A Massimo Cacciari non piacciono, Greta, lo sciopero, i ragazzi, e pure il ministro che “li autorizza” a scioperare. Dice – in una breve intervista al «Corriere della sera»: «Se continuiamo ad affrontare i problemi alla Greta siamo fritti. Siamo all’ideologia dell’incompetenza». Dice che era meglio se i ragazzi restavano a scuola a studiare e dice ancora, che ben prima di Greta avevano parlato “fior di scienziati” purtroppo inascoltati e che «i problemi non si affrontano in termini ideologico-sentimental-patetico». Fa tenerezza Cacciari, quando dice queste cose. Come non sapesse che i grandi movimenti sociali sono sempre animati da passione e dal contagio dell’entusiasmo che quella passione genera, piuttosto che dai sapientoni, dai parrucconi delle accademie scientifiche – tutti presi peraltro a confutarsi le tesi gli uni con gli altri e sovra ogni cosa a queste infinite battaglie dedicarsi in corpo e spirito. Quanti anni aveva Giovanna d’Arco – adesso, non fate: boom – quando fu bruciata sul rogo nel 1431? Solo diciannove, e nei due precedenti aveva scombussolato la Francia e l’Inghilterra. Guidava eserciti, a quell’età.
Fa incavolare, invece, tutta quella sinistra variamente declinata (della destra, da Trump a Bolsonaro giù giù, non val la pena spendere parole) da social che contro Greta ha scatenato un putiferio di critiche, di supponenza, di maldicenza – che sembra poi il vero venticello dei social, con la tiritera del solito Soros di turno («chi la paga, questa ragazzina?») Fa incavolare perché l’argomentazione è che questa di Greta e le altre sarebbe una battaglia “di sovrastruttura” che non va a scalfire la contraddizione principale del pianeta, ovvero il conflitto capitale/lavoro. Sul momento non capisci se ci sono o ci fanno, poi capisci che non è quello che importa. Vorresti dire: quale conflitto rimarrà, quando schiatteremo per il cambiamento climatico? Quando le nostre risorse si limiteranno al punto che la nostra vita sarà la lotta per la sopravvivenza? Quale lavoro ci sarà? Quale capitale?
A Elsa Morante invece, sarebbero piaciuti eccome. Sta tutto lì in quel suo straordinario “lavoro” che è Il mondo salvato dai ragazzini, uno strano libro, fatto di cose che aveva già scritto e cose che scrisse apposta, dove c’è poesia, racconto, teatro, canzone, saggio, disegni, scritto un po’ in verticale, un po’ in orizzontale, che uscì nel 1968. Un manifesto, una commedia, una tragedia, un romanzo, un documentario a colori – così lei stessa definiva il libro. Un poema, ha detto Goffredo Fofi, forse azzeccandola. E che cosa dice il nucleo di questo libro straordinario che uscì proprio nell’anno – l’anno del pensiero magico – in cui il mondo fu messo sottosopra dalla gioventù che scendeva in piazza e voleva essere ascoltata, voleva essere “soggetto politico” che decidesse il proprio futuro, immaginandone uno completamente diversa da quello a cui erano stati “destinati” dalle famiglie, dalle scuole, dalle università, dalle caserme, da chi gestiva il potere? Diceva, la Morante, che al mondo ci sono i Felici Pochi e gli Infelici Molti, e che i Felici Pochi, spesso vittime della Storia, sono quelli che vivono la vita con generosità, e che gli Infelici Molti sono quelli che stanno in attesa della fine. E diceva, Elsa, ai giovani che dovrebbero essere allegri, curiosi nei confronti del mondo, dell’altro, che dovrebbero avere rispetto della natura, che dovrebbero stare dentro l’unità del cosmo.
I Felici Pochi sono giovani – non importa che età abbiano davvero.
«Sappiàtelo, o padri meschini I(nfelici) M(olti) d’ogni paese: / se ancora il corpo offeso dei viventi resiste / in questo vostro mondo di sangue e di denti/ è perché passano sempre quelle poche voci illese / con le loro allegre notizie. / Contro le vostre milizie sevizie immondizie / imprese spese carriere polveriere bandiere / istanze finanze glorie vittorie sciarpe littorie & sedie gestatorie contro la vostra sana ideologia la vostra brava polizia / ghepeù ghestapò fbi min-cul-pop ovra rapp & compagnia / e tutta la vostra mortuaria litania / ci vale solo quell’unica eterna scaramanzia: l’allegria… Aria, aria, a questa prigione infetta».
C’è già tutta la ventata libertaria del Sessantotto: «Come vanno i Vostri Reali E i Presidenti E i Generali / E i Rendimenti gli Emolumenti? Siete contenti dei Vostri Affari? / In Famiglia tutto bene? La Signora si mantiene? / E la Bomba come va? La più bella chi ce l’ha? / La Mammà dei Capitali o il Papà dei Proletari? / Bravi bravi complimenti. Siete sempre Regolari. / Troppo uguali. Troppo uguali. Troppo tristi e troppo uguali / troppo uguali e troppo tristi. Troppo tristi troppo tristi».
Per molti versi, la distinzione, la frattura che Morante fa tra i Felici Pochi e gli Infelici Molti mi ricorda quella di don Milani, nella Lettera a una professoressa, 1967, tra i piccoli Gianni, che parlano la lingua del padre fatta di lavoro, di stalla («La scuola sarà sempre meglio della merda») e i Pierini, il figlio del dottore che quando arriva alle elementari sa già leggere e scrivere e ha davanti una carriera “protetta”.
Sono testi – quello della Morante e di don Milani – “morali”, testi come prediche. Potenti. Ecco, Greta magari non sarà competente come un professorone del MIT di Boston e di certo non ha il potere politico dei potenti riuniti all’ONU, ma quanta forza in quel «Come osate?» Greta è una figura morale. Ogni tanto succede che arrivino.
Fu il periodo delle speranze, quello del Sessantotto. Anche delle paure. La paura della bomba atomica, della guerra nucleare fra superpotenze. Fu proprio Elsa Morante a tenere nel febbraio 1965 una serie di conferenze a Torino, Milano e Roma. Disse: «Non c’è dubbio che il fatto più importante che oggi accade, e che nessuno può ignorare, è questo: noi, abitanti delle nazioni civili nel secolo Ventesimo, viviamo nell’era atomica… si direbbe che l’umanità contemporanea prova la occulta tentazione di disintegrarsi». Oggi la bomba atomica è il climate change. Non ho le competenze – di cui abbisogna il professor Cacciari – per spiegare dettagliatamente l’aumento della temperatura della Terra e le conseguenze. Quello che so è che il mondo è avvelenato, che la nostra vita è avvelenata, che si percepisce con mano che «l’umanità contemporanea prova la occulta tentazione di disintegrarsi». Di estinguersi.
Nel Sessantotto, ragazzi di venti-ventidue anni in tutto il mondo si sollevarono. Erano ragazzini. Aria, aria. Non riuscirono a salvare il mondo. Magari possono provarci di nuovo, riuscirci Greta e i suoi ragazzini.
Lanfranco Caminiti
Pubblicato su “Il dubbio”, quotidiano del 28 settembre 2019