Bruxelles si arricchisce di un nuovo museo : il « Museo delle Migrazioni ». La struttura è stata inaugurata nel comune di Molenbeek lo scorso sabato 12 ottobre, grazie all’impegno dell’associazione « Foyer » ed al contributo finanziario della comunità fiamminga.
In un’epoca in cui il diverso, lo straniero in particolare, sono visti come nemici, si sentiva il bisogno di umanizzare le migrazioni, dando ad ognuno un volto, una voce, degli oggetti, una storia.
Qui sta l’idea vincente del piccolo museo.
Dopo aver osservato, nel giardino posteriore dell’immobile, un’installazione in legno che ricorda una delle tante imbarcazioni (opera dell’artista d’origine avolese Elia Li Gioi) che, attraverso il mar Mediterraneo, hanno trasportato migliaia di essere umani alla ricerca di un futuro migliore, si accede al primo piano.
Qui, ai visitatori, sono offerti due percorsi.
Nel primo, quello storico, una serie di pannelli, sintetici ma ricchi d’immagini d’epoca, raccontano la storia delle migrazioni in Belgio a partire della seconda guerra mondiale. Si evidenziano due fasi. Nella prima, che dura fino a circa gli anni ottanta, il Belgio cerca stranieri da sfruttare nelle proprie miniere; prima gli italiani e, poi, dopo la tragedia di Marcinelle, spagnoli, greci, marocchini, turchi. Nella seconda, al contrario, s’iniziano ad innalzare dei « muri », almeno culturali, pur contemporaneamente rispettando i diritti d’asilo imposti dai trattati delle Nazioni Unite.
Questo percorso si conclude con uno schermo interattivo che evidenzia, decennio dopo decennio, sino ai giorni nostri, l’evoluzione della presenza dei non belgi nei vari comuni di Bruxelles.
Col secondo percorso, invece, è possibile leggere (ma anche ascoltare con apposite cuffie) le storie, i pensieri e le emozioni di tanti immigrati, marocchini ma anche italiani, osservare degli oggetti cui sono legati (dal permesso di soggiorno fino ad una macchinetta da caffè; alcune foto di famiglia).
Sabato, all’inaugurazione, ad accogliere i visitatori, un panettiere che sfornava sul posto diversi tipi di pane (turco, pakistano, …) ed, egualmente; delle donne, marocchine e pakistane; che porgevano del the nelle versioni dei propri paesi d’origine.
Si provava, in definitiva, a far cogliere, nel visitatore, la ricchezza della diversità.
La parte più divertente della mostra era rappresentata dalla possibilità di farsi fotografare con un’apposita macchina. La stampante, immediatamente dopo, riproduceva un’immagine artificialmente ingiallita che era possibile applicare, su una mappa del globo, nel luogo della propria origine.