Continuiamo a pubblicare i diari che arrivano dalla Bamboo, la barca della Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza che porta avanti la sua traversata per dichiarare il Mediterraneo Mare di Pace.
3 novembre – Inma è travolgente. Ha un sacco di anni di militanza pacifista alle spalle ed è arrivata sulla Bamboo carica di energia e di sorrisi. Pianifichiamo la tappa di Barcellona e intanto parliamo di quello che sta succedendo in città. La capitale catalana è attraversata ogni giorno da manifestazioni: la condanna inflitta ai leader politici indipendentisti ha avuto l’effetto di polarizzare lo scontro politico che è finito in un vicolo cieco. La sensazione è che nessuno sappia come uscirne. Barcellona in questo momento non è una, ma due città: quella dei catalani e quella dei turisti che fotografano con la stessa curiosità le manifestazioni e la Sagrada Familia. Due città che si sfiorano ma non si toccano. Sembra quasi che per i turisti le manifestazioni non siamo altro che uno spettacolo pittoresco. Questa la dice lunga sulla assuefazione generale ai conflitti. Non è così per chi vive in questa città e sente profondamente la lacerazione che questa contrapposizione sta provocando. Anche di questo si discute a bordo della Bamboo mentre ci organizziamo per accogliere qui sulla barca Nariko Sakashita, una Hibakusha, cioè una sopravvissuta alla bomba nucleare di Hiroshima.
Nariko arriva alle 2 del pomeriggio insieme a Masumi, la sua interprete. Ci aspettiamo una persona anziana e per mezz’ora ci aggiriamo alla ricerca di una scaletta per farla salire a bordo. Quando arriva ci lascia a bocca aperta: una signora di 77 anni che si muove con l’agilità di una ragazzina. Sale a bordo praticamente senza aiuto.
Quando è esplosa la bomba su Hiroshima, Nariko aveva due anni. Tutta la sua vita è stata segnata, stravolta, dalla bomba atomica. Ci sediamo in quadrato, attorno al tavolo dove si mangia e si lavora. C’è silenzio e attesa. Nariko comincia a parlare: «Arigato….». Grazie è la sua prima parola. Ci ringrazia per l’incontro e per il nostro ascolto. La sua voce è composta, l’espressione gentile, non c’è rabbia nelle sue parole ma si sente una determinazione granitica: dare testimonianza.
La parte dell’equipaggio più adulta si ricorda gli anni della Guerra fredda, le lunghe battaglie pacifiste contro le armi nucleari. I più giovani sanno poco, anche la Storia della fine della Seconda guerra mondiale e delle bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki per loro è un avvenimento lontanissimo. Eppure sono passati solo sette decenni.
«Avevo solo due anni quando è esplosa la bomba. Ho ricordo di una immagine: mia madre che sta lavando dei panni. Poi qualcosa mi ha fatto volare via» dice Nariko. Gli altri ricordi che ha di quel giorno sono quelli che ha ricostruito nel corso degli anni attraverso i racconti della madre e di altri familiari. La famiglia di Nariko viveva a circa un chilometro e mezzo dal punto di impatto della bomba. Il padre era in guerra a combattere nelle Filippine, a Hiroshima erano rimasti la madre e i due figli piccoli, Nariko e il fratello. L’esplosione li ha sorpresi in casa: un lampo, poi l’oscurità e subito dopo un vento violentissimo che ha distrutto la casa. Nariko e il fratello restano feriti, la madre sviene e quando riprende coscienza afferra i bambini e scappa. Per tutta la vita porterà nel cuore la colpa di non aver aiutato la vicina di casa che chiedeva aiuto sepolta sotto le macerie.
«Mia madre raccontava di quella voce che chiedeva aiuto. Non poteva fare niente per la sua amica e vicina. Doveva salvare i suoi figli. Ha dovuto scegliere e questo l’ha fatta sentire in colpa per tutta la vita.» dice Nariko.
Con i bambini la donna scappa per strada, senza sapere nemmeno dove andare. Sulle strade è l’inferno: morti, pezzi di corpi devastati, gente che cammina senza coscienza con il corpo devastato dalle ustioni. Fa caldo e tutti hanno sete e si precipitano verso il fiume. Sull’acqua galleggiano cadaveri di esseri umani e di aninali. Comincia a cadere una pioggia nera, come di pezzi di carbone. È la pioggia radioattiva. Ma nessuno lo sa. La madre mette i figli sotto una tettoia per proteggerli da quello che cade dal cielo. Per tre giorni la città brucia. Nessuno sa che cosa sta succedendo, gli abitanti di Hiroshima, semplicemente, credono di essere stati colpiti da una nuova potentissima bomba.
