Marco Bertaglia è stato il primo a portare Extinction Rebellion in Italia. Non ne è né il capo né il coordinatore perché a XR non hanno l’abitudine dei capi, ma sicuramente, con la sua incessante attività di divulgazione e formazione ne è senza dubbio uno degli animatori. L’abbiamo incontrato a Firenze alla prima riunione toscana del movimento e abbiamo approfittato per fare il punto della situazione.
Il movimento si sta espandendo a velocità sorprendente in Italia e in molte parti del mondo: potresti farci il quadro della situazione attuale?
Extinction Rebellion è ormai presente in maniera ben consolidata in almeno 55 paesi; contando alcune presenze più “embrionali” addirittura in più di 70 paesi, su tutti i continenti abitati.
I gruppi locali in tutti questi paesi, certo di dimensioni molto variabili, alcuni molto piccoli, sono stimati attorno ai quattrocento. In Italia, sebbene in realtà gli attivisti “davvero attivi” siano forse un paio di centinaia, abbiamo raggiunto direttamente circa 3.000 persone (censite e registrate con i loro dati personali e con l’espresso desiderio di restare informati). Abbiamo anche incuriosito alcune migliaia in più, se pensiamo ai social. Ci sono gruppi consolidati o ai primi passi ormai in praticamente tutte o quasi le principali città italiane, da Napoli a Trento e da Torino a Bari, passando per Milano, Bologna, Firenze e ovviamente Roma.
Di fronte a questa ondata di nuovi arrivi il Movimento ha una struttura piuttosto ben studiata e organizzata. Ce ne puoi dare gli elementi essenziali?
Extinction Rebellion si struttura in maniera decentrata, ispirandosi a modelli di “olacrazia” e di sociocrazia di origine anglosassone. Aspiriamo a un sistema che si organizza da sé, come un organismo. La metafora che ci piace è quella di una pianta, ove ogni parte ha un suo compito ben preciso, ma tutte interagiscono. Fuor di metafora, ci sono gruppi di lavoro che sono organizzati dal locale al nazionale in un replicarsi frattale della stessa struttura, con mandati specifici come gruppo e con ruoli ben definiti all’interno di ciascun gruppo. Ci sono gruppi che si occupano di media, o della strategia, o ancora di come svolgere le azioni dirette o per studiare le questioni legali.
Tutti i gruppi hanno coordinatori o coordinatrici interni/e e esterne/i. Gli “esterni” si coordinano tra loro per scambiare informazioni e comunicare. Sono un po’ la linfa che fa circolare le informazioni, le richieste, i bisogni che emergono.
Il gruppo strategia di cui sono coordinatore è un po’ sui generis, riunendo sia chi è interessato a lavorare sulla strategia, come avviene per ogni altro gruppo sulla base della propensione di ciascuno, sia le coordinatrici e i coordinatori esterni di alcuni gruppi principali.
L’idea nuova e a prima vista un po’ complessa di questo sistema è di non avere una struttura gerarchica e di funzionare sulla semi-autonomia e la fiducia, al fine di funzionare in maniera molto più efficace. I gruppi di lavoro sono costituiti al massimo da otto persone e come le cellule, che se crescono oltremodo si dividono per mitosi, così i gruppi che crescono si suddividono in sottogruppi, ciascuno diventando responsabile di una parte del mandato.
Questa struttura tenta di ovviare alla lentezza dei meccanismi decisionali che coinvolgono tutte e tutti in interminabili dibattiti. L’intelligenza collettiva di tutte e tutti è sfruttata quando è davvero importante, mentre la rapidità del ghepardo di decisioni in piccoli gruppi è permessa quasi sempre, in seguito alla definizione consensuale di mandati chiari e ben differenziati. Questo permette in realtà una base decisionale molto più ampia di quella tipica delle associazioni o movimenti, con un’assemblea generale una volta all’anno e un solo piccolo gruppetto di consiglio direttivo che prende tutte le decisioni operative.
In Extinction Rebellion, un gruppo di 8 persone può decidere autonomamente la strategia dei media e dei social, mentre un altro gruppo di 8 persone decide autonomamente della dimensione artistica delle nostre azioni, e un altro gruppo ancora si occupa del tutto autonomamente delle finanze, nei limiti di una chiara politica finanziaria e di un doppio controllo sulle spese, e via dicendo. Ovviamente è anche possibile all’occorrenza, al sorgere di bisogni o esigenze puntuali, collegare in maniera temporanea uno o più gruppi o sottogruppi tra di loro.
