L’impegno a costruire occasioni di informazione, di sensibilizzazione, di movimento per solidarizzare con il popolo curdo del Rojava attaccato dalla Turchia di Erdogan costituisce oggi una priorità assoluta.
Perché il “sultano” Erdogan ha avviato una guerra in violazione delle più elementari norme di diritto internazionale, intende imporre il proprio dominio con le armi, vuole ridurre al silenzio il popolo curdo, nell’indifferenza, o comunque con blande condanne, da parte delle grandi potenze, degli organismi sovra-nazionali, del governo italiano e di tutti quelli europei.
Ed anche perchè l’esperienza della Confederazione Democratica del Rojava è esemplare, e rivoluzionaria – nel territorio in cui è inserita, ma anche a livello mondiale -, sotto molti aspetti (della parità di genere, dell’interculturalità, dell’ecologia, della democrazia dal basso) e imposta in maniera nuova la lotta per l’indipendenza (senza, cioè, voler creare un altro stato, ma sviluppando e confederando le autonomie locali).
Non si può che essere solidali, quindi, con chi è stato proditoriamente aggredito, mentre conduce, e proprio in quanto conduce, un’esperienza di grande interesse e valore per tutte/i noi.
E’ una solidarietà piuttosto diffusa, che parte da un senso elementare di umanità che ci fa stare dalla parte del più debole, dell’aggredito, di chi subisce un torto.
Occorre tenerne conto, perchè è su queste basi – dell’umano contro il disumano – che si possono poi inserire altre considerazioni, più politiche, che riguardano i comportamenti dei governi e valorizzano l’esperienza della Confederazione Democratica per gli aspetti che ho citato in precedenza.
E’ indubbio che occorre una vera e propria campagna, da sviluppare con le modalità più diverse, che duri nel tempo, denunci le reponsabilità della situazione attuale, avanzi delle richieste precise alle istituzioni, in quanto urge nell’immediato che organismi internazionali, governi, parlamenti mettano in moto azioni diplomatiche e pressioni incisive per far cessare l’aggressione militare della Turchia.
Una campagna che a Firenze trova un terreno più fertile perché già si sono avute iniziative per ricordare Lorenzo Tekoser Orsetti caduto in Rojava mentre combatteva insieme ai/alle militanti curdi/e contro l’ISIS.
Condiziona e determina cambiamenti nell’operare dei governanti il crescere di un reale movimento popolare, che trova dei momenti di visibilità in grandi manifestazioni, ma che si articola anche in incontri, dibattiti, flash-mob, presidi, volantinaggi, coinvolge le organizzazioni di massa (sindacali, associazionistiche), penetra all’interno delle istituzioni locali e produce contraddizioni negli schieramenti maggioritari.
E il movimento si ingrandisce e diviene più efficace se si riesce a realizzare una diffusa e capillare azione informativa, se si utilizzano tutti gli strumenti disponibili (da quelli antiquati come i volantini alle radio e tv locali ai social), mettendoci anche una buona dose di creatività, se si intrecciano le varie tematiche e si portano ad agire insieme persone impegnate su terreni diversi (come si verifica con le iniziative dei “Fridays for future” per il popolo curdo e contro la “Leonardo” che fabbrica armi), se l’informazione e la sensibilizzazione producono un numero sempre maggiore di persone che scendono in piazza.
Le manifestazioni, i momenti cioè attraverso i quali il movimento acquista visibilità, hanno un maggior senso ed incisività quando la partecipazione si estende, va al di là del ristretto numero dei militanti – i soliti noti -, include persone di età diverse, giovani, anziani, famiglie con bambini, esprime obiettivi e contenuti del manifestare con modalità differenti (cartelli, striscioni, slogan, canti …).
La protesta contro la guerra di Erdogan e la solidarietà con il popolo curdo devono tendere ad avere questa dimensione di massa, con una campagna, un movimento, una mobilitazione che si caratterizzino per quantità e qualità.
L’attacco turco alla popolazione curda del Rojava si inserisce in una realtà mondiale in cui vi sono molti conflitti, regimi oppressivi, domini neo-coloniali, ma ha una sua emblematicità a causa delle caratteristiche dell’esperienza del Rojava e della lotta vittoriosa condotta dalle/dai combattenti curde/i contro l’ISIS, lotta che viene citata spesso senza però che se ne traggano le adeguate conseguenze.
Il PKK, uno dei protagonisti di tale lotta, continua, infatti, ad essere inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche, come anche Ocalan, in prigione da 25 anni, continua ad essere definito terrorista (nonostante che la sua elaborazione – in carcere, come Gramsci, non ha smesso di pensare – sia una delle basi teoriche dello sviluppo – con le caratteristiche, già indicate, della parità di genere, dell’interculturalità, dell’impegno sul terreno dell’ecologia – della Confederazione Democratica del Rojava).
E’ necessario far emergere tali contraddizioni e falsità attraverso l’azione informativa/controinformativa, come del pari bisogna far emergere, attraverso il dibattito, le qualità esemplari dell’esperienza di auto-governo ora sotto attacco.
E’ su queste basi che occorre mettere in campo tutte le energie possibili per fermare la guerra e per esprimere piena solidarietà al popolo curdo.