Il gruppo comasco del movimento Fridays for future ha celebrato il terzo sciopero mondiale per il clima infrangendo il tabù del formalismo un po’ naif cui ci aveva abituato e diventando “adulto”.
Non si potrebbero descrivere diversamente l’occupazione non concordata del cortile di Palazzo Cernezzi che il 27 settembre ha visto protagonisti circa un migliaio di studenti delle scuole superiori richiamati dal tamtam degli attivisti, e il corteo tardo-pomeridiano cui hanno partecipato anche lavoratori, sindacati, mamme e papà spesso accompagnati da bimbi.
Il Movimento ha dato prova di voler realmente uscire dallo steccato generazionale, obiettivo preannunciato nell’aprile scorso durante la prima assemblea nazionale svoltasi a Milano e concretizzato l’altro giorno in una marcia ambientalista di cui nel capoluogo lariano non si ricordano precedenti. E per la prima volta ha trovato il coraggio di mostrare i denti alle provocazioni e alle ipocrisie dell’amministrazione comunale, con la quale ha intessuto una trattativa che sembra destinata alle calende greche.
Ma andiamo con ordine e torniamo al presidio svoltosi, come tutti i venerdi mattina, davanti all’entrata di Palazzo Cernezzi, in via Vittorio Emanuele. Solo che stavolta a manifestare non c’era il consueto drappello di attivisti, ma centinaia di studenti medi, che dalle otto in punto hanno iniziato a scandire slogan e a rumoreggiare, come da consolidato copione.
Benché a nessuno fino a quel momento fosse venuto in mente di entrare nel cortile, attorno alle nove il portone del Comune, che fino a quel momento era rimasto aperto, è stato clamorosamente chiuso in faccia ai manifestanti. Come ad affermare che la fame di giustizia ambientale degli studenti è accettabile sino a che rimane muta, altrimenti come Maria Antonietta li si invita senza troppi complimenti, a “comprare brioche”.
Insomma, quasi una sfida a occupare la Bastiglia, che nel giro di un quarto d’ora gli studenti si sono organizzati a raccogliere girando l’isolato, penetrando dal varco opposto di via Sauro e occupando trionfalmente il cortile antico del Palazzo, dal quale hanno continuato pacificamente a manifestare.
Il Comune, preso in contropiede da un gesto che evidentemente non si aspettava, non ha gradito. E alla successiva richiesta da parte degli organizzatori della manifestazione di far incontrare una loro delegazione col sindaco o l’assessore all’Ambiente per avere risposte in merito a un elenco di richieste presentate alcuni mesi fa, ha risposto picche.
Sindaco e assessore erano assenti, riferivano agenti di polizia che facevano da tramite con chissà chi al piano superiore, dato che l’accesso era bloccato da due carabinieri. Se gli studenti avessero sgomberato subito – è stato loro riferito – forse qualcuno sarebbe sceso a parlare.
Ma gli studenti non hanno mollato. Così, dato che alle 10,30 avrebbe dovuto celebrarsi un improcrastinabile matrimonio civile, per sbloccare la situazione dalle scale a un certo punto si sono materializzati Elena Negretti, assessore alla Sicurezza, Adriano Caldara, assessore al Bilancio e vicesindaco, e Donatello Ghezzo, comandante dei vigili. Un trio non proprio competente in materia ambientale, ma con le idee chiarissime sul numero di delegati-cittadini da ricevere. Di sopra in ufficio? Macché, rigorosamente sulle scale, e non più di tre.
Praticamente spinti fuori in malo modo gli altri due già entrati, Negretti non ha poi trovato di meglio che elaborare ipotesi sul colore dei capelli di Elisabetta Fumagalli, una dei tre organizzatori, chiedendole se fossero tinti. «Una domanda sicuramente fuori luogo e inutile ai fini del discorso che stavamo cercando di instaurare, forse un tentativo per cercare di aggrapparsi a qualcosa per screditarci», ha spiegato più tardi l’attivista. O forse perché semplicemente l’unica rappresentanza apicale presente in quel momento in Comune non aveva altri argomenti, se non il rinfacciare agli organizzatori l’occupazione del cortile, concetto che ha continuato a ripetere.
Solo più tardi, dileguatasi la “ultrà” Negretti, il mite Caldara si è intrattenuto all’esterno con gli organizzatori tentando di narcotizzarli con argomenti-camomilla. E fornendo una semplice, in fondo leale spiegazione del motivo per cui le richieste del Movimento, compresa quella suprema di dichiarazione di emergenza climatica, non saranno mai accettate.
«Vedete – ha osservato l’assessore – quelle che a voi appaiono come istanze più urgenti, potrebbero non essere in realtà vissute come tali dalla maggior parte della cittadinanza». Cioè a dire: quella parte di cittadinanza che ci ha votato, portato al potere e che siamo determinati a non tradire. Dunque, apriamo tutti i “tavoli” che volete, ma tornate in cesta muti e sorridenti e non venite a scomodarci con i vostri schiamazzi in una giornataccia come il venerdì, altrimenti alla stampa amica facciamo correre voci di «possibili denunce».
