Non può che essere Belgrado il punto di partenza di questo «itinerario di itinerari», luogo di incrocio e di ripartenze, di viaggi e di ritorni, in cui le storie e le memorie si stratificano e si condensano, insieme con un patrimonio storico e culturale di assoluta rilevanza, in modo singolare e indiscutibile.
Ma come accoglie Belgrado chi entra attraverso uno dei suoi ponti sulla Sava, al di qua della confluenza col grande fiume, il Danubio, che pure connota, come capitale europea e slava, la «Città Bianca»? Cosa si vede, ad esempio, attraversando il Ponte di Branko (Brankov Most), provenendo da Ledine e, prima ancora, da Surčin, dove si trova l’aeroporto internazionale Nikola Tesla (recentemente rimodernato) e avviandosi, attraverso il plateau di Zeleni Venac, verso il centro storico (Stari Grad) della capitale?
Si vedono, sorprendentemente, tutti i volti di Belgrado, antichi e moderni, memoriali o discutibili. Ancora a Novi Beograd, quindi prima di passare la Sava, si attraversa, ad esempio, la zona di Sajmište, la storica «Staro Sajmište», la Vecchia Fiera di Belgrado, quella che ospitò, tra le altre, la storica Fiera Inaugurale, nel 1937, cui parteciparono oltre 800 espositori da 17 Paesi con oltre, secondo le cronache, trecentomila visitatori (non pochi, anzi, da quanto si apprende, tanti quanti la popolazione della Belgrado dell’epoca).
Il luogo è un vero e proprio «paesaggio memoriale», dal momento che, nella lunga vicenda storica di Belgrado e della Jugoslavia, qui finì per passare un confine, in particolare: quello del territorio che, nel 1941, con il distretto di Zemun e la regione dello Srem, finì incorporato nel regime genocida ustaša del cosiddetto “Stato Indipendente di Croazia”. Quello che si vede dall’alto del ponte è uno dei cosiddetti “memoriali negletti”, in realtà, tra i più importanti dell’ex Jugoslavia: il Memoriale delle Vittime del Lager di Staro Sajmište, opera di Miodrag Popović, del 1995.
È una realizzazione modernista, potentemente evocativa, con una lapide, che ne descrive il messaggio: «Questo è il sito del campo di concentramento nazista presso la «Vecchia Fiera» di Belgrado, durante l’occupazione della Jugoslavia, tra il 1941 ed il 1944. Genocidio e crimini di guerra sono stati perpetrati qui ai danni di circa centomila patrioti, membri del Movimento di Liberazione Nazionale della Jugoslavia, bambini, donne e anziani. […] Le vittime furono, in gran parte, Serbi, Ebrei e Rom.
Questo memoriale è dedicato a tutti loro. È dedicato anche a tutte le vittime del tristemente famoso campo di concentramento ustaša di Jasenovac, alle vittime dell’occupazione ungherese, come pure alla eroica resistenza al terrore nazista, e a tutti i cittadini jugoslavi, vittime di genocidio. Belgrado, 22 Aprile 1995: giornata di commemorazione delle vittime di genocidio, 50° anniversario della vittoria sul fascismo». La piccola Sava è invece «Savamala», il quartiere che, lungo la diagonale immaginaria che attraversa l’adiacente Ponte di Zemun (il Ponte Vecchio, lo «Stari Savski Most»), sta letteralmente scomparendo.
Qui ha trovato il suo spazio una delle realizzazioni architettoniche più discutibili della moderna Belgrado, vale a dire il «Belgrade Waterfront»: un gigantesco progetto di trasformazione urbanistica che finirà per interessare, cancellando il volto della vecchia Savamala e con sterminate cubature di nuove costruzioni, quel quartiere e tutte le aree adiacenti, dell’attuale stazione ferroviaria, dell’adiacente stazione degli autobus, del poco distante porto fluviale.
Si tratta di un progetto decennale, inaugurato, tra le polemiche, qualche anno fa, oggi, da quanto si vede, in piena fase di realizzazione, la cui ultimazione è prevista nel 2030, quando avrà invaso l’intera area con abitazioni, alberghi, negozi, uffici, spazi ricreativi di diversa natura. Per un totale di quasi due milioni di metri quadrati di costruzioni lungo la Sava, con nuovi edifici simbolici, tra cui quello che sarà destinato a diventare uno dei nuovi simboli di Belgrado, la «Kula Beograd», affascinante nei plastici di progetto, e una specie di gigantesco «centro direzionale», con il quale le autorità intendono attestare il volto di una “Belgrado Moderna”.
Sia l’impostazione architettonica, sia una certa opacità nella conduzione del progetto hanno sollevato diffuse critiche; tuttavia, non è escluso che il progetto possa finire per rappresentare una delle innumerevoli ricostruzioni della città e diventare, nei decenni a venire, sempre più parte della sua storia.
D’altra parte, parliamo di una città orgogliosa, per la sua storia e la sua memoria, come si racconta, «quaranta volte distrutta e quaranta volte ricostruita». Dall’altra parte del Ponte di Branko, chiudendo questo vero e proprio “triangolo belgradese”, si staglia invece il profilo cui da sempre siamo abituati, entrando a Belgrado: quello del fronte danubiano della Stari Grad, con la sommità della Cattedrale, più lontano il tempio di San Sava (monumentale, la seconda più grande chiesa ortodossa al mondo) e, più da vicino, costeggiando la strada che sale fino a Zeleni Venac, l’Obelisco dei Non Allineati, uno dei simboli della Belgrado della «Fratellanza e Unità», opera, con altri, di Svetislav Ličina, autore del Cimitero Memoriale dei Partigiani Caduti (1961) a Prishtina, in Kosovo.
Fu eretto in occasione del Vertice di Belgrado del 1961: e ancora il 1961 è l’anno cui risale il monumento alla «Fratellanza e Unità», nella rinnovata piazza ancora al centro di Prishtina. Memoriali per la pace e la fratellanza; luoghi della cultura e della memoria per la «pace positiva»; l’eredità della amicizia tra i popoli; e il Kosovo. Ci arriveremo in pochi giorni.