I risultati non sono ancora definitivi (scriviamo a Belgrado, alle 7 della sera del 7 ottobre), ma quella che si annuncia è una rilevante novità per il panorama politico kosovaro, all’esito delle elezioni politiche generali di domenica scorsa 6 ottobre.
Una tornata elettorale straordinaria, convocata dopo lo scioglimento anticipato del Parlamento kosovaro, a causa delle difficoltà interne alla maggioranza, non solo a seguito della convocazione del capo del governo uscente, Ramush Haradinaj, presso la Corte Speciale dell’Aja per i crimini dell’UCK, che indaga sugli abusi e i crimini commessi durante e dopo la guerra nella regione. E, come tutti i risultati generali negli scenari complessi, in particolare nei contesti di conflitto e post-conflitto, un risultato a luci e ombre, dove le novità della situazione si mischiano agli interrogativi verso il futuro.
Solo terzo il partito che era, con l’AAK, la prima forza della legislatura uscente e che esprime attualmente il presidente della “Repubblica del Kosovo”, Hashim Thaci; testa a testa, invece, con uno scarto di pochissimi voti, tra le due maggiori forze, sino a ieri, all’opposizione, con due giovani leader, non nuovi tuttavia alla scena pubblica kosovara, che si disputeranno il posto alla carica di primo ministro; notevolissimo il risultato della Lista Serba, la principale espressione politica della comunità serba del Kosovo.
Questo, dunque, in estrema sintesi: ma andiamo con ordine. Il PDK (Partito Democratico del Kosovo), il partito di Hashim Thaci, una delle espressioni della fazione militare e della guerriglia separatista dell’UCK dell’epoca della lotta contro il governo serbo degli anni Novanta, supera di poco il 21% delle preferenze, con poco più di 166 mila voti. Il primo posto è conteso tra la LDK, la Lega Democratica del Kosovo, il partito che fu di Ibrahim Rugova, sebbene, nel corso del tempo, sempre più lontano da quella eredità politica e ideale, che si attesta al 24.9%, pari a più o meno 195.300 voti, e Vetëvendosje, appena sopra il 25.5% dei voti, pari a 200.750 preferenze, più o meno. Questo significa uno scarto tra i due partiti di circa 5.000 – 5.500 voti, un risultato che potrebbe adombrare rischi di ri-conteggio dei voti o contestazione dei risultati. Molto più lontano l’AAK (l’Alleanza per il Futuro del Kosovo), appunto, di Ramush Haradinaj, una delle espressioni più nazionaliste del panorama kosovaro, che si aggira intorno all’11.5%, con oltre 90 mila preferenze, mentre il partito di più recente formazione, Nisma, nato da una scissione del PDK, si ferma sotto il 5%, con 38 mila preferenze.
Ovviamente adesso si aprirà una “sfida dentro la sfida” tra le due formazioni che in sostanza condividono il primo posto in questa rassegna elettorale: Vetëvendosje, con Albin Kurti, uno dei leader della protesta studentesca contro il governo serbo all’epoca di Milošević, passato da posizioni inizialmente anche nonviolente, poi accesamente nazionalistiche e la LDK, con Vjosa Osmani, avvocato, giurista, docente universitario, con una brillante carriera e un ricco curriculum, anno di nascita 1982, di orientamento liberale. Originaria, tra l’altro, di Kosovska Mitrovica, ha rappresentato il Kosovo nel giudizio che ha opposto la regione alla Serbia di fronte alla Corte Internazionale di Giustizia, quando nel 2010 espresse il parere non vincolante che definì non in violazione del diritto internazionale la dichiarazione d’indipendenza della “Repubblica”. Lo status della regione è invece “disciplinato” dalla Risoluzione 1244 del 1999, la cui consegna per il Kosovo è un’ampia e sostanziale autonomia all’interno della Repubblica di Serbia.
Come si diceva prima, un’altra sorpresa di queste elezioni è stato il risultato rotondo della “Lista Serba”, direttamente sostenuta dal governo serbo, anche in ragione dell’unità nell’espressione politica dei Serbi del Kosovo, che fa praticamente il vuoto intorno a sé, se paragonata ad altre formazioni politiche serbe nella regione, arrivando al 6.7%, aggregando il consenso di più di 52.500 elettori e ottenendo un risultato perfino plebiscitario in molti distretti a maggioranza serba. Ad esempio, a Leposavić, con l’89% delle preferenze; a Zubin Potok, dove si aggira intorno alla stessa percentuale; a Zvečan, dove arriva al 92.5%, e perfino, nel Kosovo interno, a Gračanica (86%) e Štrpce (70%). Anche questo è un risultato di cui tener conto: non solo perché si tratta dell’espressione politica di una delle due comunità numericamente più rilevanti del Kosovo, ma anche perché esprime un orientamento condiviso in relazione ai rapporti tra Belgrado e Prishtina e, ancora prima, alla tutela di diritti e condizioni di esistenza per la popolazione serba del Kosovo.
Se dunque la criminalità e la corruzione sono stati due tra i principali leit-motiv elettorali, già si affacciano per i nuovi (e vecchi) leader le sfide di tutti gli ultimi anni: lotta a povertà e disoccupazione e dialogo con la Serbia. Un dato su tutti: la «percentuale di elettori che hanno votato nei seggi elettorali» è stata di appena il 43.3%.