Dopo alcuni giorni di brutto tempo in cui la Bamboo ha fatto un’imprevista sosta a Cagliari, la barca a vela che porta a bordo i volontari della Seconda Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza prosegue il suo itinerario nel Mare Nostrum, chiedendo che diventi un mare di Pace, libero da guerre ed armi nucleari. Oggi la nave è salpata per Palermo, contando di recuperare il viaggio e le attività a Tunisi in un altro momento.
Riportiamo i diari degli ultimi giorni prima della sosta.
4 novembre – La storia del Mare Nostrum è custodita nei musei marittimi che sono in ogni paese costiero e che sono riuniti nell’AMMM , Associazione Musei Marittimi del Mediterraneo. L’idea del viaggio via mare della Marcia Mondiale nasce proprio grazie a un incontro durante il viaggio del Museo Navigante (www.museonavigante.it), l’iniziativa itinerante per la promozione del patrimonio marittimo europeo. A maggio 2019 grazie a Franco Juri, direttore del Museo del mare di Pirano, è salito a bordo della goletta Oloferne, l’ammiraglia della Nave di Carta, un gruppo di marciatori di pace. E così tra una chiacchiera e l’altra è nata l’idea di prendere il largo e di issare la bandiera della Marcia sul mare. Questo percorso via mare non è solo una azione di pace ma anche un viaggio alle radici di una cultura di mare millenaria custodita, appunto, nei musei del mare e della marineria
A Barcellona c’è il Museu Maritim un vero e proprio santuario delle memorie della marineria catalana e non solo. È ospitato negli edifici degli ex Cantieri Reali della città, un monumento storico di stile gotico civile a uso industriale. Una meraviglia: è stato ristrutturato in modo da salvaguardarne l’anima proiettandola nel futuro. Ed è qui che ci siamo dati appuntamento questa mattina per un flash mob di pace. Arriviamo, una volta tanto, puntuali all’appuntamento con Inma, Rene, Xavier, Tony e gli altri. E, miracolosamente, non ci siamo dimenticati bandiere e striscioni. Stendiamo il nostro striscione lungo sei metri di Mediterraneo Mare di Pace in tutte le lingue e anche Elvira Mata, la direttrice del Museo partecipa alla nostra azione. Elvira è molto più che la direttrice del museo. Diffondere cultura è per lei una missione civile, un impegno che da trentacinque anni assorbe ogni ora della sua giornata e il fatto che abbia trovato tempo da dedicarci ci onora e ci commuove. Ed è con lei che varchiamo la porta di questo scrigno di memorie salmastre dove la cultura marinara del passato si mescola con le più moderne tecnologie. Attorno agli oggetti storici sono allestiti dei punti di realtà aumentata, schermi con attività multimediali (i nostri marinai non resistono alla tentazione di sfidarsi al gioco dei remi! E di provare ogni sorta di test interattivo). Il museo è dominato dalla ricostruzione della Galea Reale di don Giovanni d’Austria, ammiraglia della flotta spagnola nella Battaglia di Lepanto, che venne costruita proprio nei cantieri navali che oggi ospitano il museo. Il racconto di quella battaglia è ricostruito in una sala multimediale attraverso le parole di Miguel Cervantes, l’autore di don Chisciotte che ha combattuto al seguito di Giovanni d’Austria nella battaglia che oppose la flotta della Lega Santa a quella dell’impero ottomano. Ieri come oggi il Mediterraneo è teatro di scontri di culture e religioni. Le guerre hanno cambiato volto ma non sono mai finite. Allo stesso tempo però, come si scopre attraversando il Museo, esiste una cultura mediterranea comune. Una cultura meticcia in cui si mescolano lingue, saperi, arte, filosofia, scienza, mestieri, una cultura che un tempo parlava anche una lingua comune, il Sabir. La lingua lingua franca parlata per secoli nei porti del mediterraneo era composta da italiano ( veneto e ligure principalmente), spagnolo, greco, catalano, arabo, greco, siciliano e turco. Il sabir, o Petit Mauresque o Ferenghi, ‘Ajnabi o Aljamia, lo hanno usato nelle loro opere anche i grandi scrittori come Moliére e Goldoni.
Usciamo dal Museu Maritim con la sensazione di far parte di un’antichissima famiglia, bellicosa ma unita dalle stesse radici. Navighiamo sotto le stesse stelle dei marinai del passato, spinti dagli stessi venti, sballottati dalle stesse onde, per questo pensiamo che la pace in Mediterraneo possa e debba ripartire dalla conoscenza della nostra storia marittima dove sono più le cose che uniscono che quelle che dividono.
