria di qualunque essere vivente che abbia un nome e delle caratteristiche specifiche e individuali. E questo è già una piccola vittoria nel rispetto di quell’ambiente che non è solo parola alla moda o foto di propaganda.