Io non credo ai miracoli anche se, come tutti gli umani, speravo che ciò avvenisse: finalmente la Corte Costituzionale ha stabilito che anche per gli ergastolani condannati per criminalità organizzata “La mancata collaborazione con la giustizia non impedisce i permessi premio purché ci siano elementi che escludano collegamenti con la criminalità organizzata”.
Questa sentenza, a mio parere, è uno strumento formidabile per sconfiggere la criminalità organizzata perché dà la possibilità ai suoi membri, dopo decenni di carcere, di uscire culturalmente dalle scelte devianti e criminali del passato. Certi fenomeni non si sconfiggono solo militarmente, ma soprattutto culturalmente, e la speranza è la migliore delle medicine per guarire da questo male.
Come ho già scritto dopo la sentenza della Corte europea, che ha stabilito che l’ergastolo ostativo è un trattamento disumano e degradante, questa non è stata una solo una lotta giuridica, ma anche sociale, che ha fatto sapere alla società che nel nostro Paese esisteva una pena di morte bevuta a sorsi. È difficile citare tutti quelli che hanno contribuito a questo risultato, ma voglio ricordare, mi perdonino gli altri, Don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII che per primo, molti anni fa, si schierò in appoggio di uno sciopero della fame di 700 ergastolani che chiedevano al Presidente della Repubblica di tramutare la pena dell’ergastolo in pena di morte, iniziando di fatto una campagna contro il carcere a vita: per ridare speranza all’uomo, anche a quello che ha fatto gli errori più grandi.
Questa sentenza è una vittoria anche per i magistrati di sorveglianza perché adesso, caso per caso, saranno più liberi di applicare la nostra Carta Costituzionale. Mi auguro che questo sia un primo passo per abolire l’ergastolo affinché tutti i prigionieri possano veder scritto nel certificato di detenzione l’inizio e la fine della loro pena.