Discorso del Prof. Giancarlo Restelli davanti al monumento dei caduti di Fagnano Olona, 3 novembre 2019.
A distanza di centouno anni ricordiamo la fine della Prima Guerra Mondiale, di quella guerra che i contemporanei chiamarono Grande Guerra, perché non si era mai visto nulla di simile nel passato:
- La guerra iniziò il 1° agosto del 1914 e per 52 mesi vide schierate le maggiori nazioni del globo.
- Mobilitò tra i 65 e i 70 milioni di uomini di tutti i continenti, compresa l’Oceania.
- Il numero delle vittime fu enorme: 9 milioni e 300mila soldati a cui dobbiamo aggiungere i feriti, i mutilati, gli ammalati… Alla fine avremo circa 20 milioni di soldati vittime della guerra.
- Colpisce anche il numero di civili morti in seguito a bombardamenti, occupazioni militari, fame, freddo nelle città, malattie tra cui la terribile pandemia influenzale conosciuta come “Spagnola” che nel mondo causò tra i dieci e i venti milioni di morti tra il 1917 e il ’18.
Alla fine della guerra l’Europa non fu più come prima:
Crollarono quattro grandi imperi: l’impero tedesco, russo, austro-ungarico e ottomano e al posto di questi imperi multietnici nacquero una decina di nuove nazioni animate da forti risentimenti contro i paesi confinanti e soprattutto animati da un forte nazionalismo: Cecoslovacchia, Jugoslavia, Ungheria, Austria, Polonia, Ucraina, Lettonia, Estonia, Lituania e Turchia.
L’unico paese che seppe porre fine alla guerra fu la Russia rivoluzionaria quando i bolscevichi presero il potere il 7 novembre del 1917. Pochi mesi dopo i bolscevichi misero fine alla guerra con un trattato di pace capestro con la Germania. Ma almeno operai e contadini russi non dovettero più andare in trincea a combattere e morire.
Dopo 52 mesi di guerra si arrivò alla fine del “grande macello” quando nel novembre del ’18 prima l’Austria-Ungheria e poi poco dopo la Germania dovettero arrendersi di fronte a Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti e Italia.
In quell’11 dell’11 alle ore 11 (ossia l’11 novembre del 1918 alle ore 11) il mondo conobbe la pace e un grande tripudio accompagnò la fine della guerra: a Londra, Parigi, New York, Melbourne, New Delhi … la gente festeggiò come non era mai capitato e tutto ciò per due motivi:
- era finita una guerra che sembrava non avere mai fine.
- con la sconfitta della Germania era stata “ammazzata anche la guerra” (così si credeva), perché dalle macerie del I° conflitto nessuna guerra sarebbe nata e sarebbe dovuta nascere perché non era possibile che dopo tanti lutti, tanti sacrifici e sofferenze il mondo avrebbe conosciuto un’altra guerra.
Non fu così e il mondo precipitò vent’anni dopo in una guerra ancora più sanguinosa e devastante, che causò tra i 48 e i 50 milioni di morti, ovvero il secondo conflitto mondiale.
Perché una seconda guerra mondiale a soli vent’anni dalla prima?
Perché la pace di Versailles (firmata il 28 giugno del ’19) fu la tipica pace imposta dai vincitori sui vinti.
Un solo esempio: la Germania fu incolpata di essere l’unica responsabile della guerra e tra le tante imposizioni fu obbligata a pagare ai vincitori una cifra enorme: 123 miliardi di marchi in oro. L’enorme debito causò la iperinflazione del 1923 quando un chilo di pane costava alcuni milioni di marchi!
Dopo pochi anni alla Germania fu concesso di dilazionare l’enorme debito e quando Hitler arrivò al potere i pagamenti furono sospesi.