Ma oltre le mura francamente ostili del Palazzo, del volgare provincialismo e dell’inadeguatezza politica dimostrata ancora una volta dall’amministrazione cittadina, la giornata ha riservato momenti di impegno e sincera partecipazione. Come durante i dibattiti organizzati in via Castellini nella sala del Teatro Gruppo Popolare, dove in seguito alla visione di tre videoclip che fungevano da stimolo, all’oltre centinaio di studenti (ma anche docenti e parenti) è stato richiesto, a fronte della minaccia di catastrofe climatica incombente, la eventuale disponibilità a rivedere le proprie scelte in materia di trasporti e alimentazione, oltre che di esprimersi sulle pressioni da esercitare per ottenere alcune necessarie modifiche legislative.
Ma la vera novità – e vero clou della giornata – è stato il corteo ambientalista, partito nel tardo pomeriggio da piazzale Montesanto (al cospetto di un insolito numero di forze di polizia) e terminato al buio in piazza Cavour dopo essersi snodato per le vie del centro, mercato coperto e Comune compresi, davanti ai quali sono stati letti comunicati (uno dei quali riportato qui di seguito, ndr). Un corteo ispirato, non gioioso ma complice, compiaciuto e orgoglioso di esserci.
Animato non solo da attivisti studenti, ma anche da lavoratori, associazioni, sindacati e da cittadini che per la prima volta si sono sentiti coinvolti dalle istanze ambientali, oltre che da quella parte di cittadinanza storicamente ostile alle destre che forse sta riflettendo sulla necessità di rovesciare un antico slogan della sinistra secondo cui «non si può essere verdi se prima non si è rossi».
Insomma, quella parte di cittadinanza che il Comune di Como non ha finora inteso rappresentare. E che durante il terzo sciopero globale del 27 settembre è stata presa a pesci in faccia e “chiusa fuori” da una Amministrazione cieca, incapace di accogliere e fornire soluzioni a istanze ambientali sempre più invocate e stringenti.
Immagini di Camilla Sesana, Comozero, Fabio Germinario
Testo di uno dei comunicati letti durante il corteo
Alcuni parlano di 2030, altri di dieci mesi, altri non fanno altro che negare e confermare che l’azione non è che inutile. Non fanno altro che beffare chi agisce credendo di agire razionalmente. Ma tanto a noi chi può affermare che le nostre azioni siano coerenti, siano giuste, siano quelle da prendere per superare la crisi. Siamo nel bel mezzo di un’estinzione di massa. Tra le più silenziose o forse tra quelle più evidenti che vengono negate.
Ci diamo dati scadenze, obiettivi da non rispettare, da incorniciare come segno dell’intenzione, ma dell’evidente inazione che ci condanna divorandoci lentamente, consumandoci eternamente. Siamo sue vittime, vittime dell’ignoranza mascherata di belle parole, vestita di Gucci o Prada, che corre veloce sulle ruote motrici del mezzo rivoluzionario, simbolo dell’evoluzione o del regresso latente che a passi tardi e lenti ci cattura e ci rende sue vittime.
Viviamo nell’era della velocità, nell’era del “voglio e ottengo”, nell’era del “sono e mi nascondo, mi conformo, mi confondo”. Siamo nell’era del negazionismo, del conformismo, del fondamentalismo.
Imponiamo e rifiutiamo, condanniamo il diverso che diversamente si conforma alla piatta società coalizzata in un’unica gran voce, quella dei poteri forti. Ci basiamo sull’giustizia infranta dai conquistatori e imposta nuovamente per sottomettere ad un nuovo sistema legislativo, fondato sull’esclusione, sulla discriminazione, sulla repressione delle doti che infiammano animi candidi di rivoluzionari reazionari.
Tutti, nessuno escluso, fuochi di capacità in potenza, mai sviluppate, mai cercate perché allontanate, offuscate dalla fitta nebbia delle norme, delle leggi, delle punizioni che impediscono l’espressione, l’espressività, la manifestazione di quell’energia onnipresente e coinvolgente che circonda perduti anni di ingenuità, spensieratezza e dolce speranza di un mondo migliore. Il mondo dove i bambini non muoiano, dove si torni a giocare a nascondino in mezzo ad alti alberi, dove a Natale nevichi, dove lungo le strade si vedano i fiori e le api che danzano, dove l’alternarsi delle stagioni sia un graduale crescendo di picchi termici che mostrino la nostra casa, la nostra terra, madre di ogni individuo.
Ma perché privarsi dell’istruzione? Perché allontanarsi dal proprio futuro per cercare e reclamare con tutta la forza i nostri diritti che ci mancano, che ci stanno rubando omicciatoli dal cuore piccolo e dall’ego smisurato che si beffano in panciolle di noi che ogni venerdì qui, in questo luogo speriamo, guardando quelle finestre che ci sovrastano, che qualcosa cambi, che qualcuno ci ascolti e che qualcuno capisca che quello che sta succedendo non è uno scherzo, non è un film di fantascienza, non è nemmeno un brutto sogno? È vero.
E finché avremo la forza di lottare noi lo faremo, noi aspetteremo in balia delle nostre emozioni che arroganti ci trascinano in quel sistema che schiaccia e offende la diversità originale, originaria. La diversità che ci distingue e che ci unifica.