È lo studio legale più grande d’Italia, ma anche quello che fattura meno. Ha 54 sedi sparse in venti regioni, da Bolzano a Catania, e 1.051 collaboratori tra avvocati, praticanti, studenti universitari e pensionati. Tutti insieme potrebbero abbracciare il Colosseo, per farli sedere a riposare in un parco non basterebbero 350 panchine. Avete presente gli squali da processo dei romanzi di John Grisham, o magari gli elegantissimi avvocati d’affari di Suits, la serie tv che ha reso celebre la futura duchessa di Sussex? Ecco, questa è tutta un’altra storia. Lo studio si chiama «Avvocato di strada», è stato fondato a Bologna nel 2000, in una stanzetta presa in prestito con dentro solo un computer di seconda mano e un telefono fisso. Da allora si è ingrandito parecchio, fino a meritarsi il premio all’impegno civile del Parlamento europeo. Tutti gli avvocati associati, anche se sembra un ossimoro, continuano a lavorare gratis. I loro clienti d’altronde non hanno un soldo in tasca, «portano le scarpe da tennis e parlano da soli»; però, come cantava Enzo Jannacci, in fondo hanno gli occhi buoni.
L’anno scorso i volontari della onlus «Avvocato di strada» hanno seguito 3.945 pratiche. Offrono assistenza legale in tutte le sfere del diritto: civile, penale, amministrativo. Ogni giorno, più di cento persone in stato di indigenza si rivolgono agli sportelli dell’associazione per chiedere aiuto. Antonio, cittadino italiano senza dimora, si è presentato alla sede di Treviso con le idee chiare: aveva sentito tanto parlare del reddito di cittadinanza e si era messo in testa di averne diritto anche lui, ultimo tra gli ultimi, lui che il lavoro l’ha perso da anni, è stato sfrattato dal suo appartamento, e un po’ alla volta è rimasto senza più niente. In pratica, all’Inps Antonio ha scoperto di essere troppo povero per ricevere il sussidio di povertà: chi non ha la residenza, oltre a perdere automaticamente il diritto di votare alle elezioni, non può presentare domanda per ricevere il contributo pubblico. «Per prima cosa abbiamo contattato il Comune chiedendo la sua reiscrizione all’anagrafe, in una via fittizia — racconta la responsabile dello sportello, Isabella Arena, 38 anni, penalista — ma non è bastato: c’è pure il requisito della residenza stabile e continuativa. Però non ci siamo arresi e abbiamo portato il caso fino al ministero del Lavoro, speriamo davvero che possa essere trovata una soluzione. Il mio assistito non chiede solo un aiuto economico, ma di avere un’opportunità per tornare a lavorare».
Giorgio Fantacchiotti è partner di Linklaters, tra le più prestigiose law firm internazionali. Ed è responsabile di uno dei tre sportelli di Avvocato di strada a Milano, in piazza San Fedele. «Avere un supporto legale pro bono può essere utile non solo a tante persone senza dimora, ma anche a chi rischia di diventarlo. Noi stiamo assistendo molte famiglie straniere composte da genitori che lavorano e figli piccoli, che hanno acquistato immobili indebitandosi; sono badanti, operai, muratori, che appena vedono contrarsi lo stipendio di poche centinaia di euro, non riescono più a pagare il mutuo. Nel giro di periodi brevi, da 12 a 24 mesi, passano da condizioni di vita dignitose al rischio concreto di non avere più un posto per dormire. Per molte di queste famiglie siamo riusciti a trovare una mediazione, collaborando con il Comune, per ottenere il tempo necessario a trovare loro una sistemazione in comunità, prima che perdessero la casa».
Spesso le difficoltà cominciano dopo una causa di divorzio. Mario, in Puglia, ogni mese doveva versare l’assegno di mantenimento per la sua bambina, ha perso il lavoro da un giorno all’altro, le raccomandate delle bollette non pagate sono rimaste chiuse una sopra l’altra. Quando si è messo in fila nell’ufficio all’Avvocato di strada di Bari, già da tre anni dormiva sotto una capanna fatta di cartoni, che spostava ogni notte tra le vie del centro storico. «Anche se è finito per strada – spiega il suo legale Nicola Antuofermo – Mario è ancora proprietario di un immobile, un appartamento dignitoso in provincia. Quando non è stato più in grado di mantenerlo, ha deciso di metterlo in affitto, così da avere i 350 euro al mese per poter sopravvivere». Dopo qualche tempo, però, l’inquilino ha smesso di pagare. «Così gli ho inviato la lettera di messa in mora, perché la proprietà è un diritto garantito dalla Costituzione. Anche per chi non ha i mezzi per difendersi. Se c’è una cosa che ho imparato in questi anni di servizio, è che può capitare a chiunque di perdere tutto. Anche a un laureato del ceto medio, anche a un professionista. Sì, potrebbe capitare anche a me».
