Il 1° ottobre scorso, quando Lenín Moreno ha annunciato in televisione il cosiddetto paquetazo, una serie di misure volte ad imporre l’austerity all’Ecuador, a partire dall’eliminazione del sussidio statale sul carburante, probabilmente ha sottovalutato le capacità di rivolta dei suoi concittadini, che tra il 1998 e il 2000 cacciarono prima Jamil Mahuad e poi Lucio Gutiérrez. Quest’ultimo, per inciso, condivide con Moreno il tradimento dei movimenti popolari, delle comunità indigene e più in generale di quel popolo di sinistra che aveva contribuito all’elezione di entrambi.
La capitale del paese, Quito, è stata teatro di violenti scontri tra gli oppositori del presidente e del suo governo e la polizia. Per frenare la rivolta María Paula Romo, ministra dell’Interno, ha fatto sapere che prorogherà lo stato di assedio per 60 giorni ed ha già escluso un dietrofront del governo per quanto riguarda sia l’aumento del carburante sia il decreto che rende precario il mondo del lavoro tramite una flessibilizzazione selvaggia. Lenín Moreno, in pratica, non ha fatto altro che seguire la strada imposta dal Fondo monetario internazionale. In barba ai sindacati, il presidente ha imposto che la giornata lavorativa cresca fino a 12 ore quotidiane, per la gioia delle imprese, e ha scelto di difendere a spada tratta la dollarizzazione.
Le proteste nelle piazze, unite allo sciopero dei transportistas, lascia pensare che il conflitto sociale sia solo l’inizio di un’ampia ribellione contro un governo che, subito dopo le elezioni, ha deciso di passare armi e bagagli alla destra, anche in campo internazionale, aderendo al Gruppo di Lima, e di farla finita con il correismo, che pur essendosi caratterizzato per notevoli contraddizioni, soprattutto a livello ambientale, aveva permesso al paese di avere un alto profilo sotto molti aspetti, a partire dal buen vivir inserito nella Costituzione, per quanto rimasta più sulla carta che applicata. Alla mobilitazione dei transportistas si sono rapidamente uniti studenti, sindacati, comunità indigene e tutte le organizzazioni popolari. La dollarizzazione ha già provocato effetti nefasti nell’Argentina che, all’inizio del nuovo secolo, si vide costretta a fare i conti con il corralito.
Secondo il Fondo monetario internazionale il paquetazo intende far progredire l’economia del paese, ma lo stesso Fmi finge di non vedere che, a seguito dello scandalo denominato Ina Papers, è emerso che il presidente Moreno sarebbe a capo di almeno una mezza dozzina di società fantasma coinvolte in riciclaggio di denaro sporco, traffico di influenze e con sede nei paradisi fiscali. L’acronimo Ina rimanda all’impresa offshore Ina Investment Corp , fondata nel 2012 nel Belize dal fratello di Lenín Moreno, Edwin Moreno Garcés, in cui poi avrebbe finito per essere coinvolto anche il presidente.
Alberto Acosta, ex presidente dell’Assemblea nazionale costituente ed ex ministro dell’Energia e delle miniere all’epoca della presidenza Correa, dal quale poi si allontanò per divergenze legate soprattutto alla questione ambientale, sostiene come non sia la prima volta che al paese vengono imposti i diktat economici del Fmi. Era già successo con Bucaram, Mahuad e Gutiérrez, ma Moreno, portando l’Ecuador nell’Alleanza del Pacifico e facendolo uscire da Unasur, impone al paese un ritorno alla peggiore versione del neoliberismo, quella che permette alla transnazionali minerarie e petrolifere di manovrare a loro piacimento l’economia del paese. Da presentarsi come rivoluzionario e socialista, il governo di Moreno si è rapidamente trasformato nell’esecutore del peggiore capitalismo.
Il video della durata di 9 minuti, nel quale Lenín Moreno ha annunciato il paquetazo, getterà per strada migliaia di funzionari pubblici, ridurrà di almeno il 20% i contratti del settore pubblico, favorirà i licenziamenti e la differenza di retribuzione tra uomini e donne, oltre rendere più semplici i licenziamenti. Da anni l’Ecuador non assisteva ad un passo indietro così evidente a proposito di diritti del mondo del lavoro e in ambito economico. Festeggiano, al contrario, i grandi potentati economici, le multinazionali e le banche, che intravedono in Moreno l’uomo in grado di respingere le richieste di contadini, maestri, studenti, docenti universitari, agricoltori e di tutto il popolo ecuadoregno, vittime di una vera e propria dichiarazione di guerra da parte del governo. Il presidente ha provato, senza successo, a giustificare le misure intraprese come un sacrificio necessario richiesto dal Fondo Monetario internazionale.
Per non lasciare nulla al caso e procedere spedito nelle braccia della destra radicale, Moreno intende disarticolare quei movimenti sociali che, negli ultimi anni del correismo, erano stati cooptati o comunque indeboliti. Tuttavia, lo stesso presidente dimentica che Lucio Gutiérrez, uno dei suoi predecessori a Palacio de Carondelet, fu costretto ad abbandonare il paese, il 20 aprile 2005, a bordo di un elicottero, mentre Jamil Mahuad fu cacciato a seguito di una ribellione che vide le comunità indigene tra le principali protagoniste.
Stavolta potrebbe toccare a Lenín Moreno fuggire da un paese che, in gran parte, lo considera un traditore e il cui indice di popolarità è ormai calato a picco.