5 novembre – In barca passi molto tempo a controllare le previsioni meteo per sapere come evolverà il tempo. Ma anche chi non capisce molto di bollettini meteo può sentire che fuori c’è un vento molto forte. Arrivano anche qui in porto raffiche che fanno oscillare gli alberi e tutto attorno c’è il rumore delle drizze che sbattono. Un rumore tipico che ogni marinaio impara a conoscere. Guardiamo gli strumenti: in testa d’albero l’anemometro registra raffiche da 30-40 nodi. La giornata è luminosa e a parte il vento sembra una giornata primaverile. Partiamo per l’incontro sulla Peace Boat in ordine sparso, qualcuno in macchina con René e Magda, altri in autobus, qualcuno pensa di andare a piedi prima di capire che dovrà attraversare tutto il porto commerciale. Una marcia di almeno un’ora.
Peace Boat è una nave da crociera gestita dall’omonima Ong giapponese che da 35 anni è impegnata nella diffusione della cultura della pace, del disarmo, della difesa dei diritti umani e della sostenibilità ambientale. La nave fa crociere in tutto il mondo e durante le tappe a bordo si tengono attività aperte al pubblico e ai gruppi pacifisti. Nella tappa di Barcellona alla quale parteciperemo anche noi di Mediterraneo Mare di Pace sarà proiettato il docu-film «L’Inizio della fine delle armi nucleari», realizzato dall’agenzia di stampa internazionale Pressenza. Poi ci saranno una serie di interventi, per noi parlerà Alessandro.
Arriviamo con un bel po’ di anticipo per allestire la sala delle conferenze. Passare dagli spazi ristretti della Bamboo ai saloni della Peace Boat fa un certo effetto e rischiamo anche di perderci su e giù per gli ascensori della nave. A parte questo piccolo inconveniente, per il resto siamo una squadra ben rodata: dopo mezz’ora abbiamo piazzato la mostra Colors of Peace, lo striscione di Mediterraneo Mare di pace, la bandiera della Marcia in italiano e lo striscione delle Peace Embassy, la rete delle ambasciate di Pace sostenuta tra gli altri dal Sindaco di Palermo, Leoluca Orlando. L’idea è quella di coinvolgere non solo gli Stati ma le città, le singole comunità di cittadini in una rete che prema per il disarmo in Mediterraneo e il dialogo tra i Paesi. A volte tra cittadini ci si capisce meglio.
A fare gli onori di casa è la nostra Inma Prieto, la encantadora presentadora è decisamente emozionata ma se la cava benissimo. Si comincia.
Nariko, l’Hibakusha che abbiamo avuto a bordo, legge una sua poesia accompagnata da un violoncellista. Poi è la volta di Maria Yosida, direttore della Peace Boat che racconta la missione della Peace Boat. Dopo di lei Inma annuncia il docu-film. Buio in sala.
«L’inizio della fine delle armi nucleari» ricostruisce la storia delle bombe atomiche sganciate sul Giappone e tutto il lungo cammino delle campagne per il disarmo nucleare, da quelle iniziate durante la Guerra Fredda fino al recente ICAN, International Campaign to Abolish Nuclear Weapons, cioè la campagna internazionale per l’abolizione delle Armi Nucleari premiata con il Nobel per la Pace nel 2017 (il premio è esposto in sala). Ican, ci cui fa parte anche Peace Boat, ha segnato un cambio di passo radicale nelle mobilitazioni mondiali per il disarmo nucleare, intanto perché si è trattato di una mobilitazione globale della società civile e poi perché ha cambiato il punto di vista sul disarmo inserendo per la prima volta nella discussione il tema della crisi umanitaria che seguirebbe un eventuale uso delle armi nucleari. La vicenda giapponese e quella dei paesi dove sono stati fatti test nucleari, in Pacifico, Kazakhistan, Algeria, hanno fornito le basi documentali e teoriche del nuovo approccio. Una guerra nucleare è una guerra senza fine le cui conseguenze si protraggono nel tempo. Le radiazioni distruggono non solo le persone ma anche le fonti di sostentamento: acqua, cibo, aria. Un rischio reale, tanto più oggi, in cui la fine dei blocchi della Guerra Fredda ha aperto la strada delle armi nucleari a Paesi con regimi autoritari e antidemocratici. Negli anni passati il mondo è stato più volte sul punto di essere travolto da una guerra nucleare. Tutti ricordano il caso di Stanislav Petrov, il tenente colonnello dell’esercito sovietico che di fronte ai computer che annunciavano un attacco nucleare americano sull’URSS decise di non reagire. Non schiacciò il bottone e non scatenò la guerra atomica. I computer sbagliavano, ma se lui avesse obbedito agli ordini forse oggi non saremmo qui a raccontare. Ci sono stati altri cinque casi documentati oltre a quello di Petrov. Quindi, per dirla con le parole di uno dei protagonisti del film: la domanda non è se, ma quando succederà di nuovo.