A breve ci sarà una nuova azione mondiale di Extinction Rebellion a partire dal 7 ottobre: dove e per chiedere cosa?
Dal 7 ottobre in poi inizierà la seconda ondata di Ribellione internazionale nonviolenta. A partire dal sorgere del sole a Wellington, poi Sydney, e poi via via in tutte le capitali correndo verso ovest, milioni di Ribelli scenderanno in strada, in vari modi. In Europa, la Ribellione occuperà le principali capitali: Varsavia, Vienna, Amsterdam, Berlino, Parigi, Londra, Madrid… e … Roma!
A Roma, il movimento metterà in piedi azioni di disobbedienza civile vera e propria, di portata medio-bassa, ossia nei limiti concessi dai numeri degli attivisti presenti attualmente, e di chi sarà disposto ad assumersi maggiori rischi personali. Di queste azioni non ci è ancora noto il dettaglio.
Inoltre, ci saranno azioni di sensibilizzazione, autorizzate e legali, per far conoscere il movimento e per attirare persone. Abbiamo l’ambizione di crescere rapidamente e di poter giungere all’ondata di Ribellione successiva, quella che dovrà essere decisiva, molto più solidi e numerosi.
Tra le azioni di sensibilizzazione o di espansione del movimento, organizzeremo un presidio al Parlamento, in Piazza Montecitorio, con un microfono aperto per interventi scientifici e politici. Ci sarà anche uno sciopero della fame di alcuni giovani, collegati a una rete internazionale. E poi, in alcune piazze di Roma, delle assemblee popolari, i lavori delle quali saranno lanciati dagli interventi di scienziati illustri, quali Paolo Verdini a piazza Testaccio il 10 ottobre, Giovanni Amendola al Quarticciolo l’11 ottobre, Jacopo Simonetta in piazza dell’Immacolata, San Lorenzo il 12. Gli interventi saranno brevi e faranno partire un dibattito con facilitatori, in gruppi di 8-10 persone, dove tutte e tutti potranno esprimersi. Le assemblee popolari, nelle intenzioni e modalità di funzionamento, ricalcano quelle assemblee cittadine, certamente più complesse, che sono un elemento chiave delle rivendicazioni del movimento. Si terranno, nelle tre date indicate, dalle 18 alle 20, lasciando ampio spazio ai dibattiti.
E poi il 13 finiremo con una grande festa, una celebrazione di strada fatta di colori, suoni, musica, esplosioni, improvvisazioni verbali o di altra natura, a sottolineare la speranza di rinascita che ormai solo la disobbedienza civile ci può permettere di sognare.
Le richieste sono quelle di Extinction Rebellion. In estrema sintesi: (1) che sia detta tutta la verità sulla crisi climatica e ecologica, dichiarandone l’emergenza e comunicandola con dovizia di particolari e senza lesinare sforzi, con l’intensità delle campagne martellanti che i governi sanno mettere in atto, quando vogliono andare in guerra convincendoci di dover sterminare un nemico terribile, oppure di dover comprare tutto il burro di tutti gli allevatori, con le cosiddette “pubblicità progresso”, o anche diffondendo i tetrapak di latte nelle scuole per ovviare agli eccedenti della politica agricola comune negli anni Settanta del ‘900; (2) che si agisca immediatamente, per bloccare la distruzione degli ecosistemi e per portare allo zero netto le emissioni a effetto serra entro il 2025; (3) infine, ma è forse la cosa più importante, che il governo costituisca e sia guidato dalle decisioni di un assemblea di cittadini/e sulle misure da attuare per la giustizia climatica e ecologica.
Ognuna di queste rivendicazioni chiederebbe di essere approfondita, ma non è questa la sede idonea per farne un’enciclopedia. Basti sottolineare una cosa: si tratta di rivendicazioni basate sulla migliore scienza climatologica, ecologica, sociale e politica. Per esempio, la necessità di arrivare allo zero netto entro il 2025 è basata sul principio di precauzione,e sui risultati meno ottimistici dei modelli IPCC, considerando che i cicli di retroazione del carbonio intrappolato nel permafrost non sono calcolati nei modelli dell’IPCC.
Le assemblee cittadine deliberative da un lato non convincono alcuni, dall’altro appaiono come difficilmente realizzabili in tempi brevi in Italia. Rispetto a entrambe le obiezioni, ci sono prove concrete dalle scienze sociali e dalle scienze politiche di come questo sia realizzabile ed efficace. Certo, per le assemblee deliberative sono necessarie delle leggi costituzionali, ma l’accelerazione è possibile se accettiamo che la casa è davvero in fiamme e si deve correre più in fretta possibile con tutti i mezzi a disposizione.
