Per comprendere la richiesta di tassare l’uso del contante da parte della Confindustria è necessario fare un giro largo. Lasciamo per ora senza risposta alcune domande come per esempio perché la Confindustria si fa latrice di una tale richiesta, e a quale scopo. E fissiamo un primo punto fermo: viviamo in un’epoca in cui chi governa davvero lo fa con la simulazione e per interposta persona (non vi pare strano, infatti, che da una parte è senso comune che il potere finanziario controlla governi, economie, stati, e dall’altra il potere finanziario non si pronuncia mai ufficialmente su nessuna questione importante?).
Cominciamo, dunque.
Prima di tutto bisogna sapere che, nelle economie occidentali, più del 95% della moneta in circolazione è moneta bancaria.
E cos’è la moneta bancaria?
La moneta bancaria è quel tipo di moneta creata dalle banche commerciali nel momento in cui concedono un prestito e aprono un relativo deposito al mutuatario.
Di sicuro, la maggior parte dei lettori di questo post sono convinti che quando una banca commerciale concede un prestito a un cliente, quello che succede, grosso modo, è una cosa simile: la banca prende parte dei risparmi depositati presso di lei e li accredita sul conto corrente del mutuatario. In questo scenario, la banca sarebbe un semplice intermediario tra risparmiatori e mutuatari. Il suo guadagno risulterebbe dalla differenza tra il tasso di interesse gravato sul prestito al mutuatario e quello concesso al risparmiatore.
Tutto molto sensato, ma non è così.
O meglio, non è così per le banche commerciali, perché tutti gli altri intermediari non bancari sono tenuti a operare prestando i soldi depositati dai risparmiatori che a loro si sono affidati.
Come operano allora, nella realtà, le banche commerciali?
Grosso modo in questa maniera: tu vai a chiedere un prestito, la banca verifica se sei in grado di restituire il prestito più gli interessi, e, se la verifica è positiva, con un semplice indice premuto sul tasto Invia della tastiera del pc crea dal nulla la moneta bancaria e te la accredita sul tuo conto corrente (se il conto corrente non ce l’hai te lo crea sul momento, e se rifiuti questa clausola, moneta per te non ne crea). Nei bilanci della banca l’operazione viene contabilizzata contemporaneamente alla voce attivi (il credito della banca nei tuoi confronti ovvero il tuo debito nei confronti della banca) e alla voce passivi (ovvero il tuo credito nei confronti della banca – i soldi che tu ti porti via o mantieni in conto fino al momento in cui ti serviranno). Dal momento che la banca deve detenere una frazione dei suoi attivi presso la Banca Centrale (la cosiddetta riserva frazionaria) per regolare i pagamenti che intercorrono tra le banche stesse, ogni nuovo prestito che determina un aumento degli attivi si traduce in una richiesta di un prestito – corrispondente a una frazione del prestito erogato al cliente – di riserve alla Banca Centrale da parte della banca commerciale (prestito che viene sempre concesso per motivi che ci porterebbe lontano approfondire), e nella capacità di prestito della banca commerciale (maggiori sono gli attivi in bilancio, maggiore in termini assoluti è la riserva frazionaria della banca, e quindi maggiore è la capacità di erogare prestiti della banca), in un processo che si autoalimenta, finché tutto il castello di carte crolla o la bolla di sapone gonfia a dismisura incontra un granellino di polvere più aguzzo degli altri.
Piccolo intermezzo. Se vi state chiedendo cosa sia la riserva, la risposta è molto semplice: è una moneta ‘speciale’ che circola solo tra le banche commerciali, che è prodotta (anch’essa dal nulla) ed è concessa in prestito dalla Banca Centrale alla banca commerciale in cambio di titoli finanziari e che è depositata dalla banca commerciale presso la Banca Centrale in cambio di un certo tasso di interesse (chiaramente più basso di quello che fruttano i titoli forniti in cambio della riserva).
Quindi, tenete a mente:
- la moneta bancaria, quella che utilizzate quando fate un bonifico dal vostro conto corrente, è creata dal nulla e si aggiunge all’ammontare monetario esistente;
- la moneta bancaria costituisce più del 95% della moneta in circolazione.
