Di pietre, macine, samba e (r)esistenza.
Mi è venuto in mente Saddam Hussein ma non so se esistano immagini in cui appaia in una situazione simile. Mi è venuto in mente l’orco di Pollicino, Mangiafuoco, Hannibal Lecter. Ho pensato al peggiore degli incubi diventato realtà. Ma anche alla frase evangelica: “Che scandalizza uno solo dei miei piccoli”…“è meglio per lui che gli sia messa una pietra al collo” … “una macina da mulino…”… “e sia gettato nel profondo del mare”. Ed ho pensato che quella pietra al collo, quella macina da mulino al collo, gliela metterei volentieri io, così come la spinta negli abissi del mare, vorrei dargliela io. Su un autobus fermo nel traffico. Leggo l’articolo e guardo la fotografia rimpicciolita dallo schermo del telefonino. A farmi star male è la sua espressione. Il povero bambino in divisa da poliziotto alza il braccio con la pistola in pugno – una pistola giocattolo, viene specificato nell’articolo – Bolsonaro sul palco, circondato dai suoi gorilla, lo prende in braccio, lo solleva, lo offre in sacrificio alla folla: un bambino in divisa, un bambino armato. Durante una cerimonia commemorativa qualunque, soldati schierati, discorsi, saluti militari, e un bambino in divisa armato di pistola preso in braccio dall’orco nazionale. Era il suo gesto di campagna: la mano ad imitare l’arma. L’arma puntata contro di noi, un gesto oggi ripetuto da un bambino in divisa con la pistola giocattolo che lui prende in braccio. E ride. Ride. Ride. Il presidente della repubblica, Jair Messias ride. La didascalia della foto lo chiama col suo nome intero: Jair Messias Bolsonaro. Ride, Messias. Messias. Sull’autobus fermo nel traffico il suo sghignazzo in me. E stringo il nodo alla corda della pietra, della macina da mulino, e allora spingo, spingo, spingo, e le porte dell’abisso ad ingoiarlo per sempre.
Ci pensa la musica a curarmi. Ci pensa la musica. E non una musica generica, una canzonetta da radiolina. Ma la nostra musica, la musica brasileira. La nuovissima composizione scelta dalla più prestigiosa scuola di samba di Rio de Janeiro per il concorso del prossimo carnevale. Non posso ascoltarla, scendo dall’autobus per entrare nella metropolitana. Troppo rumore. Non posso ascoltarla ma ne leggo il testo. Parla di Gesù che nasce nella favela della Mangueira chiamata adesso “Estação Primeira di Nazareth”, con il viso nero, il sangue indio il corpo di donna e il cui nome è Jesus della Gente. Suo padre, un falegname disoccupato, sua madre, Maria del Dolore Brasil… asciugo il sudore di chi vive nelle Favelas, mi puoi trovare nell’amore che non conosce frontiere, cercami dove si lotta contro l’oppressione e negli occhi di chi porta la mia bandiera …. Oggi i profeti dell’intolleranza mi hanno crocifisso un’altra volta, senza sapere che la speranza brilla molto di più delle loro tenebre. Favela: fai tua la mia visione, non c’è futuro senza condivisione; fai tua la mia visione per negare con me il Messias con l’arma in mano, dal cielo ho ascoltato il ritmo dei tuoi tamburi, ho fatto della croce il mio splendore e in una domenica verde-rosa sono risorto in questo corteo di libertà.
A curarmi ci ha pensato la scuola di samba Estaçao Primeira de Mangueira, che trasforma se stessa nella nuova Nazareth, dove abita il figlio di Maria del Dolore Brasil, Jesus della Gente. A curarmi ci ha pensato la sua visione: non c’è futuro senza condivisione. A curarmi ci ha pensato il fatto di poter negare il Messias con l’arma in mano… Messias, come il Jair Messias della foto col bambino in braccio, il Jair Messias della pietra al collo e dell’abisso.
La musica brasiliana, accompagna gli eventi nazionali da sempre. Molti sono gli artisti, i compositori in prima linea. Il ritmo stesso, con le sue sincopi, gli stacchi repentini, l’imprevedibilità del suo andamento, sobilla la sovversione del rigido ordine della partitura in favore di una totale libertà interpretativa sostenuta da melodie e armonie sempre in controcanto, in un eterno gioco di successioni e rimandi in cui Bach incontra l’Africa dove il cielo alla fine abbraccia la terra. Una resistenza culturale trasformata in esistenza viva e concreta, voce di un intero popolo. Mancano molti mesi al Carnevale, quel delirio catartico in cui finalmente ci si incontra con se stessi. Mancano molti mesi. Però adesso, grazie anche alle parole di un samba, possiamo e sappiamo (r)esistere.