Per anni si è parlato delle armi nucleari come di dissuasori. La tesi più o meno è questa: siccome c’è il rischio di un olocausto mondiale, le guerre si ridurranno. Basta guardare un tg per capire che le guerre convenzionali non si sono fermate. Senza contare che l’evoluzione tecnologica consente oggi di realizzare armi nucleari più piccole che potrebbero essere usate in guerre “convenzionali”. Si esce dalla visione del docu-film con la sensazione di urgenza: disarmo e messa al bando delle armi nucleari subito!
Tra gli interventi successivi quello che ci colpisce di più è David Llistar, direttore del dipartimento Giustizia Globale e cooperazione internazionale della municipalità di Barcellona. Che va dritto al punto: banche e armi. La città di Barcellona ha iniziato a prendere le distanze dalle banche che finanziano il commercio delle armi e il 50% delle linee di credito lo ha aperto con Banca Etica e la Banca di Spagna. L’obiettivo è di arrivare progressivamente al 100%. Spiega anche quale può essere il ruolo delle amministrazioni cittadine nella rete del disarmo e del disarmo nucleare: fare da cinghia di trasmissione tra i cittadini e le autorità centrali. Proposte che fanno riflettere.
Dopo gli interventi di Tica Font del Centro Delas d’estudis per la Pau, Carme Sunye de Fundipau e del nostro Alessandro dell’associazione Danilo Dolci di Trieste è il momento di Rafael de la Rubia, promotore e coordinatore della Marcia Mondiale. Siamo tutti curiosi. Classe 1949, nato a Madrid, Rafael ha alle spalle decenni di attività pacifista. È un umanista e fondatore del movimento Mondo senza guerre e senza violenza. Durante la dittatura di Franco è stato in carcere perché obiettore di coscienza, incarcerato anche nel Cile di Pinochet perché membro del movimento umanista. È stato libraio, editore, scrittore e traduttore. La sua è una lunga marcia per la pace, cominciata cinquant’anni fa e non si è ancora fermata. Non ha l’aria del leader che arringa le folle, piuttosto quella di qualcuno che sa che quella per la Pace e la nonviolenza è una strada tutta in salita. «Facciamo quello possiamo, passo dopo passo», ci dice.
Noi pensiamo al meteo che si è messo di traverso. Domani riprendiamo il mare e proveremo ad arrivare a Tunisi.
6 novembre – Cambio di equipaggio prima della partenza. Scendono Lorenza, Andrea e Alessandro e salgono Rosa e Cristiano. Insieme a Giacomo, Alessio, Marco, Giampietro, Massimo compongono un ottimo equipaggio, quello che ci vuole per affrontare tre giorni di mare cattivo. Marciare per la pace in barca è molto diverso dal camminare su strada. Le condizioni del mare e del vento dettano i tempi e le regole. La prima regola è quella della sicurezza. Il briefing meteo dura a lungo. Le previsioni non sono buone e dobbiamo trovare una rotta che ci consenta di non mettere a rischio barca ed equipaggio. Alla fine la decisione: passeremo ad est della Sardegna, allungano di un bel po’ di miglia il viaggio ma navigando protetti dall’isola dai venti da sud-ovest. Chi scende è un po’ triste ma ci ridiamo appuntamento a Palermo o a Livorno per le ultime tappe.
La Bamboo riprende il mare, la bandiera della Pace a poppa sempre più sfilacciata dal vento. Chi rimane a terra resta a guardarla mentre esce dal porto. Buon vento!
7-8-9 novembre – A circa 30 miglia dalla costa catalana la barca entra in silenzio radio e anche il segnale AIS, Automatic Identification System, il dispositivo che consente di identificare le imbarcazioni in mare, sparisce e quindi chi è a terra può solo aspettare che la Bamboo arrivi al largo della Sardegna. Passeranno dalle Bocche di Bonificio per poi scendere verso il golfo di Cagliari. E da lì, meteo permettendo cercheranno di passare il canale di Sardegna. Nel gruppo di Whatsapp quelli che sono a terra si scambiano commenti sulle previsioni dei prossimi giorni nel Canale di Sardegna. Sono pessime. I colori dominanti per lo stato del mare, cioè l’altezza delle onde, sono il rosso, il giallo e nei giorni a venire persino il grigio. Vale a dire onde da 3 a sei metri. La tappa di Tunisi sembra sempre più a rischio. L’8 novembre chiamano dalla barca. Tutti in po’ stanchi per il brutto tempo ( hanno trovato pioggia, temporali, vento in faccia) ma di buon umore. La marcia sul mare prosegue, miglio dopo miglio. Quando arrivano a 30 miglia dal golfo di Cagliari il vento rinforza: si va di bolina, anzi di “Bolinona” come ci dicono con un messaggio wp.
In tarda sera del 9 sono in porto a Cagliari da dove ci mandano foto della navigazione. Una grande fatica, ma le facce dei marinai sono allegre. Tutto bene.