“Sei dei tredici paesi che il decreto rimpatri definisce sicuri sono al contrario luoghi in cui le persone lgbti vengono perseguitate e criminalizzate”: lo dichiara Gabriele Piazzoni, segretario generale di Arcigay. “Marocco, Tunisia, Algeria, Senegal e Ghana – prosegue – sono tra in 69 che ancora criminalizzano le persone omosessuali con pene che vanno da 6 mesi a 6 anni di carcere. L’Ucraina, poi, rientra tra i 55 paesi nei quali non esistono tutele legali per le persone lgbti, vittime di una forte e persecutoria condanna sociale.
Rimpatriare una persona lgbti in quei paesi vuol dire esporla a un pericolo enorme. Inoltre, senza accordi bilaterali i rimpatri sono pressoché impossibili: di conseguenza il provvedimento anziché produrre rimpatri più veloci, come dichiarato, servirà solo ad ostacolare e restringere il diritto d’asilo”. “Stando a quanto dice il decreto – spiega Manuela Macario, componente delle segreteria nazionale di Arcigay con delega alla marginalità – chi fugge dai paesi definiti “sicuri” perché perseguitato, discriminato e condannato per motivi legati al proprio orientamento o alla propria identità di genere, non troverà protezione in Italia a meno che non sia in grado di produrre in tempi brevi la prova del pericolo subito. Ma produrre le prove, per chi fugge, sappiamo essere difficile, soprattutto se il periodo di rimpatrio si riduce drasticamente a 4 mesi. Per le persone Lgbti il rimpatrio rappresenta un pericolo concreto per la propria incolumità psicologica e soprattutto fisica, perseguitati dallo Stato, dalla società e spesso dalla stessa famiglia di origine.
Con questo provvedimento stiamo contravvenendo al principio sancito dalla Carta di Ginevra e successivamente integrato dall’UNHCR che prevede il diritto soggettivo a chiedere protezione a chiunque abbia il timore di essere perseguitato per motivi legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere. Pertanto auspichiamo – conclude – che il provvedimento venga rapidamente rivisto”.