Che giudizio dai delle numerose aperture “ecologiche” che si stanno manifestando da varie parti (governi, istituzioni internazionali, perfino multinazionali)?
Le interpreto come un segno confermativo di quanto le cose stiano andando davvero male e che finalmente anche chi non voleva vederlo o sembrava non volesse agire si stia rendendo conto di non poter più rimanere del tutto fermo. Ma si sta ancora facendo troppo poco e troppo lentamente. In molti casi si tratta di una “facciata verde” di cosmesi pseudo-ecologista, quello che in inglese (e anche da noi ormai) viene chiamato “greenwashing”.
La futura Presidentessa della Commissione Europea per esempio vuole lanciare un “Green New Deal for Europe”, ma si pone l’obiettivo del tutto insufficiente dello zero netto di emissioni entro il 2050. Si propongono misure che tentano di modificare il meno possibile la struttura socio-economica del nostro continente, quali incentivi per le energie rinnovabili e il desiderio di prosperità economica intesa come per esempio un parco di autoveicoli quantitativamente immutato ma solo trasformato in autovetture elettriche, ovvero misure di contenimento e riduzione di certi inquinanti, che invece si potrebbero del tutto eliminare con conoscenze già esistenti da decenni. Manca drammaticamente l’ambizione di trasformare profondamente tutto quello che facciamo. Eppure sia l’IPCC sia l’IPBES ci hanno chiaramente detto che occorre cambiare drasticamente tutto quello che facciamo, da come e quanto ci muoviamo, a come mangiamo, a come ci vestiamo.
Le ambizioni necessarie sarebbero molto più profondamente trasformative della società di quanto io veda attualmente venirci dai “corridoi del potere”. Non vedo ancora abbastanza coraggio. Occorre parlare di decrescita, di spostamento della ricchezza, riducendola e ridistribuendola. Non si tratta di riformare il sistema. Occorre attuare politiche della scala di quelle che furono decise quando si passò all’industrializzazione più spinta e all’esodo dalle campagne, alla trasformazione profonda della nostra agricoltura, operata con ostinata determinazione a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso. Con grande, devastante successo. Occorre ora un analogo, sebbene inverso, percorso di cambiamento, drastico e rapido. Urgente. Possibile, a partire dal momento in cui la necessità sarà riconosciuta da tutti e l’emergenza di una transizione rivoluzionaria verrà adottata come linea guida ineluttabile di tutte le politiche.
Le proposte e i principi di XR sono di una chiarezza e una semplicità che possono sembrare disarmanti e forse sta lì una delle chiavi dell’eco che il movimento sta avendo: possiamo sperare che vengano ascoltate?
Non vedo alternative. Credo che se non lo saranno, non ci sarà salvezza per l’umanità. Andremo verso carestie, fame e guerre inaudite nel giro forse di dieci o vent’anni, non di più. Saremo spacciati. E non abbiamo più di un anno per avere il successo che contiamo di raggiungere con la nostra disobbedienza civile.
Il movimento invita a costruire una massa critica di gente che possa fare la differenza: come è nata questa idea e come può funzionare?
Il modello di cambiamento sociale di Extinction Rebellion è stato studiato a tavolino da accademici di alto rilievo. Parliamo di King’s College London, di prestigiosi accademici statunitensi, di approfondite analisi. Basta mobilitare il 3,5% della popolazione. E farlo abbastanza a lungo.
Deve essere un movimento di massa. Dobbiamo essere in 50.000 o 100.000 contemporaneamente in tutte le capitali, nonviolenti fino in fondo, come i Satyagraha del Mahatma Gandhi. Bisogna infrangere le leggi nel cuore nevralgico del sistema economico e politico, creare un vero disturbo protratto abbastanza a lungo, per essere davvero incisivi. Deve anche essere qualcosa di gioioso, una festa di strada colorata e avvincente, con una narrazione di rispetto per tutti, anche chi non la pensa come noi, anche chi viene per arrestarci, anche per chi dovesse insultarci o colpirci con violenza fisica. Restare profondamente ancorati a un’idea chiave: agiamo in nome di un Amore profondo, agiamo per la Vita, ci ribelliamo per la Forza dell’Amore, non contro un “nemico”. Con tutte e con tutti, e per tutti e tutte su questa Terra che amiamo visceralmente.