Ma l’eredità tragica della Grande Guerra non è solo nell’incredibile debito tedesco ma nelle conseguenze a breve periodo. Pensiamo al fascismo di cui quest’anno ricorre il centenario della fondazione dei Fasci di combattimento (Piazza San Sepolcro, Milano, 23 marzo 1919): è pensabile che il fascismo avrebbe preso il potere in tre anni se non ci fosse stata la I guerra mondiale? Sicuramente no.
Il fascismo con la Marcia su Roma fu una conseguenza amara del I° conflitto così come non è immaginabile che Hitler avrebbe preso il potere nel 1933 se non ci fosse stata la sconfitta tedesca e la crisi economica del ’29 innescata anch’essa dalla Grande Guerra.
Con protagonisti quali Hitler, Mussolini e l’imperatore nipponico il mondo sbanda pericolosamente verso la guerra che poi scoppiò il 1° settembre del ’39, esattamente 80 anni fa.
Verrebbe da dire che la Grande Guerra inaugurò all’inizio del Novecento un lungo secolo di guerre che provocò nel mondo 200 milioni di morti i cui emblemi sono Auschwitz e Hiroscima.
Ma tutto ciò ormai appartiene al passato?
Dopo cento anni la Grande Guerra è solo un mesto ricordo delle vittime e degli orrori della guerra di trincea? Non è così. In questi ultimi anni, con le tante crisi che si sono aperte dal Medio Oriente all’Africa, dall’Asia all’America Latina non dimenticando l’Europa orientale, alcuni studiosi si sono chiesti se siamo vicini alla terza guerra mondiale, ossia a un possibile evento catastrofico per tutta l’umanità.
Soprattutto crea grandi preoccupazioni il crescente contenzioso tra Stati Uniti e Cina, che per certi versi ricorda il conflitto tra Germania e Gran Bretagna nel 1914, con la Germania, potenza in ascesa nei panni della Cina di oggi e gli Stati Uniti, potenza in declino, nei panni della Gran Bretagna di cento anni fa.
E’ inutile dire che una guerra combattuta oggi provocherebbe un numero di vittime incalcolabile tenendo in considerazione l’escalation delle armi in questi ultimi decenni.
Prima di concludere, davanti al monumento che ricorda i nomi dei soldati di Fagnano Olona non più tornati dai “campi dell’onore”, vorrei ricordare la “meglio gioventù” italiana dell’epoca, che dovette indossare il grigio-verde e partire per combattere una guerra di cui non capiva i motivi.
Trento-Trieste, le città irredente, animavano la retorica degli ufficiali e dei borghesi rimasti lontani dai pericoli. Difficile immaginare che la liberazione delle due città fornisse patriottiche motivazioni all’esercito dei giovani contadini e operai di tutte le regioni italiane costretti a mobilitarsi in quel maggio del 1915.
In realtà l’Italia monarchica e liberale non entrò in guerra solamente per Trento e Trieste. Le ambizioni imperialistiche facevano riferimento all’Adriatico con l’Istria, alla Dalmazia con l’Albania; e poi il Trentino e l’Alto Adige fino al Brennero; il possesso di parte delle colonie tedesche e di ampie porzioni del territorio turco.
Insomma, un’Italia aggressiva nel Mediterraneo, nell’Adriatico e nei Balcani, dove i grandi gruppi economici avrebbero avuto molte occasioni per lauti affari.
Tutto ciò costò ai giovani contadini, operai e giovani ufficiali italiani 650mila morti, 400mila mutilati più un numero esorbitante di feriti, ammalati e di giovani rovinati nel fisico e nello spirito. Un’intera generazione mandata al massacro davanti ai reticolati austriaci dal Trentino al Cadore, dalla Carnia fino all’Isonzo e al Carso.
Vorrei terminare con una citazione da don Milani: “Noi ricordiamo quei morti con amore e dolore fraterno. Non avevano fatto calcoli di potenza (come i politici dell’epoca aggiungerei io), non aspiravano a profitti (come industriali e banchieri): Noi ricordiamo i loro sacrifici”.