La commozione ha viaggiato sul web molto prima che uscisse la notizia. E già questo moto spontaneo, questa commozione che ha fatto irruzione in una domenica d’Ottobre, è testimonianza verace. E’ morto Eugenio Melandri, una vita impegnato nell’attivismo pacifista, nella solidarietà, nella Chiesa degli ultimi. Un impegno politico svolto con totale dedizione e passione dal Parlamento Europeo all’assessorato (dal 2008 al 2010) a Genzano. Dove fu fortemente voluto da Armando La Fortezza. Scomparso sei anni fa nello stesso giorno, a cui è accomunato nello slancio generoso, nell’impegno totale e totalizzante. Nella lunga storia di Eugenio, dall’obiezione di coscienza alla solidarietà internazionalista, un momento fondamentale fu la fondazione di Senzaconfine. La prima associazione nel quale al pietismo e all’assistenzialismo, al considerare i poveri quasi come oggetti destinatari di qualcosa calato dall’alto, si sostituì una solidarietà, vera, concreta. Un impegno con, in cui le vittime, gli indeboliti, gli impoveriti, gli sfruttati diventavano protagonisti. In cui i migranti per la prima volta presero la parola, poterono affrontare le incombenze quotidiane e diventare soggetto politico. Era la fine degli Anni Ottanta, ma erano avanti anche all’attualità. Un’associazione che Eugenio Melandri fondò e animò per tantissimi anni insieme a Dino Frisullo. Le parole del ricordo che scrisse per Dino oggi le possiamo dedicare a lui.
Ti vestivi come i gigli del campo e ti nutrivi come gli uccelli dell’aria. Per te non cercavi mai nulla. Hai donato tutto. Senza tenerti niente. Neanche un momento di riposo, neanche una pietra dove poggiare il capo: “Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli il loro nido, ma il Figlio dell’uomo non ha dove poggiare il capo”. Giorno dopo giorno. Anno dopo anno. “Beati i poveri. Di loro e’ il Regno dei cieli”.
Dino, lo sai che, con tutta la mia povertà, io credo che ci sia l’altra vita. Sento la nostalgia di quel totalmente altro che ricondurrà tutto a giustizia, dove le vittime avranno finalmente ragione dei loro oppressori. E sono sicuro che, nel Regno che viene, tu avrai un posto grande, bello, pieno di luce. Allora ho meno paura. Con te il paradiso diventerà senz’altro più aperto. Romperà i confini per fare entrare tutti. Lo troverai sempre, infatti, il modo di far entrare anche quelli che – a rigor di legge – forse non dovrebbero. Ti metterai accanto a San Pietro e non lo mollerai fino a quando non darà il permesso di entrata e di soggiorno anche all’ultimo arrivato. Ti organizzerai con quelli che già sono arrivati, come don Luigi, e riuscirete davvero a fare entrare tutti nella grande casa che ci aspetta.
Il don Luigi a cui fa riferimento Eugenio Melandri è don Luigi Di Liegro, scomparso nel 1997 e altro grande protagonista di quella straordinaria stagione romana e nazionale di solidarietà e politica dal basso. E fautore di una Chiesa altra rispetto alla mondanità, alla borghesia, ai potenti, alle trame di palazzo e al dominio sull’uomo e sull’ambiente. Quella Chiesa che è tornata ad incrociare nelle ultime settimane l’esperienza terrena di Eugenio. Era stato sospeso a divinis dopo la candidatura e l’elezione con Democrazia Proletaria. Dopo un primo incontro con Papa Francesco l’anno scorso nelle scorse settimane era stato riaccolto e di recente era tornato a dire messa. Un ritorno vissuto con emozione, commozione. E vera fede. Sicuramente molto più vera e autentica di alcuni che hanno ironizzato contro di lui, affermando che chissà se dopo 30 anni si ricordava come si saliva sull’altare, e hanno sparso veleno e fango contro il suo ritorno alla celebrazione eucaristica. Quello stesso veleno e fango che contro i potenti, nella società e nella Chiesa, gli affaristi, i corrotti e chi realmente sfrutta e deruba gli ultimi e gli impoveriti non faranno mai. Questi anawin, i poveri del Vangelo vero, autentico e di cuore che Eugenio Melandri ha incarnato anche nei 30 anni della sospensione, che un’occasione di riscatto e protagonismo stanno avendo anche grazie al Sinodo sull’Amazzonia che si è concluso proprio oggi. Un Sinodo che può dare speranza, dove le strutture di sfruttamento, dominio, devastazione e oppressione sono state denunciate con forza. Ora quelle parole non devono rimanere lettere morte, devono diventare realtà. Nella Chiesa degli scandali finanziari, dei porporati che ancora oggi siedono a tavola con i potenti, i ricchi e gli oppressi mentre perseguitano chi non è allineato e desiderato dall’ipocrisia farisaica di chi vuol imporre una certa “morale”, ma tace ed è complice persino delle guerre, dei traffici di morte dei mercanti di armi e delle devastazioni ecologiche. O nella Chiesa degli anawin, degli ultimi, dei deboli, degli emarginati dal Sistema capitalista odierno e dalla devastazione ecologica e sociale. Sono anni difficili, impervia è la strada. Se vincerà la società dei primi o degli ultimi dipenderà anche da come raccoglieremo il testimone di padre Eugenio Melandri.