Ed è a questo punto che i ricordi di Nariko diventano diretti: «Avevo dodici anni e come tutti gli abitanti di Hiroshima pensavo di essere diversa. Le persone sopravvissute, colpite dalle radiazioni si ammalavano, nascevano bambini malformati, c’era miseria, devastazioni, ed eravamo discriminati perché gli altri ci consideravano fantasmi, diversi. Decisi a dodici anni che non mi sarei mai sposata intanto mia madre, mio fratello, una mia zia si sono ammalati di cancro.»
Non è facile capire quello che hanno vissuto a Hiroshima dopo la bomba. Una cosa emerge chiaramente: gli abitanti non sapevano niente degli effetti delle radiazioni e non capivano che cosa stesse succedendo: malattie, deformazioni non avevano una spiegazione. E non era un caso. C’è stata, ormai è documentato dagli storici, una deliberata e radicale censura sugli effetti della bomba atomica, una censura durata almeno dieci anni. Non si doveva sapere che quelle due bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki con la motivazione di mettere fine alla Seconda guerra mondiale e convincere il Giappone alla resa avrebbero avuto effetti sulle generazioni future. La guerra per gli abitanti di Hiroshima e Nagasaki non è ancora finita.
Nariko continua a raccontare. Parla di come ha deciso di essere una testimone vivente: «Mia madre non voleva che ne parlassi. Temeva che sarei stata marchiata e discriminata. Meglio tacere e andare avanti. Quando ho incontrato quello che sarebbe diventato mio marito, anche lui di Hiroshima, qualcosa è cambiato. Mio suocero diceva che dovevamo raccontare, che dovevamo spiegare al mondo che cosa avevamo subito perché la cosa non si ripetesse. E così ho deciso di girare il mondo e raccontare.»
Ci dice di quando è stata in una scuola negli Stati Uniti e ha dovuto confrontarsi con lo scetticismo e la freddezza di alcuni ragazzi che non volevano ascoltare le sue parole, e di quando ha incontrato il figlio del pilota dell’Enola Gay, il bombardiere che ha sganciato la bomba.
Sono passate quasi due ore e nonostante la traduzione un po’ laboriosa, dal giapponese allo spagnolo e dallo spagnolo all’italiano non c’è stato un attimo di distrazione. Arrivato il momento di una pausa uno dell’equipaggio chiede candidamente a Nariko: «Vuole un thé?». C’è chi non riesce a trattenere un gemito. A bordo del Bamboo è tutto un po’ spartano, l’acqua per il the di solito la facciamo bollire nella pentola grande, la stessa in cui cuciamo la pasta, poi buttiamo le bustine e serviamo il tutto con il mestolo in tazze non proprio di porcellana. Dobbiamo ammetterlo: la nostra cerimonia del thé lascia molto a desiderare. Immaginiamo che cosa penserà la nostra ospite giapponese. La scrutiamo in attesa di una reazione. Lei prende la tazza, fa un sorriso luminoso, china la testa e dice: Arigato.
È ormai buio. Nariko e Masumi devono sbarcare. Ci abbracciamo e ci diamo appuntamento sulla Peace Boat tra 48 ore.
Poco dopo arrivano René, Inma, Magda e Pepe a bordo, l’idea è quella di fare un momento di riflessione insieme ma finiamo per raccontarci le nostre storie mentre mangiamo i biscotti che ci hanno portato. E facciamo un altro the. È bello stare sul Bamboo con nuovi amici ed è bello pensare che c’è una rete di persone che da anni, testardamente, perservera nel lavoro sul disarmo nucleare. «Eravamo giovani quando abbiamo cominciato, ora abbiamo i capelli bianchi. Abbiamo fatto tante campagne, collezionato molte sconfitte e qualche vittoria come l’ICAN la campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari, Premio Nobel per la Pace 2017» dice Inma. La nuova sfida per il disarmo nucleare è arrivare a 50 ratifiche per il TPAN, il trattato internazionale per la messa al bando delle armi nucleari. È il primo obiettivo della Marcia. Dovremmo essere tutti preoccupati per il fatto che ci sono nel mondo 15000 ordigni nucleari, di cui 2000 operativi e pronti a essere usati nel giro di un minuto, in Europa ci sono 200 ordigni nucleari, la maggior parte sono in Mediterraneo. Eppure l’attenzione sul nucleare sembra essere finita in fondo alla lista delle priorità degli Stati e dell’opinione pubblica anche se, a differenza della piccola Nariko e dei giapponesi del 1945, noi sappiamo esattamente che cosa sono le conseguenze di una bomba atomica: una guerra spaventosa che continua per generazioni.
4 novembre – Ed eccoci a correre all’appuntamento con i catalani al Museu Maritim.
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