Ma come ha deciso Antuofermo, 37 anni, di diventare un avvocato di strada? «Volevo dedicare un po’ del mio tempo libero alle mie due passioni: il volontariato e la giurisprudenza. Così, ormai dieci anni fa, io e un paio di colleghi abbiamo cercato su Google…». E si sono messi in contatto con Antonio Mumolo, vulcanico giuslavorista del foro di Bologna, oggi consigliere regionale dem in Emilia-Romagna, anche se il suo accento porta dritto a Brindisi, dove è cresciuto. L’idea gli è venuta quando era ancora uno studente universitario, durante le notti passate ad assistere i clochard con l’associazione Piazza Grande. «Portavamo loro coperte, vestiti e pasti caldi. Ma spesso la cosa più preziosa, per loro, era avere qualcuno con cui fare due chiacchiere. Così, sotto i portici si sparse la voce che ero avvocato, e uno alla volta in molti si presentarono per sottopormi i loro casi. Sembra assurdo, ma in Italia spesso per uscire dalla strada bisogna avere un buon avvocato». Già, perché chi perde la residenza si trova senza molti diritti basilari: non può più ottenere cure specialistiche in ospedale, non può aprire una partita Iva, non può firmare un contratto di lavoro, non può ritirare la pensione. «Tornare a una vita dignitosa è un percorso a ostacoli, anche per colpa della burocrazia», spiega Mumolo. La giurisprudenza, però, può essere un alleato prezioso: «Anche se in Italia a volte è diventata lo strumento dei più furbi, non dobbiamo dimenticare che la legge è nata per tutelare i più deboli: è questo lo spirito delle tavole di Hammurabi, e anche della Magna Charta. Gramsci diceva che i libri sono come armi. Ecco, per me i codici sono le armi più potenti contro le ingiustizie».
In questi 19 anni, l’Avvocato di strada ha convinto — con le buone o con le cattive («cioè facendo causa») — centinaia di Comuni a stabilire delle vie fittizie per consentire la registrazione all’anagrafe di chi dorme per strada. «Certo, questo è solo un punto di partenza, non la soluzione del problema», ammette Mumolo. A proposito, ma non si sente mai come chi vuole raccogliere l’acqua del mare con un cucchiaino? «Potrebbe anche essere così… Ma non far niente è peggio. E chi non fa niente perde il diritto di lamentarsi per le cose che non vanno».
E poi a volte capitano vittorie che non hanno prezzo. Allo sportello di Palermo, l’estate scorsa è arrivata la segnalazione di una signora di una quarantina d’anni, che vagava per le strade del centro in stato confusionale. Non aveva documenti, non parlava italiano né inglese, non riusciva a dire nemmeno come si chiamava. «L’abbiamo portata subito in un dormitorio – racconta Francesco Campagna, 48 anni, primo Avvocato di strada in Sicilia – ed è stata presa in carico dal reparto di psichiatria dell’ospedale. Pian piano, ci sono volute settimane, abbiamo ricostruito la sua storia: si chiamava Paulina, era un’immigrata ghanese, residente regolarmente a Dortmund da anni, con la sua famiglia. Un giorno aveva deciso di prendere un volo low cost per Palermo, dove c’è una grande comunità ghanese, sperando di incontrare alcuni amici. Appena uscita dall’aeroporto, però, le avevano rubato tutto». Attraverso l’ambasciata del Ghana, di cui è diventato anche console onorario, Campagna ha contattato i parenti della donna in Germania e le ha fatto ottenere un nuovo passaporto. «Ricordo che teneva sempre una bambola di pezza stretta tra le braccia: forse il ricordo di una sua figlia perduta, ma questo non lo saprò mai». Qualche tempo fa, Campagna ha ricevuto una telefonata. Era Paulina, aveva appena rimesso piede a casa sua. Voleva soltanto dirgli grazie.
Paolo Beltramin da Corriere.it