Andiamo avanti.
Quando vi accostate a un bancomat e prelevate una certa somma dal vostro conto, vi state avvalendo del vostro diritto di avere parte della moneta bancaria sul vostro conto (il conto è vostro, ma la moneta bancaria che c’è dentro no) nella forma di banconote.
Le banconote non sono create dalle banche commerciali, bensì dalla Banca Centrale (le monete metalliche invece dal Tesoro dello Stato). Una banca commerciale deve sempre avere un certo ammontare di banconote a disposizione per rispondere alle richieste di prelievo dei clienti.
E qui si cominciano a intravvedere le risposte alle domande poste all’inizio del post.
La banca commerciale riceve le banconote dalla Banca Centrale in cambio di riserve. I casi sono due: o rinuncia a parte delle sue riserve per approvvigionarsi di banconote o accresce le sue riserve in cambio di titoli e utilizza le nuove riserve per approvvigionarsi di banconote. In entrambi i casi, per poter soddisfare la clientela deve privarsi di una parte di attivi (benché anche le banconote siano un attivo finanziario, per definizione le banconote sono presso la banca per lasciare la banca).
Diverso è lo scenario se, invece di considerare la singola banca, consideriamo il sistema bancario nel suo complesso: prima o poi le banconote si trasformeranno nuovamente in deposito. Resta però il fatto che anche per il sistema bancario complessivamente inteso, rimane vero che parte degli attivi devono essere congelati nella forma riserve e di banconote da concedere su richiesta del cliente.
Facciamo ora un passo indietro per fare l’ultimo balzo in avanti: consideriamo il guadagno che il poter creare moneta dal nulla concedendo prestiti assicura alla banca commerciale.
Abbiamo già accennato al fatto che le società di intermediazione finanziaria non bancaria sono prive del privilegio di concedere denaro in prestito creandolo. Esse, quando prestano soldi, lo fanno traendolo dai risparmi dei propri clienti. Tenendo ben fermo questo fatto, possiamo pensare al grosso dei profitti delle banche commerciali come i costi addizionali a cui la banca incorrerebbe se piuttosto che poter creare moneta come attualmente fa senza affrontare nessun costo, fosse invece forzata a prendere in prestito prima la moneta che poi presterebbe nel mercato.
Dal punto di vista delle banche, quindi, tutti gli attivi finanziari che non possono dar luogo a prestiti, vale a dire a creazione di moneta bancaria, o perché da detenere come riserva presso la Banca Centrale o come banconote da fornire al cliente su sua richiesta, sono profitti mancati e costi aggiuntivi.
Altre considerazioni non di poco conto e di ordine diverso sono da fare:
- Eliminare o limitare al massimo l’uso del contante significa aumentare di molto il controllo del sistema finanziario sulle nostre vite: significherebbe affidare alle banche il nostro portafogli (con tutto ciò che ne consegue) e il nostro profilo di consumatori. Stiamo parlando di controllo sociale: ogni nostra azione e ogni nostro spostamento diventerà ancora di più tracciabile e di conseguenza la nostra libertà d’azione. La spacciano per lotta all’evasione e alla criminalità, ma si tratta di un lento e inavvertito scivolamento nel totalitarismo.
- La maggior parte degli Stati farebbero un ulteriore passo verso la perdita anche di quello straccio di sovranità che rimane loro, nel momento in cui nei circuiti di “moneta bancaria” verranno inserite anche monete private tipo criptovalute o strani ibridi come la “Libra di Facebook”.
- Se spariscono le banconote, a quel punto tutta la moneta sarà moneta bancaria, vale a dire moneta gravata da un interesse. A quel punto il cerchio si chiuderebbe e le banche, attraverso il controllo completo della moneta che usiamo, avrebbero il controllo totale dell’economia e chiuderebbero in cassaforte la loro condizione parassitaria di estrattori di rendita dalla economia reale. La più minima attività economica pagherà in automatico un pedaggio al settore finanziario. Vorrai lavorare? Vorrai intraprendere? In ultima analisi lo decideranno le banche e per farlo dovrai pagare dazio.
