Pochissimo si sa della sorte della cooperante italiana, rapita in Kenya e poi trasferita in Somalia, dove potrebbe essere finita in mano ai terroristi di al Shabaab. Lo scorso 30 settembre, secondo una fonte di intelligence, risultava ancora viva.
“Silvia è viva e si sta facendo di tutto per riportarla a casa”. Questa è l’ultima notizia certa e risale al 30 settembre, come ha riportato l’Agi, citando una fonte di intelligence. Da allora sul rapimento di Silvia Romano avvenuto il 20 novembre del 2018 è calato il silenzio. Un anno esatto dal quel brutto giorno quando la volontaria italiana è stata sottratta alla sua attività umanitaria a Chakama, un villaggio a 80 chilometri da Malindi in Kenya. Nulla è trapelato. Solo un laconico ci sono nuove prove, nuovi elementi di indagine emersi nell’ultimo mese. Un po’ poco.
Si sa che la collaborazione tra autorità keniane e italiane prosegue, non si è mai fermata un momento. Come ha sottolineato la viceministra degli Esteri, Emanuela Del Re, durante una sua recente visita in Kenya.
Ma il silenzio sta diventando insopportabile, assordante e in molti chiedono di romperlo. Pippo Civati, leader di Possibile, che sin dall’inizio segue – uno tra i pochi – questa tragica vicenda, in un tweet scrive: “Credo sia doveroso che a un anno di distanza ci sia una comunicazione ufficiale del nostro esecutivo sulla situazione di Silvia Romano. Troppe le voci ufficiose, troppe le mezze verità, troppi i pettegolezzi”.
Così la politica, ma c’è anche quella parte di società civile che non ha mai smesso di premere, in maniera discreta, affinché un fascio di luce illumini questa vicenda. Nino Sergi, fondatore e presidente emerito di Intersos e Policy Advisor di Link 2007, ha nuovamente fatto sentire la sua voce inviando una seconda lettera aperta al generale Luciano Carta, direttore dell’Aise, i servizi di intelligence esterni. “Dodici mesi sono tanti – scrive Sergi -. A chi attende la sua liberazione sembrano interminabili”. Sergi prosegue sottolineando di non “aver nessun titolo per parlare a nome di Silvia, ma quanto le scrivo esprime l’inquietudine e le preoccupazioni di molte persone per la sua liberazione e la sua vita: tante voci che fanno da sottofondo a questa nuova lettera aperta”.
E il fondatore di Intersos cosi’ spiega le “inquietudini e le preoccupazioni”: “Non sappiamo se prendere per buone le poche notizie diffuse da agenzie giornalistiche sull’area in cui Silvia potrebbe essere trattenuta. Ad esse comunque ci aggrappiamo. Se l’area fosse confermata, la preoccupazione diventa ancora più grande a causa dell’effettuazione di frequenti raid. Come non sappiamo se vi siano le condizioni per fare molto di più di quanto già state facendo; ma ancora una volta le chiediamo di provare a farlo. I tempi lunghi significano anche crescenti rischi: il ricordo di Giovanni Lo Porto rimane ancora molto doloroso”.
Rapita, venduta e trasferita in Somalia
Silvia Romano è stata rapita da criminali comuni che, poi, l’hanno ceduta a un’altra banda, probabilmente i terroristi di al Shabaab e portata in Somalia. E le preoccupazioni di Sergi derivano proprio da questo. Le condizioni sul terreno, in questi mesi, sono precarie: piogge e alluvioni, che impediscono gli spostamenti, ma diventano condizioni ideali per i raid arei sulle postazioni dei terroristi. Ed ecco il ricordo del cooperante Giovanni Lo Porto, rapito in Pakistan da Al Qaeda, e vittima – “effetto collaterale” – di un bombardamento americano.
Poi vi è una nota di cronaca. Il processo ai tre degli otto membri della banda che ha rapito Silvia – Moses Luwali Chembe, Abdalla Gababa Wario e Ibraiam Adam Omar – è stato nuovamente rinviato, questa volta perchè Adam Omar, in libertà su cauzione e considerato l’uomo più pericoloso dei tre, non si è presentato all’ultima udienza, quella del 14 novembre. I giudici lo hanno dichiarato “formalmente” latitante.
Quali prove che sia ancora viva?
Rimaniamo a ciò che gli inquirenti fanno trapelare e cioè che Silvia sia stata portata in Somalia. Ma non è chiaro quando sia avvenuto: se subito dopo il rapimento oppure nei mesi successivi. E non è una curiosità giornalistica. Il passaggio di mano potrebbe essere avvenuto all’inizio dell’anno, ma sul punto gli inquirenti tacciano. C’è poi il fatto, non irrilevante, della prova in vita. Chi indaga, italiani e keniani, hanno detto che di sicuro Silvia a Natale era viva. È stata rapita un anno fa. Anche su questo punto il silenzio è inquietante. Non viene detto nulla. Ma nemmeno si fa intendere qualcosa.
I punti poco chiari sono molti. In primo luogo, se è vero che la giovane italiana è in Somalia, non si ha notizia di una rivendicazione in tal senso, e dopo un anno dal rapimento tutto ciò sembra essere, quantomeno, strano e inusuale. L’altro fattore: c’è stata una richiesta di riscatto? Se è vero che i committenti del rapimento sono gruppi jihadisti legati agli al Shabaab, rivendicazione e richiesta di riscatto per la liberazione della giovane italiana dovrebbero essere scontate.
Gli inquirenti, tuttavia, mantengono il riserbo anche sul fatto se sia stata fornita o meno una prova “recente” in vita di Silvia Romano. Tutto ciò alimenta ricostruzioni fantasiose. A un anno di distanza, una parola di chiarezza, però, dovrebbe essere detta. E noi rimaniamo con l’unica certezza alla quale potersi aggrappare: “Silvia Romano è viva e si sta lavorando per riportarla a casa”.