Offrire un lavoro dignitoso a migranti e giovani disoccupati impegnandoli in un progetto di valorizzazione del territorio tramite il turismo e l’agricoltura sostenibile. Con questo obiettivo e sull’esempio del modello virtuoso di integrazione di Riace, nasce a Gioiosa Ionica, in Calabria, la cooperativa Nelson Mandela.

Calabria, terra difficile. Ma negli ultimi anni anche pioniera di esperienze di cambiamento nate dall’incontro fra accoglienza, rispetto del territorio e giustizia sociale. È in questo incastro che si inserisce la cooperativa Nelson Mandela, nata due anni fa a Gioiosa Ionica, che si occupa di turismo e agricoltura con una forte dimensione sociale. Basta percorrere qualche chilometro dal mare per trovarli nella loro sede, immersa in una natura rigogliosa. Si tratta del residence Villa Santa Maria, che è anche la struttura ricettiva attiva tutto l’anno, circondata dai terreni che la cooperativa coltiva.

«La cooperativa nasce per provare a mettere in piedi delle esperienze di sviluppo locale, economia sociale e circolare partendo dalle potenzialità di questa terra: agricoltura e turismo, cercando di mettere insieme i giovani disoccupati di questa terra con i soggetti ancora più deboli, e cioè i migranti», spiega Maurizio Zavaglia, presidente della cooperativa.

La sfida è grande: garantire un lavoro dignitoso a tutti i soci della cooperativa e allo stesso tempo farlo nel rispetto dell’ambiente e della propria terra. I terreni di cui la cooperativa si occupa, ad esempio, sono coltivati in modo naturale e danno vita a prodotti tipici del territorio, come arance, mandarini, bergamotti e olio. Tutti prodotti che poi vengono distribuiti a livello locale, nei mercatini e nei G.A.S. (Gruppi di Acquisto Solidale).

Ma dignità e riscatto non vengono soltanto dal lavoro equamente retribuito, soprattutto se si tratta di migranti. E questo i soci della cooperativa Nelson Mandela lo sanno bene. Per questo tutta la struttura si occupa anche di accoglienza di richiedenti asilo e di migranti lavoratori in modo più specifico. Ad esempio, grazie ai corridoi umanitari avviati nel 2015 da Comunità di Sant’Egidio, Tavola Valdese e Federazione delle Chiese Evangeliche, la cooperativa ospita di anno in anno delle famiglie, cercando una casa all’interno del paesino, e le supporta nel loro percorso. «Abbiamo avuto delle famiglie siriane e l’ultima è stata una madre somala con i suoi quattro bambini, arrivati da un campo profughi in Eritrea», spiega ancora Maurizio. «Sono piccoli numeri, che però ci danno il senso e il valore di quella che è l’accoglienza».

Accoglienza che però appunto non si limita all’ottenimento dei documenti: «A noi piace pensare al progetto di vita dei migranti, renderli autonomi e inclusi nella società». Non è un caso infatti che l’accoglienza avvenisse all’interno del borgo stesso, sul modello Riace. Perché soltanto vivendo a contatto con la comunità ci possono essere «inclusione e contaminazione». Del resto, Gioiosa Ionica è già dal 2013 un modello virtuoso di Sprar, sulla scia di Riace: qui sono passati 500 migranti, che hanno trovato accoglienza e non hanno subito discriminazioni o atti di intolleranza. «Le case», ci tiene a specificare Maurizio Zavaglia, «sono rimaste aperte come prima, sia che accanto vi abitasse un migrante che un italiano». Una realtà che ha cominciato a subire i colpi del Decreto Sicurezza, creando disagio anche a tutta una nuova economia che si era in messa in moto nel paese: lo Sprar si sta infatti progressivamente svuotando e soltanto la metà dei posti disponibili è occupata, perché non ci sono nuovi ingressi.

La cooperativa, inoltre, fa parte anche di un altro progetto che promuove l’inclusione, il “Progetto Spartacus”, promosso dalla Fondazione Vismara di Milano, da Chico Mendes Altromercato e dall’International House di Reggio Calabria. Grazie a questo progetto e ad un piccolo contributo due migranti, provenienti dalle tendopoli di San Ferdinando, possono lavorare con la cooperativa assieme agli altri cinque soci. «Proviamo nel nostro piccolo ad essere coerenti con i valori a cui ci richiamiamo, mettendoli in pratica nel vissuto quotidiano. Ci mettiamo in gioco per provare a costruire condizioni dignitose in una terra così difficile».

Tutto quello che è successo a Riace, che è il modello a cui Zavaglia e gli altri si ispirano, non fa perdere la determinazione: «Riace è stata un’utopia, fantasia, bellezza. Riace è un paradigma che dimostra che i piccoli borghi possono tornare a vivere. Tutto l’Appennino italiano è caratterizzato da borghi che rischiano lo spopolamento e l’abbandono. A Riace ripopolamento, acqua pubblica, raccolta differenziata, accoglienza, solidarietà. È stato colore, gioia, poesia, utopia. È stata e mi auguro continuerà ad essere un qualcosa di unico. Riace non può morire, deve ripartire».

 

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