A questo punto si impongono almeno due considerazioni politiche.
Ci siamo chiesti all’inizio perché la proposta sia giunta dalla Confederazione degli Industriali. Le risposte pensiamo siano essenzialmente due.
La prima rimanda all’idea mai neanche discussa che l’attività finanziaria sia una attività ‘industriale’. Infatti, nella contabilità nazionale essa è considerata tale. Come se l’attività finanziaria producesse alcunché di reale (invece di estrarre parassitariamente valore dalla produzione di risorse reali, come avviene in realtà).
La seconda rimanda alla dissimulazione come caratteristica fondamentale del potere della finanza. Anche tra i critici dell’attuale stato di cose è naturale opporsi al governo dei mercati. Ma i mercati non sono nulla. Piuttosto esiste una gerarchia di istituzioni finanziarie che, attraverso il controllo delle risorse finanziarie, impongono il loro controllo (e quindi i loro interessi) sul mondo della produzione, sui mass media e sui governi degli stati. Le poche volte in cui queste istituzioni finanziarie fanno capolino alla luce del sole nel nostro mondo di esseri umani (abbiamo dei dubbi sul fatto che nel mondo della grande finanza sia rimasta qualche bolla di umanità), lo fanno nascondendosi dietro gli anonimi mercati che vengono spacciati come autoregolati quando invece, nella realtà, sono totalitaristicamente controllati e guidati.
Perché la dissimulazione, per la grande finanza, è necessaria. Infatti, come molti organismi parassitari nel mondo della natura, anche la finanza ha necessità di conquistare gli organi di controllo dell’organismo ospite, per evitare che quest’ultimo si accorga del pericolo letale che corre, se non prende le adeguate contromisure nei confronti del parassita.
Ecco perché la confindustria e non qualsiasi centro studi di una qualsiasi istituzione finanziaria. Fosse stato altrimenti, l’allarme sarebbe certamente stato maggiore, e maggiore sarebbe stata la consapevolezza del pericolo che stiamo correndo.
La prima considerazione se ne porta dietro una seconda.
A tutt’oggi la consapevolezza che la lotta contro i progetti della grande finanza sia la priorità delle priorità è ampiamente insufficiente. Un fronte di lotta che abbia una minima speranza non diciamo di successo, ma di incidere minimamente nel corso delle cose, deve prima di tutto individuare, mettere a fuoco e studiare a fondo l’avversario, i suoi obiettivi, i suoi mezzi, le sue strategie e tattiche, le sue alleanze, i suoi punti di forza, i suoi punti deboli. Questo lavoro è ancora ampiamente deficitario, e questo spiega anche la nostra debolezza e il nostro disorientamento.
Il pensiero marxista, tradizionalmente la fonte prima di ispirazione del pensiero critico occidentale e non solo, ha sempre posto l’attenzione sulla contrapposizione tra lavoro e impresa, tra lavoratore e padrone dei mezzi di produzione. In un mondo in cui i mezzi di produzione sono sempre più controllati direttamente o indirettamente dalla grande finanza, pensiamo sia giunto il momento, per tale filone di ispirazione e per tutto il pensiero e le forze che ambiscono a un mondo più libero e giusto, di adeguare la teoria alla nuova condizione del mondo. Perché è anche svolgendo questo lavoro che una forza alternativa può sedimentarsi e cementarsi. Si tratta di un lavoro teorico e pratico, laddove la pratica dovrà svolgersi necessariamente a livello locale, visto lo scenario terrificante che si è delineato a livello nazionale.
Abbiamo dato vita al Centro Studi Patriottismo Costituzionale per dare il nostro contributo a questo lavoro. Che è solo all’inizio.
Ripreso su Pressenza su segnalazione di Valerio Colombo, coautore dell’articolo.
Link originale https://patriottismocostituzionale.blog/2019/09/19/totalitarismo-monetario/